Vino e critica internazionale dopo Parker 18| Giancarlo Gariglio (Italia)
Come sta evolvendo la comunicazione in Italia e all’estero? Come l’offerta formativa, oggi molto più ampia, può influire e sta influendo sul trend della comunicazione del vino, sempre più sofisticata e ancor più necessaria. Continua la serie di interviste ai critici del vino in Italia e all’estero.
Oggi lo chiediamo a Giancarlo Gariglio.
Giancarlo Gariglio, classe 75, piemontese di nascita ma poco legato alla sua regione, è laureato in economia ma i numeri non sono mai stati il suo mestiere. Gli piace ricordare di aver ideato Vignerons d’Europe, di aver contribuito alla fondazione della Fivi e di esserne stato il primo segretario nazionale fino alla nomina di curatore della guida (quando molla per conflitto di interessi). Ha concepito Slow Wine e dal 2010 ne è curatore insieme a Fabio Giavedoni.
Come sei “inciampato” nel settore vino?
Totalmente per caso visto che fino a 25 anni ero praticamente astemio. In casa mia si beveva molto male e le poche volte che avevo annusato e provato quei vini il ribrezzo era stato notevole. Quindi non avevo mai sentito il bisogno di bere però mi piaceva scrivere e volevo fare il giornalista, questo lo capii durante i miei studi universitari in economia e commercio. Subito dopo la laurea dovevo fare il servizio civile e avevo degli amici che lavoravano a Slow Food. Il passo, a quel punto, fu breve: mi appassionai prima al cibo (a cui ero in realtà già molto interessato) e poi al vino che mi ha dato la possibilità di fare ciò che desideravo, ovvero scrivere
Come credi sia evoluta la critica negli ultimi 30 anni? E da chi hai imparato di più?
In Italia la critica è in crisi profonda, una crisi che ha bloccato totalmente il ricambio generazionale; basti pensare che 15 anni fa ero il più giovane professionista e ancora oggi se non lo sono ci manca poco. Ci sono pochissime persone che fanno il mio mestiere come lavoro esclusivo. Altri si devono accontentare di pochi spiccioli ad articolo, si trovano a elemosinare spazio spesso addirittura gratuitamente, a lavorare per gli uffici stampa; a fare comunicazione e non informazione. Le aziende di vino italiane non hanno investito nell’autorevolezza della stampa italiana acquistando pubblicazioni o facendo da gran cassa a chi lavora con indipendenza, sono troppo legate al risultato sulla guida senza avere una visione strategica. Se lasciano solo agli stranieri il compito di giudicare i loro vini poi non possono lamentarsi se devono rincorrere le mode e stravolgere di conseguenza i propri vini, slegandoli dai territori e dai vitigni di origine. Per cui non sono molto positivo in questo senso. I miei due maestri sono stati Gigi Piumatti e Gianni Fabrizio. Da loro ho imparato innanzitutto come comportarmi, la professionalità e la dirittura morale che spero di avere; poi come si degusta e come si interpreta il vino nel bicchiere
Pensi che in Italia ci sia un deficit nella comunicazione dei prodotti enoici rispetto alle potenzialità delle risorse?
Assolutamente sì, come ho detto prima nessun investe in cultura. Si pensa al lato commerciale senza capire che i francesi hanno agito in modo differente negli ultimi 50 anni. Creano il mito attraverso musei spettacolari (vedasi Bordeaux), strade del vino, mappe enologiche, classificazione dei cru, etc
È noto che sia molto migliorata l’offerta formativa a disposizione di coloro che vogliono formarsi sulla tecnica di degustazione, la sommellerie, la geografia del vino e tutto il resto. Come credi che questo stia incidendo e inciderà sul presente e sul futuro – nemmeno troppo remoto – della comunicazione del vino?
Penso bene anche se ritengo che i sommelier debbano essere professionisti in due campi ben distinti: impeccabili nel servizio e nelle sue tecniche ma anche nel raccontare il vino non partendo dal bicchiere ma da quello che c’è fuori. Padroneggiare la materia con uno stile moderno che non crei distacco e che non ci ponga su una cattedra perché il vino è divertimento e convivialità, deve far pensare ma anche entusiasmare, deve raccontare storie e trasmetterle con leggerezza
Quali sono i presupposti per l’indipendenza della critica enologica?
Un distacco totale, un amore senza trasporto, non bisogna essere mai tifosi ma essere curiosi mettendosi sempre in discussione. Non esiste un punto di arrivo, per nessuno: né per i produttori né per noi che li giudichiamo. Non possono essere nostri amici, ci può essere rispetto, fascino nei confronti dei loro vini, ma bisogna far sempre intendere che anche il produttore che più rispettiamo e apprezziamo un giorno possa fare un vino sbagliato o che noi reputiamo tale. Non si deve temere, inoltre, di far arrabbiare i “mostri sacri”, quei produttori incensati da tutti (sicuramente a ragione) che si credono intoccabili perché hanno preso 20 volte i 100/100. Se un critico è convinto che un’etichetta non è al massimo deve dirlo e prendersi le proprie responsabilità, perché solo così avrà in primo luogo rispetto del proprio mestiere. In generale, noi guadagniamo molto poco rispetto alle responsabilità che abbiamo, l’unica nostra moneta di scambio è l’integrità, una volta persa il nostro valore è pari a 0.
Chi vedi nel futuro della critica enologica?
Penso che la critica debba evolversi utilizzando sempre di più le nuove tecnologie e in particolare i video e le immagini fotografiche, perché la viticoltura è praticata in zone bellissime del nostro pianeta e la divulgazione di questi scorci è di primaria importanza per raccontare la grande bellezza del vigneto italiano. Ma sono anche certo che lo scritto e il cartaceo siano ben lontani dallo scomparire, basti vedere come la nostra guida, in fondo, negli ultimi 9 anni sia cresciuta in termini di diffusione.
Un consiglio per: i giovani che muovono oggi i primi passi lavorativi nel settore enoico, i consumatori più o meno appassionati, i colleghi.
A dire il vero non mi piace mai dare consigli, di certo non li posso dare ai miei colleghi, mi sembrerebbe supponente. Per chi invece vorrebbe fare il nostro mestiere posso dire: “cambiate idea, non fatelo!”. Scherzo, sarebbe ingiusto e sbagliato. Come detto la strada è molto in salita, ma non è impossibile, sono certo che se una cosa la si vuole davvero e si lavora tenacemente per realizzarla alla fine arriva. Magari per vie traverse, in modo inaspettato. Non scoraggiarsi mai e avere tanta curiosità. Infine, non temere di sporcarsi le mani, il nostro non è un mestiere per fighetti e figli di papà, il compenso è poco ma la gloria tanta! Quindi se alla fine di una degustazione c’è da svuotare le sputacchiere lo si fa, lo faccio ancora adesso (e lo farò fino alla fine). E poi, ripeto, mettersi in gioco è essenziale. Ho sbagliato spesso, anche alcuni giudizi, succede, l’importante è sbagliare in buona fede; solo così ci possiamo svegliare la mattina e guardarci allo specchio. Invece ai consumatori dico di recuperare la fiducia in alcune pubblicazioni perché ci sono professionisti validissimi, penso ai Castagno, ai Gentili, ai Gravina, ai Masnaghetti, etc. Non tutta la critica è marcia, non tutti sono prezzolati. E poi non pensare di sapere tutto perché solo in Italia mi capita di confrontarmi con ristoratori che sanno tutto e poi acquistano i vini in base al distributore amico o appassionati che vengono alle nostre degustazioni e pensano di insegnare a gente che fa vino da 20 anni. Umiltà, curiosità e leggerezza, in fondo parliamo di vino e non dell’inquisizione spagnola!
Interviste precedenti
1 Alessandro Torcoli, Italia
2 Horia Hasnas, Romania
3 Cathy van Zyl, Sud Africa
4 Akihiko Yamamoto, Giappone
5 Arto Koskelo, Finlandia
6 Aldo Fiordelli, Italia
7 Caro Maurer MW, Germania
8 Madeline Puckette, USA
9 Ned Goodwin MW, Australia
10 Alessandra Piubello, Italia
11 Isabel Ferran, Francia/Spagna
12 Bernardo Conticelli, Italia
13 -Asa Johansson, Svezia
14 – Gabrielle Vizzavona (Francia)
15 -Nan-Young Baek (Corea)
16 – Armando Castagno (Italia)
17 -David Ransom (USA)
Un commento
I commenti sono chiusi.
Domanda:
“Quali sono i presupposti per l’INDIPENDENZA della CRITICA enologica?”
Risposta:
“…non bisogna essere mai TIFOSI.
Non esiste un punto di arrivo, per nessuno:
né per i produttori né per noi che li giudichiamo.
Non possono essere NOSTRI AMICI,
ci può essere rispetto, fascino nei confronti dei loro vini,
ma bisogna far sempre intendere che anche il produttore che più rispettiamo e apprezziamo un giorno possa fare un vino sbagliato o che noi reputiamo tale.
Non si deve TEMERE, inoltre,
di FAR ARRABBIARE i “mostri sacri”,
quei produttori INCENSATI da TUTTI (sicuramente a ragione) che si credono INTOCCABILI perché hanno preso 20 volte i 100/100.
Se UN CRITICO è convinto che un’etichetta non è al massimo DEVE DIRLO e prendersi le proprie responsabilità, perché solo così avrà in primo luogo rispetto del proprio mestiere.
In generale, noi guadagniamo molto poco rispetto alle responsabilità che abbiamo, l’unica nostra moneta di scambio è L’INTEGRITA’ una volta persa il nostro valore è pari a 0.”
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Penso che l’INDIPENDENZA della CRITICA italiana sia molto bassa, e non solo nel settore eno-gastronomico.
Prevale una CRITICA RUFFIANA.
E’ forte il legame con il MARKETING:
quando capiremo che marketing e critica sono incompatibili?
Che la critica è il contrario del marketing?
E che bisogna anche distinguere
la critica dalla comunicazione?
In Italia le tre attività sono mescolate in modo a volte imbarazzante.
Il CONSUMATORE, il cliente non è al centro delle preoccupazioni delle tre attività ma è un OGGETTO da persuadere, INFLUENZARE, manipolare a FINI COMMERCIALI.
Il WEB ha favorito l’addomesticamento della massa per cui le cose continueranno con questo andazzo.
Vi sono sporadiche eccezioni che confermano la regola.