We love pasta: viaggio alla scoperta del Pastificio Dei Campi
di Floriana Barone
Quando Giuseppe Di Martino è a Gragnano, ogni mattina infila il naso all’interno della cella statica del Pastificio Dei Campi. Il presidente del Consorzio Pasta di Gragnano IGP ne è “addicted” e cioè “dipendente”: quello della pasta in essicazione è un profumo che rapisce. È come tornare, in un attimo, in mezzo al campo di grano.
Il Pastificio Dei Campi è il fiore all’occhiello del suo patron: produce 37 quintali di pasta al giorno. Non un marchio qualsiasi, ma un brand di altissima qualità, destinato prevalentemente a un pubblico gourmet, che, per caratteristiche e formati, risalta la tradizione culinaria italiana, ma conserva, al contempo, una modernità disarmante. Il Pastificio utilizza solo grano duro 100% italiano, con un tenore proteico minimo del 14%, rispetto a una media del 10,5% delle produzioni classiche e acqua della falda acquifera locale. Ma non è tutto: la pasta, trafilata al bronzo, viene essiccata lentamente a bassa temperatura e, in più, ha una provenienza totalmente tracciabile.
Il grano duro ha una proprietà importantissima: la memoria di forma. Le proteine che legano l’impasto riescono a mantenere la forma anche quando la pasta entra in contatto con l’acqua bollente. La pasta in pratica, una volta cotta, non torna più indietro.
La pasta di Gragnano oggi rappresenta il 14% dell’export italiano. Il 60% dei formati di pasta italiana si devono a questa città e dal 2013 la pasta di Gragnano è Igp. A Napoli il formato più venduto è quello della pasta mista: i napoletani la utilizzano per almeno 3 ricette ogni settimana, come pasta e fagioli o pasta o lenticchie. E sui formati a Napoli e provincia non si scherza: ogni formato di pasta si sposa perfettamente con una ricetta particolare. Non solo: esistono in commercio alcuni formati speciali, che durano solo per un giorno, altri per una settimana, altri ancora per tutta la città.
Via Roma: “A Lamb o’vient”
Già nel Cinquecento Gragnano era nota come la patria della pasta di grano duro: di fronte si ergevano i Monti Lattari, il terreno era molto fertile grazie al Vesuvio e l’acqua del torrente Vernotico era un elemento prezioso per far girare le macine della Valle dei Mulini, alimentata dalla sorgente della Forma.
Queste montagne, inoltre, rappresentavano dei veri e propri serbatoi d’acqua leggera, perfetta per l’impasto della pasta. A metà del Settecento l’amministrazione della città ne ridefinì l’assetto urbanistico per favorire l’essicazione dei “maccheroni”, con un progetto dell’architetto Riccardi su via Roma che garantiva la massima esposizione solare della strada e un assetto a forma di “s” per canalizzare l’aria. I balconi servivano per far asciugare la pasta, disposta su canne lunghe anche 2 metri e mezzo: l’aria entrava da Ovest verso Est, la vicinanza alla costa portava la brezza termica che poi si dirigeva verso l’alto. L’aria sbatteva sui Lattari e girava: era un turbine carico di umidità che asciugava la pasta. Per questo via Roma era chiamata anche “A Lamb O’vient” e cioè la “lama del vento”. Anche la pavimentazione aveva una funzione precisa: il basolato grosso, grazie al sole, riscaldava dal basso e fungeva da “forno” e asciugava la pasta. A via Roma per seccare uno spaghetto si impiegavano, d’estate, due giornate e una nottata. Un acquedotto romano trasportava l’acqua della Forma ai Pastifici attraverso due fontane: quella chiamata l’Asso di Coppe e l’altra a Piazza S. Leone. Intorno al 1861, Gragnano comprendeva 14mila abitanti: di questi, 12mila lavoravano nei pastifici, compresi i bambini dai 5 anni in poi, che confezionavano la pasta nella carta blu. In questa catena produttiva, la stazione ferroviaria, inaugurata nel 1886, fu un passo fondamentale: con tre binari, consentiva il più rapido trasporto delle persone e delle merci a Castellamare di Stabia.
La Valle dei Mulini, di proprietà della nobile famiglia dei Quiroga, sfruttava l’acqua del torrente per la macinazione del grano, che arrivava spesso dalla Sicilia e dalle Puglie. Alcuni documenti attestano la presenza dei mulini ad acqua nella Valle dal XIII secolo: l’attività subì un primo arresto con l’apertura dei primi pastifici, per terminare definitivamente intorno agli anni Quaranta del secolo scorso. Una volta erano attivi 35-40 mulini, ma oggi sono visibili solo alcuni ruderi. Il sistema di canalizzazione dell’epoca era ingegnoso: ogni torre veniva riempita d’acqua, poi, di colpo, veniva calata tutta giù e, nello scendere, produceva energia.
Gli italiani e la pasta
La pasta è un’invenzione urbana ed estiva, legata alle città romane: già nel III sec a.C. una produzione essiccata di lagane rappresentava la derrata per le scorte in caso di assedio. Ovidio indicò proprio un piatto di lagane e ceci come pasto dei soldati romani.
Secondo una ricerca Doxa-Aidepi (Associazione delle industrie del Dolce e della Pasta Italiane), nel Mezzogiorno oltre il 99% delle persone mangiano un piatto di pasta in media 4-5 volte a settimana. Scendendo più nel dettaglio, nel Centro-Italia, il 45% mangia la pasta tutti i giorni, contro il 32% del Meridione. Interrogati sui fattori di qualità percepita della pasta, gli italiani di regioni come Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, tutte zone ad altissimo tasso di conoscenza e apprezzamento di questo alimento, rispondono in linea con l’opinione nazionale: anche al meridione, gli italiani mettono al primo posto tra gli indicatori di qualità della pasta il fatto che resti al dente e tenga la cottura (78%), che sia fatta con grano di qualità (71%) e che si leghi perfettamente al condimento (58%). La tenuta al dente, quindi, per quasi 8 italiani su 10, è il primo fattore di qualità.
Uno dei segreti del Pastificio Dei Campi è il lavoro sulla temperatura della pasta: più si abbassa la temperatura di servizio, più la pasta recupera di cottura. Perché la pasta deve essere al dente, viva, non si deve “sedere” sul piatto. E una cottura al dente si può osservare dalle curve che fa sul piatto.
Ogni italiano ha il suo preferito tra gli oltre 300 formati di pasta censiti da AIDEPI: da Roma (esclusa) in giù la pastasciutta piace liscia, che con il 13% delle preferenze tocca le punte più alte di gradimento a livello nazionale. Il formato preferito di Giuseppe Di Martino? La lumachina, che a Napoli si cucina con le lenticchie.
Il gruppo Pastificio Di Martino Gaetano & F.Lli possiede quattro stabilimenti e tre linee di produzione, che portano avanti obiettivi e progetti diversi: al marchio di famiglia, Di Martino, nato nel 1912, si sono aggiunti il Pastificio dei Campi nel 2007, Antonio Amato nel 2014. Ogni giorno, in totale, questi stabilimenti producono quasi 9 milioni di porzioni di pasta. E, pochissimi mesi fa, il Pastificio Di martino ha acquisito anche la maggioranza dei Grandi Pastai Italiani.
Pastificio dei campi: tutte le fasi della lavorazione
Il Pastificio Dei Campi ha una produzione discontinua, con strumenti moderni, ma nel rispetto della tradizione. Dopo la coltivazione, il grano duro viene macinato e trasformato in semola. Acqua e semola vengono poi impastate e successivamente estruse. Il formato viene steso sui telai di legno e disposto sui carrelli, finendo nelle celle statiche che asciugano la pasta non oltre i 50°. In questi ambienti l’aria è “gentile”, delicata: l’obiettivo è quello di mantenere bene il prodotto, che rimane asciutto e sempre areato. Questa scelta permette di non modificare le proprietà delle proteine della pasta, rendendola più buona e anche più digeribile. Il formato più veloce ad asciugare impiega circa 28 ore, mentre quello più lungo è la candela, che, d’inverno, asciuga in 90 ore. Poi la produzione si ferma per almeno 24 ore. Il confezionamento viene fatto a mano con cartone riciclabile e rigido per proteggere la pasta soprattutto per le spedizioni. Ma il Pastificio Dei Campi ha anche un elemento artigianale: il progetto, la cura per ogni minimo dettaglio del processo produttivo.
Il pastificio Di Martino
Per 26 anni Giuseppe Di Martino ha vissuto all’interno del pastificio di famiglia, nato nel 1912, ereditando l’esperienza di tre generazioni di pastai. Attraverso gli oltre 120 formati di pasta prodotti, il Pastificio Di Martino, si propone di offrire un prodotto di eccellenza, buono al palato, tenace in cottura e altamente digeribile, grazie alla percentuale minima di proteine del 14%. Una pasta porosa e dal profumo intenso, prodotta con varietà di grano duro nazionali, come avviene per il Pastificio Dei Campi e per Antonio Amato. Nel 2017 l’Azienda ha inaugurato due importanti novità: il Sea Front Di Martino Pasta Bar e La Devozione, situati in Piazza Municipio, a Napoli.
Il Pasta Bar è uno spazio unico, che regala un’esperienza indimenticabile con menu degustazione curati nei minimi particolari dallo chef Pierpaolo Giorgio, sotto la supervisione dello chef stellato Peppe Guida.
Al piano terra, oltre al negozio del brand, è ubicato il tempio dello spaghetto al pomodoro take away per chi non ha tempo, ma non vuole rinunciare alla buona cucina. La Devozione oggi è un marchio registrato: gli spaghetti vengono cucinati per 4 minuti in acqua e 4 minuti nel pomodoro. In Piazza Municipio si vende all’interno dell’apposito box dove rimane per ben 50 minuti caldo e al dente, ma è ottimo anche consumato il giorno dopo. Non è un caso che il piatto del futuro, secondo Giuseppe Di Martino sia proprio lo spaghetto al pomodoro: ha migliorato il mondo e rimarrà come eredità alle prossime 20 generazioni.
Proprio per celebrare la Pasta di Gragnano Igp, lungo via Roma, ogni anno a settembre, viene organizzata la Festa della Pasta: per l’edizione che si è appena conclusa, “Pasta, amore e… pomodoro”, il Consorzio ha ricreato l’atmosfera della seconda metà degli anni Cinquanta, come nel capolavoro “Pane, amore e…”, in cui Sofia Loren ballava sulle note di “Mambo Italiano” insieme a Vittorio De Sica. “Pasta, amore e… pomodoro” ha rappresentato un inno agli ingredienti della pasta di Gragnano, un mambo tutto italiano.
Pastificio dei Campi
Via dei Campi, 50, 80054 Gragnano(Na)
Tel: 081/8018430
Chiuso il sabato e la domenica
http://www.pastificiodeicampi.it/
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