Quando il vino rosso incontra la grande cucina giapponese. Un matrimonio possibile
di Ugo Marchionne
Premessa
Questo articolo nasce da una mia volontà di ricerca, ispirata sia da Luciano Pignataro, sia dalla molteplicità della cucina giapponese, considerata troppo spesso per la sua anima votata solo al sushi. La forza della cucina giapponese sta proprio in questo invece, nella sua versatilità, nella sua vastità, nel poter annoverare in archivio come tutte le tradizioni gastronomiche mondiali, sia piatti sofisticati che piatti più poveri e corroboranti. Il filone culinario del Sol Levante troppo spesso, peraltro anche da me, è accostato alle bollicine o a vini bianchi profumati e fruttati. Le possibilità enogastronomiche di abbinamento invece sono infinite e grazie alla cortese disponibilità del ristorante Jorudan Sushi di via Tasso ho potuto raccogliere una finestra di piatti che ben si potessero sposare con alcuni rossi.
Il mondo occidentale conosce la cucina giapponese solo in quanto bandiera e contenitore popolare di sushi, sashimi, rolls e Tempura. In realtà il Giappone offre molto, molto di più. Inverni freddi ed estati calde spiegano un ventaglio di piatti che ricalca pressappoco la nostra tradizione dei piatti caldi, della cucina cotta per così dire. Ancora, la classe dirigente Giapponese costituisce uno dei principali mercati mondiali di vini rossi e champagne del mondo. I giapponesi amano i vini rossi, soprattutto della nostra penisola ed essendo Jorudan Sushi un ristorante che per quanto riguarda la cifra gastronomica collima con le tradizioni gastronomiche di Tokyo, Osaka & Kyoto, ho potuto raccogliere degli accostamenti di grandi rossi e piatti nipponici. La zuppa di patate e capesante di Hokkaido, la cui storia affonda le radici nella seconda guerra mondiale ben si sposa con un fragrante Taurasi Radici 2010 di Mastroberardino. Le note speziate di questo classico campano ben si sposano alla materia prima impiegata nella zuppa. Tutto è cotto a dovere. La copiosa quantità di patate deriva dal tempo di guerra quando le capesante dell’Hokkaido non potevano essere pescate. Una zuppa corroborante in cui è evidente una percentuale casearia.
Tanta carne anche nella cucina nipponica. Carne che prende varie forme. Popolari e nobiliari. In primis quella dei Gyoza, i ravioli fritti ripieni di cipollotto, carne di maiale marinata e spezie varie sulle quali domina il pepe nero. In secundis quella dei Nigiri di Kobe. La forma del sushi che veicola uno dei simboli del lusso associato alla cucina giapponese. Il popolare e il raffinato. Due componenti imprescindibili della cucina nipponica.
Prodotto con una selezione di Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, il Tignanello è uno dei primi vini ad essere prodotti in Toscana con uve non provenienti dal Chianti, così come i Gyoza al vapore di gambero e cipollotto sono il primo piatto di matrice cinese ad entrare di diritto nella storia del cibo giapponese. Essi sono la versione giapponese dei jiaozi e contemplano più tecniche di cottura, la pasta collosa, croccante o di gran nerbo, si sposa divinamente ad un vino rosso, necessitando di supporto una grande carica di tannini, robustezza e corpo.
E poi grande struttura. Il Black Cod, uno dei piatti principe della tradizione giapponese. Così fortemente strutturato, dolce, sapido, agro. La rotondità della pelle si sposa divinamente con un vino di gran pregio quale lo Sperss 2009 di Gaja. Le note di frutta rossa matura e bacche ricordano la tostatura e la caramellizzazione della Miso sul Black Cod Gindara.
Sfatiamo un mito. La Tempura, il fritto si abbina bene anche ai Rossi. Il fritto giapponese è leggero, poliedrico e richiama beva. A mio avviso anche un rosso deciso si sposa bene con la croccantezza di un grande fritto giapponese.
Il filo conduttore che può legare i rossi alla cucina giapponese è senza dubbio l’Umami. Il sesto senso del gusto, quello che crea salivazione, può essere la cartina di tornasole di un possibile accoppiamento con un rosso corposo. Una tataki o un piatto di noodles, magari dei sostanziosi Udon con Tempura di pesce bianco. Morbido e fruttatissimo il Giorgio Primo di Tenuta La Massa ha la soavità giusta per accompagnare il nerbo, la carnosità e la personalità di questi due piatti marcatamente invernali. Il salmone è sì pesce, ma cotto così, col sesamo e la salsa Shogari Teriyaki ristretta, muta completamente essenza, esaltando la proteina a tutto tondo.
Paradossalmente anche una semplice Tartare di Tonno, magari con del caviale oscietra potrebbe diventare un discretamente indovinato complemento ad uno per il rosso che più vi aggrada. Dove c’è gusto non c’è perdenza. Valorizzare i vini rossi della nostra penisola e della nostra regione anche nei ristoranti giapponesi potrebbe essere la mossa del futuro per creare una nuova percezione della cucina giapponese al di là della staticità dei soliti clichè telefonati in abbinamento. Generalmente al di là di quanto si possa pensare l’identikit di un rosso perfetto da pesce esiste. Giovane, fresco e poco tannico. Piatti quali la Tataki o la Tartare marinata alla soia possono essere ben complementati da un rosso così come i piatti in cui le note speziate e di zenzero sono presenti devono essere bilanciati in punto e contrappunto da rossi in cui è presente la tostatura o la frutta matura a livello olfattivo e retro-nasale.
Rosso e sashimi è il futuro, basta solo saper strutturare l’abbinamento. Per ora c’è un bagaglio di piatti caldi giapponesi che aspettano solo di essere degustati accompagnati da un calice di rosso. La celebrazione enologica della cultura e del patrimonio del nostro paese sta anche nel saperla adattare alle cucine etniche. Viva il rosso! Evviva la cucina giapponese.
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
Parafrasando un movimento politico della mia gioventù potremmo parlare di “soccorso rosso”.Mi spiego.Notizia di quest’anno lo storico sorpasso dei vini bianchi sui rossi.Di quest’ultimo che ne facciamo?Consumiamolo anche su pesce e verdure.Il che non solo mi trova d’accordo ma nel mio piccolo da tempo sperimento vini ,certamente più semplici, come la schiava ,il piedirosso,il fumin con risultati a volte sorprendenti.Nel suo caso(fatto di grandi vini il cui solo piacere di berli fa passare in second’ordine tutto il resto,l’unica perplessità potrebbe essere quella di una pietanza non all’altezza della grandezza del vino con il rischio di esserne surclassata e quindi un po’ sacrificata.Da parte mia ogni possibile incoraggiamento a sperimentare in questa direzione con la preghiera di comunicarci di volta in volta le sue considerazioni.PS.Se ad ispirare ricerche in tal senso abbia contribuito anche il nostro padrone di casa (stranoto bianchista)vuol dire propio “ca so cagnate e tiempi e ca nun se capisce chiu niente”.(Ogni riferimento alle italiche problematiche è puramente casuale.)Con simpatia FM.
Grazie per aver aggiornato!