Vittorio Feltri. La pizza, gli spaghetti e i pizzoccheri


Vittorio Feltri detesta spaghetti e pizza

Adoro Vittorio Feltri. Ma anche Sgarbi, pure Cruciani. Sono sempre stato affascinato dai borderline perché il mio vero nemico, sin da bambino, è la noia. In genere i borderline vanno sempre dritti al punto senza mezzi termini, una qualità che noi di sinistra abbiamo perso alla fine degli anni ’70 per essere seppelliti da un linguaggio ecumenico e liturgico di stile democristiano, noioso e matusa, preoccupato ormai sempre di non offendere nessuno, neanche chi massacra bambini o invoca la guerra a oltranza.
Feltri è un giornalista di razza, le sue idee vagheggiano la nostalgia di un passato che mai tornerà e che forse mai c’è stato veramente, ma ha l’incredibile  capacità di andare subito al punto cogliendo gli umori profondi del suo pubblico di riferimento perché la sintesi di un vero polemista è proprio avere questa dote e non dire cosa sia giusto o sbagliato.
E qual è il punto del suo libro “Mangia come scrivi” realizzato con il mio caro amico Tommaso Farina? Questo: che la cucina del Nord è estranea alla rappresentazione del made in Italy nel piatto all’Estero. Pizza e spaghetti che la identificano sono vere schifezze dice Feltri, meglio i pizzoccheri. Aggiungerei, basta babà e cannoli, viva la sbrisolona.
La sua solita abilità nel fare casini ha scatenato da oggi il web nella consueta saga in stile Peppone e Don Camillo di Nord contro Sud e Sud contro Nord, con la sintesi portata avanti dai più saggi che conclude che in ogni regione italiana si mangia bene ed è per questo che l’Italia è il paese dove si mangia meglio.
Ma andando più a fondo, direi che il libro è un de profundis alla presunzione di una certa critica che per 30 anni ha provato a dimostrare il contrario, ossia che l’Italia è rappresentata dalla cucina del Nord. Il riso e il risotto sono, secondo questa narrazione artefatta, la summa della cucina identitaria, non gli spaghetti e la pizza. Era un critica gastronomica che diffondeva fake news del tipo che per prendere le stelle Michelin si doveva usare il burro e non l’olio d’oliva, fondi bruni e non pomodoro. Certo, la ristorazione moderna, quella pubblica, è nata al Nord quando la borghesia raccontata da Tognazzi e servita da Marchesi iniziò a provare il gusto di esibire la propria ricchezza al ristorante e Bergese da cuoco di casa Savoia divenne cuoco dei cummenda della Brianza. Ma l’alimentazione moderna parla di mediterraneo con olio d’oliva, vegetale protagonista, odori.
Questa narrazione che ha avuto il culmine nell’elevare a ruolo di padre della critica Pellegrino Artusi che ha parlato solo di cucina emiliana e toscana ignorando tutto ciò che c’era sotto l’Arno, relegando Vincenzo Corrado e Ippolito Cavalcanti ad autori locali, se non proprio etnici, ha iniziato a scricchiolare progressivamente dagli anni ’90 in poi sino al punto di arrivare ad una situazione in cui Napoli è diventata la provincia più stellata d’Italia e la Campania è seconda alle spalle della Lombardia dove però tanti cuochi premiati sono del Sud e fanno cucina del Sud. Ma questo riguarda una fetta della ristorazione, la verità è che sempre più ai ristoranti toscani degli anni ’70 sono subentrati ristoranti napoletani, pugliesi, siciliani in Italia e nel mondo, sino ad un vero e proprio ribaltamento di questa narrazione che ha portato pizza e spaghetti ad essere identitari del made in Italy nel mondo, complice sicuramente l’emigrazione, la tendenza più conservativa dei meridionali a tavola, nuove tendenze che portano ad esaltare quelle cucine in cui non è la carne ad essere centrale come invece avevano deciso i francesi.

Der Spiegel, la famosa copertina che identificava l’Italia con gli spaghetti

Un processo di identificazione sempre più marcato con il quale la critica gastrofighetta niente ha potuto, soprattutto grazie alla esplosione del web e dei social come mezzo di comunicazione.
Ecco allora la nuova narrazione lanciata da Alberto Grandi e Daniele Soffiati, una sorta di cancel culture alla bagna cauda. La cucina italiana? Non esiste. Un modo sofisticato perchè ammantato di ricerca per rovesciare la realtà e delegittimare un senso comune che ormai è consolidato. La Dieta Mediterranea? Una invenzione americana secondo i due reelisti, gli spaghetti al pomodoro? Inventati dagli emigranti che hanno conosciuto questo ortaggio in Usa, dimenticando che la ricetta dei vermicelli è già descritta nel 1837 proprio da Ippolito Cavalcanti. Persino la pizza si è salvato grazie ai brasiliani sostiene Grandi per non perdere quel briciolo di visibilità che gli studi universitari non gli avrebbero mai dato. Insomma, un inconfessabile fastidio che siano i piatti del Sud le icone italiane a tavola edulcorato da ricerche raffazzonate che partono dagli stessi presupposti per cui la certa critica criticava pomodori, spaghetti e olio d’oliva come non degni di entrare in un ristorante stellato.
La radice è questa e Feltri ha il merito di dire le cose come stanno senza girarci attorno. Una sorta di Trump senza l’ipogrisia di Biden

Un recente posto di Elon Musk per parlare d’Italia

 

Ma al di là di queste storie, quello che conta è che Feltri, da fuoriclasse qual è, mette il punto sulla piaga: la cucina italiana è rappresentata da spaghetti e pizza? Io non ci sto. No alla “meridionalizzazione” della cucina nazionale, meglio la secessione gastronomica. Proprio come Bossi si batteva contro la meridionalizzazione delle istituzioni e contro Roma Ladrona. Il meccanismo è il medesimo, la rivendicazione di una identità che prende atto di non essere riuscita a diventarea nazionale come ambiva e narrava e che dunque ripiega sulla difesa territoriale.

Ma questa presa d’atto è anche lo squillo di tromba che annuncia la fine della fuffa gastronomica venduta per un quarto di secolo da una certa critica, di chi al Sud l’ha seguita dimenticando la propria identità, di chi si raduna ogni anno a Milano come i nostalgici del Duce a Predappio a celebrare un mondo che non c’è più se non nella loro testa zendrina.

La verità è che ogni provincia italiana ha tesori gastronomici buonissimi che purtroppo vengono banalizzati e cannibalizzati dal turismo di massa, ma che la rappresentazione del Made in Italy è affidata sostanzialmente a due regioni, il Sud e l’Emilia Romagna e alle ricette di pasta di Roma.

Feltri, come ha argutamente notato Barbara Guerra sul Gusto.it, ha lanciato una provocazione.
In realtà lui è un gastronomo protestante, austero. Non mangia il pesce perchè il mare è sporco, non sa uccidere un animale e per campare a lungo ha letto il mio libro sul Metodo Cilento che tiene in bella mostra nella sua biblioteca.

Si, lo spaghetto al pomodoro è una banalità, ma la nostra società di massa per sopravvivere deve nutrirsi di banalità. E chi come Feltri detesta la banalità non rinuncia a combattere. E allora, come non seguirlo nella grande cucina del Nord che ormai tutti sembrano aver dimenticato, a cominciare da quello che propone la <sua> Milano dove le trattorie di cucina lombarda consigliate da Tommaso Farina sono sempre più rare?

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