Zia Restaurant a Trastevere: Antonio Ziantoni è inarrestabile
Zia Restaurant a Trastevere
Via Goffredo Mameli 45
Tel: 06.23488093
Aperto a cena dal martedi al sabato; il venerdi e la domenica anche a pranzo.
Chiuso: domenica e lunedi
ziarestaurant.com
di Virginia Di Falco
I maestri ci sono. E si vedono. In qualche piatto si superano.
Antonio Ziantoni, giovane chef allievo di Anthony Genovese, con esperienze internazionali importanti, da Gordon Ramsay a Georges Blanc, guida oggi una piccola grande brigata di talento, dentro e fuori la cucina, nel cuore di Trastevere.
I decori floreali sobri, ton sur ton con la terracotta dei vasi e con le camicie di lino dei ragazzi del servizio sono la cifra di un’eleganza appena sussurrata. Una sala molto moderna, arredata in maniera essenziale, un servizio esperto, che si coordina con garbo e una brava sommelier alla guida di una carta non (inutilmente) sterminata, ma varia, ariosa e con tante proposte curiose, anche al calice.
L’amuse bouche è pieno, ricco, quasi frastornante. Tutto si regge su un equilibrio di grande solidità: il sigarillo sfizioso d’entrata, l’idea di mozzarella assolutamente centrata, il grasso scioglievole del lardo piacevolmente aggredito dalla crema di peperoni arrostiti. Il gioco di memoria c’è ma, appunto, è lieve. Non si danno inutili lezioni di tradizione.
Tra gli antipasti, un ‘finto assoluto’ di gamberi. Il colore può trarre in inganno, in realtà qui lo chef si è divertito a temperare i colori della nduja e del rabarbaro. Un piatto fresco e potente al tempo stesso.
La tartare di pecora in insalata è racchiusa in una sorta di leggerissimo taco, con fragoline di bosco che spuntano a sorpresa.
I tortelli di melanzana aglio olio e peperoncino, che qui si chiamano ravioli, sono belli piccantini mentre il risotto bufala limone e genziana è austero e perfetto, come un suo fratello maggiore su al Nord.
Anche l’agnello alla brace, servito con scalogno al miele e profumato al ginepro è un piatto di grande tecnica, dal fondo impeccabile, ma che lascia parlare la materia e alla fine è un agnello che profuma di agnello.
Chiusura meravigliosa, indimenticabile, con una gigantesca brioche sfogliata, servita su una alzatina, con bricco di crema inglese, da accompagnare a volontà. Cottura dorata, sfogliatura comme il faut, lieve, profumata. Impossibile finirla in due, bisognerebbe pensare ad una doggy-bag (sì, è un suggerimento per la sala). Anche perché, diversamente, il mattino dopo a colazione si rischia di addentarne la foto, al pensiero di quella che si è lasciata portar via.
Per terminare, un cremosissimo gelato di zabajone, lavorato con il benemerito marsala Florio. Una goduria.
Una cucina da provare e riprovare (ci sono due menu degustazione, da 6 portate a 90 euro, da 8 portate a 120, ma si può scegliere anche alla carta, si sta sui 120). Di spessore, curiosa, vivace, che si guarda intorno per apprendere, non per emulare. Ci vorrebbe solo meno timidezza nel proporre qualche piatto in più di pasta secca, accanto a quella fatta a mano. Per il resto, un menu vario e ricco negli ingredienti, con piatti mai ridondanti.
A completare, il lavoro di un pasticciere bravissimo, Christian Marasca, anche lui giovane, anche lui con belle esperienze alle spalle.
Chiudiamo con una nota organizzativa: servizio prenotazioni di livello internazionale. Parecchi suoi colleghi romani avrebbero di che imparare.
La recensione del 20 gennaio 2022:
di Raffaele Mosca
90 euro per 7 portate: una cifra più che ragionevole per un’esperienza culinaria notevole. Se un locale riesce a rimanere in full booking per mesi nella capitale orfana del turismo d’alta fascia, un motivo deve esserci, ed è che Antonio Ziantoni, classe ‘86, gavetta da Genovese, Ramsay e Georges Blanc a Vonnas, riesce a piazzarsi all’intersezione tra alta ristorazione e bistronomie. La grande tecnica di stampo francese va a braccetto con la concretezza tipica delle osterie contemporanee nella cucina eclettica, divertente, mai ripetitiva del suo Zia, la stella più giovane di una Roma che, complice la pandemia, si è fermata un po’ sul fronte del fine dining, ma continua a fare progressi su quello del mangiar bene a un prezzo abbordabile. Nel percorso in sette tappe – più formaggi – c’è tutto quello che ci si aspetta da un’insegna che oramai è una calamita per i gourmet di nuova generazione: equilibrio, freschezza e pulizia, essenzialità nell’aspetto visivo e anche un uso magistrale di spezie ed erbe.
La verità è che questa location all’angolo tra due strade della parte di Trastevere che s’arrampica sul Gianicolo la conosco già: prima di Zia c’era un locale, il Bacocco, dove venivo a stappare buone bottiglie quando ero allievo del corso sommelier e abitavo a due passi. Tornandoci, l’ho trovata molto più glamour che in passato, ma anche più buia (complice l’illuminazione fin troppo soffusa e il colore scuro delle pareti). Certo, il ristorante è aperto a pranzo solo due giorni a settimana e di sera dovrebbe fare tutt’altro effetto, ma sono convinto che un po’ di ariosità in più non guasterebbe. E’ l’unico appunto che posso fare a margine di questo racconto.
L’apertura del percorso predispone bene: un cannolo ripieno di tapenade di olive e l’ idea di mozzarella” – ovvero una sfera ripiena di latte e siero di capra – inaugurano una sequenza di scossoni acidi e vegetali a metà strada tra Mediterraneo e Scandinavia che, uniti allo Champagne d’entrata, resettano il palato e lasciano il campo pulito per ciò che segue. L’entreè comprende anche un secondo giro più accomodante: l’aspic di peperone evoca memorie di pranzi in campagna; la pancetta marinata è molto più di un contentino per i carnivori convinti: si scioglie in bocca e richiama qualcosa di simile che Niko Romito proponeva fino a un paio di anni fa nel suo menù degustazione.
Il menu di Zia Restaurant
“Romitiano” è anche il capitone in gratella, cipolla e dragoncello: nelle simmetrie da arte astratta, nella consistenza quasi burrosa della carne e nella freschissima persistenza balsamica dell’erba.
Un solo antipasto – ma di grande carattere – che precede tre primi in cui non c’è traccia di pasta secca. Gli anolini all’ossobuco omaggiano Marchesi e spiazzano per delicatezza della sfoglia, della farcia e del consommé che va bevuto fino all’ultimo goccio.
Il risotto bufala, limone e genziana è tostato alla perfezione, ha un profumo travolgente e un sapore perfettamente bilanciato, cremoso in apertura e poi stemperato dai ritorni citrini e amaricanti. I cappellacci di maiale, prugne secche, parmigiano e bitter, fanno sfoggio della componente umami del parmigiano e rendono un senso di grande equilibrio.
Con i secondi si fa un salto in Francia: una salsa di burro e sidro di mele avvolge la spigola. Il piatto sarebbe fin troppo classico se non intervenisse la polvere di liquirizia, che rinfresca e dà la terza dimensione. Intermezzo vegetale con le puntarelle marinate all’alloro, unico sprizzo di romanità nel percorso.
Poi arriva l’agnello panato con senape in foglia, semi e salsa: tenero, succoso, anche questo più vicino alla Francia che al nostro appennino quanto a delicatezza ed equilibrio dei sapori.
Un giro di formaggi e si chiude con il risolatte, caffè e cardamomo. La spezia riesce nell’intento di smorzare la dolcezza di un dessert relativamente semplice, che sa di colazioni dell’infanzia.
La carta dei vini è abbastanza ampia e ben strutturata: dà molto spazio al naturale, ma contempla anche qualche etichetta più classica. Scelgo il percorso di degustazione al calice e il sommelier mi fa spaziare tra Loira e Toscana con un blend di Ancellotta e Sangiovese, la penisola di Mornington in Australia per un Pinot Nero sorprendente, il Roero e la Murgia ai piedi di Castel del Monte, seguendo il fil della rouge della freschezza e della purezza di frutto.
CONCLUSIONI
Un percorso coinvolgente quello di Zia, con un paio di portate eccezionali e una varietà di tecniche, ingredienti e accostamenti che dimostrano che Antonio Ziantoni ha personalità da vendere. Non c’è nulla di scontato o di modaiolo nella sua cucina: le citazioni dei grandi maestri sono evidenti, ma non scadono mai nel de ja vù. Si aggiungono l’esborso modico e un servizio che alla professionalità abbina spigliatezza e sorriso e ne esce fuori una formula che accontenta tutti: giovani e meno giovani, patiti delle stelle e gastrofighetti, ma anche semplici curiosi che vogliono avvicinarsi all’haute cuisine senza troppi sforzi economici e mentali.
Via Goffredo Mameli, 45, 00153 Roma
Report del 27 dicembre 2018
George Blanc a Vonnas, il tre stelle di Gordon Ramsay a Londra e soprattutto quattro anni da Anthony Genovese al Pagliaccio. Antonio Ziantoni, 32 anni, dopo aver imparato le basi della cucina decide di aprire il suo ristorante nel cuore di Trastevere. Uno staff giovane, aiutato dalla compagna Ida Proietti, che cura l’accoglienza e da Marco Pagliaroli, a dirigere servizio e carta dei vini.
Non ci sono le tovaglie sul tavolo, il locale ha uno stile abbastanza “nordico” nell’arredamento, minimale, senza fronzoli, curato, forse da migliorare solo le luci in sala. In un periodo in cui tanti giovani cuochi vogliono fare i “fenomeni” passare una serata da Zia ci riconcilia con la cucina, quella “cucinata”, fatta di fondi, salse, di cotture espresse. Non poteva che essere così, viste le esperienze di Antonio. I fondi e le salse sono le basi, certo sta al cuoco attualizzarle, renderle più leggere. Non basta aver buon gusto e abbinare bene tre prodotti, se non hai le basi classiche, almeno per me, sarà sempre una cucina incompleta.
L’interno di Zia restaurant
Si parte con l’idea di mozzarella, fatta con del latte di capra e servita nel suo siero, il cono farcito con un battuto di radicchio, capperi, pomodori secchi, crema di scamorza e polvere di pomodoro, una tartelletta con una rapa rossa marinata. Tutto molto leggero, divertente.
L’ostrica e nervetti, adagiata su una crema di cavolfiore, olio di verbena, insalata di nervetti, scalogno e dei cavoletti di Bruxelles fritti. La capasanta, scottata, servita con caviale, crema di porro bruciato e fritto, gelato di mandorla e crumble di mandorla bruciata. Tecnica e cotture espresse, anche se ci sarebbe piaciuto vedere il giovane cuoco anche alle prese con qualche prodotto meno pregiato, soprattutto nella prima parte del menù.
Panzerotto, farcito con del galletto affumicato, servito con polvere di capperi ed olive, alla base una salsa di pomodoro del piennolo. E’ uno dei due piatti del viaggio. La pasta è tesa alla perfezione, il ripieno è goloso e intenso, il brodo di pomodoro del piennolo, fornisce la giusta aromaticità e acidità. Molto ben fatto anche il tortello, funghi e ricci di mare. I tortelli vengono farciti con tre tipi di radici, scorzobianca, topinambur e rapa bianca, serviti con di ricci di mare trombette della morte ed un brodo di funghi che sa di umami.
Sui secondi Antonio mostra tutte le sue basi classiche. La razza cotta con la salsa maître d’hotel, a base di burro, prezzemolo e fumetto di pesce, servito con il topinambur in due consistenze, fritto ed in crema, terminata con il lemon curd ed una salsa di dragoncello. Il piccione e mela, la zampetta da rosicchiare ed il petto servito con la propria salsa, in accompagnamento una terrina di fegatini laccata con vino rosso e mele e poi una mostarda di mele cotogne. Infine il capriolo, la sella è servita con la propria salsa, crema di castagne aromatizzata al Gran Marniner, insalata di mirtilli e scalogno. Classicità si, ma con intelligenza, le note dell’acidità sempre presenti, tutto molto centrato.
Il pre dessert è un macaron farcito con una terrina di foie gras e mosto cotto. Poi uva, alloro e bufala. Quattro tipologie di uva la bianca, la rosé, la pizzutello e la verjus, quest’ultima marinata una notte nel proprio succo e vengono servite con una crema di alloro, spuma di bufala, meringa fresca e cialda al cioccolato bianco. La nocciola, servita in tre consistenze, in crema, caramello e biscotto, camicia di cioccolato al latte e oro alimentare, in omaggio a Credric Crolet, veramente delizioso. L’altro piatto del viaggio insieme al panzerotto.
Conclusioni
Cinque portate a 45 euro nel cuore di Trastevere, in questo momento, ci sembra il miglior affare possibile nella città capitolina per provare una cucina d’autore, pensata, con le basi classiche, quelle che ti permettono di fare tutto. Il servizio, tutti giovani e sorridenti, il plus. Facile prevedere che sentiremo ancora parlare molto a lungo di questo ristorante, smorzato qualche difetto di gioventù.
Zia restaurant Roma
Via Goffredo Mameli 45, 00153 Roma
PRANZO: da Giovedì a Sabato: 12.30 – 14:30
CENA: da Lunedì a Sabato: 19:30 – 23:00
tel: 06 23488093
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
Non discuto la cucina che non conosco ma un ristorante stellato che fa doppi turni e dove bisogna ordinare almeno tre portate,sinceramente non mi è mai capitato.Per questo mi rifiuto di conoscerlo.
Alla prossima tappa a roma. soro’ li’!!