Vinitaly 2006. La questione Sannio


La questione riguarda una quarantina di aziende sannite e la riassumo così: non c’è posto per tutti negli spazi pubblici allestiti dalla Regione e UnionCamere Campania al prossimo Vinitaly e la provincia di Benevento avrà meno posti di tutte le altre province pur essendo quella con la maggiore quantità di ettari vitati e di vino doc e igt, la terza per quanto riguarda le cantine che etichettano e imbottigliano. Una grave ingiustizia? Uno schiaffo? I produttori, guidati da Antonio Ciabrelli, presidente della Strada del Vino e da Domitzo Pigna presidente del Consorzio Samnium, hanno protestato e alcuni esponenti politici di rilievo, Sandra Lonardo Mastella presidende del Consiglio Regionale e l’assessore regionale all’Agricoltura Andrea Cozzolino fra tutti, hanno mosso passi ufficiali per manifestare la loro disapprovazione.
Noi riteniamo, lo abbiamo scritto in  più di una occasione, che il Sannio sia il futuro del vino campano viste le dimensioni della viticoltura, il numero delle aziende, la nascita di strutture di accoglienza che non hanno paragoni altrove, gli investimenti venuti da fuori, la qualità del prodotto in fortissima crescita. Di questo le guide nazionali non si sono accorte, pazienza, anche perché ciascuno è padrone in casa e la gente è poi libera di consultarle o meno.
Per un ente pubblico la questione è diversa, ma noi in queste poche righe non faremo populismo, cercheremo invece di semplificare al massimo la questione.
C’è un ente, l’Ersac, che per natura istituzionale ha il compito di promuovere l’agroalimentare campano in Italia e all’estero. Perché il coordinamento della presenza a Verona è affidato a più registi e non solo a chi per dovere è pagato per fare questo? Dirò di più: perché l’Ersac è stato espropriato di fatto da questa funzione dopo che ha avuto il grande merito di qualificare la presenza regionale da poco più di zero ad un livello più che accettabile se confrontato con altre regioni? Se non si è convinti di questo allora perché non si ha il coraggio di andare fino in fondo e scioglierlo? Perché, insomma, mantere gli equivoci?
Il fatto è che per il vino è accaduto quanto succede da tempo per il turismo: scoppiata la moda, mancando altre idee, tutti hanno capito che interessarsi di questo settore porta (io dico portava ma ancora non se ne sono resi conto) molta visibilità. Per questo siamo passati da zero a mille iniziative sul bere e sui prodotti di territorio. Hanno scoperto il vino gli assessorati provinciali, quelli comunali, i Gal, le Comunità Montane, le circoscrizioni, i condomini, le Camere di Commercio, eccetera, eccetera. Tutte queste strutture si buttano nella promozione senza coordinarsi fra loro seguendo il precetto: pago (anche se sono soldi pubblici), faccio di testa mia perché comando io. Purtroppo non tutte hanno le competenze esterne giuste e spesso i politici e i burocrati si affidano a improvvisatori, giocolieri dei rapporti, per non dire di peggio.
Il risultato è che manca una testa unica capace di ottimizzare la spesa e fare le cose per bene.
A questo bisogna aggiungere la mentalità tipica di noi meridionali, abituati a muoverci come gli spermatozoi, ognuno per sé e che Dio ce la mandi buona. Solo adesso, a quindici anni dal boom del vino campano, i consorzi e le Strade del Vino si stanno veramente organizzando: come sapete, quindici anni nel mondo globale equivalgono a due secoli del passato, ma nessuno ne ha avuto coscienza: mentre i produttori litigavano fra loro, l’Australia ha piantato e passato in produzione un territorio grande più della Campania, tanto per fare un esempio. La mentalità individualista vede il livello istituzionale come un ostacolo e cerca nel rapporto personale la soluzione al proprio problema, unico modo di ricavare vantaggio.
Eppure sarebbe tutto molto semplice, estremamente affidabile e tranquillo.
A dicembre, quando i bianchi della vendemmia precedente sono maturi e i rossi sono in genere messi nel mercato le aziende che intendono partecipare al Vinitaly dovrebbero presentare i loro prodotti ad una commissione che li giudica alla cieca. Si fa una graduatoria e sulla base di questa si stabiliscono gli accessi al posto pubblico. Quanto alla suddivisione territoriale, basterebbe avere come parametro la produzione docg, doc e igt di ciascuna provincia e fissare dei parametri capaci di rendere omogenea la presenza. Poi si procede con la gare
Tutto molto semplice vero? Sì, ma questa soluzione ha un difetto grande, enorme: riduce il margine di discrezionalità di chi decide e dunque non è una proposta funzionale perché attacca le basi del potere bizantino il cui modello, comandare i sudditi e non essere un servizio per i cittadini, è sicuramente la fonte ispiratrice del comportamento pubblico in Italia. Intendiamoci, un sistema distorto si regge se c’è una condivisione di massa distorta: a cominciare dai produttori. Quanti di loro accetterebbero di sottoporre i loro vini a questo tipo di esame? Solo quelli sicuri di sé.
C’è poi una questione, la dico a margine, che riguarda gli amici del Sannio: se l’Ente Camerale è commissariato perché le categorie non trovano l’intesa è inutile prendersela con chi porta acqua al mulino del proprio territorio di riferimento in altre province. La questione nasce dal fatto che dopo la presidenza di Roberto Costanzo c’è il vuoto e non si riesce a trovare la soluzione: come a Beirut invece di prosperare si sono sparati per quindici anni, così ora a Benevento di fatto è tutto fermo da due anni perché nessuno vuole fare passi indietro su questa questione. Le conseguenze della politca come scontro e non come arte della mediazione sono anche queste: non avere potere adeguato nella contrattazione di territorio. Ed ecco allora che spunta la solita soluzione di stile meridionale-bizantino, affidarsi ai rappresentanti politici più forti del territorio chiamati ad intervenire non perché abbiano competenze amministrative per farlo, ma in quanto santi protettori a cui affidarsi per risolvere proprie deficienze.
Riassumendo, questa è la proposta che lancio
1-Affidare all’Ersac la reale cabina di regia della presenza del territorio a Verona
2-Affidare agli enti camerali la selezione certa e legale: chi garantisce sulla qualità di quello che si porta a Verona? Attualmente nessuno. Da questo punto di vista è giusto far pagare una quota ai produttori perché la disponibilità a pagare è il primo segnale tra chi fa sul serio e chi ci prova: non a caso la promozione dei fondi europei si basa sul principio del cofinanziamento.
3-Affidare a Unioncamere il compito della ripartizione e della gestione della presenza.
Spero che l’anno prossimo di proceda in questo modo, ma voglio chiudere con una nota positiva: appena nel 2000 tutto questo dibattito non sarebbe esistito perché pochi andavano al Vinitaly. In questi anni la crescita è stata così tumultuosa che è diventato davvero difficile controllare il processo: la voglia di spazio è un segnale di buona salute del vino campano che, per fortuna, non a conosciuto la crisi delle altre regioni grazie alla tipicità dei prodotti, al grande mercato interno e al giusto rapporto mantenuto nei prezzi.
Forza allora, ancora uno sforzo. Da produttori a buoni commercianti.