Vignaioli Naturali a Roma 2013: storie di vini organici, territori giusti e gente vera


l’immagine della manifestazione

di Annito Abate

Una “Naturalis Historia”, per dirla alla Plinio, quello “vecchio”, la cui maggiore esperienza saprebbe narrare, con dovizia di particolari, la splendida giornata trascorsa nell’Urbe a degustare il più naturale tra i Nettari di Bacco.

Vignaioli Naturali a Roma“, l’evento enoico organizzato da Tiziana Gallo (illuminata negociant en vins), ha “consumato” la sua quinta edizione tra sabato 9 e domenica 10 febbraio nell’Hotel NH Villa Carpegna al numero 6 di via Pio IV della Capitale.

Questa manifestazione scandisce ritmicamente la più fredda stagione dell’anno ed ogni volta, come accade in vigna, tra gennaio e febbraio, prepara le “gemme” per il futuro raccolto; è stato bello cercare i differenti “caratteri” del vino, quelli dei vignerons che hanno sempre una storia da raccontare della loro terra, della loro gente e dei loro prodotti.

E questa edizione, scegliendo di cambiare la parte iniziale del suo nome, sposta l’asse dell’attenzione proprio verso chi sa interpretare al meglio il suo prodotto per diffonderlo, farlo comprendere e meglio apprezzare.

Scegliamo di “degustare” nel secondo dì e quindi partiamo, il prof. N ed io, nel Giorno del Signore lasciandoci alle spalle, non proprio di buon mattino, lo splendido paesaggio di un Vesuvio innevato.

Con il sole a perpendicolo, ci allunghiamo sulla via Aurelia e quasi “alla mezza” attraversiamo il cancello della Villa che ospita la manifestazione. Abbiamo più di sette ore per soddisfare la nostra curiosità, degustare l’elenco dei vini meticolosamente studiato prima, fare le dovute pause e salutare Ciro e Rita Picariello che, sempre gentili ed ospitali, troviamo, in atteggiamento stacanovista, dietro la postazione loro assegnata con i vini ben in mostra tra i quali spicca l’ormai nota arancio della doppia etichetta rovescia del loro Brut Contadino in attesa di liberare i lieviti.

Ciro Picariello: amicizia ed ospitalità

 

Decidiamo di fare una panoramica generale, la gente comincia ad affollare le sale, cerchiamo di individuare la posizione delle Cantine del nostro fitto elenco consapevoli che non sarà semplice arrivare al completamento.

Darsi un ordine non è facile ma facciamo coincidere l’inizio dall’unione di due idee: l’angolo più lontano della sala C, la più grande, e la voglia di cominciare dalla Francia, terra nota per alcune scelte di “naturalità” in campo vitivinicolo ed enologico.

JEAN-CHRISTOPHE GARNIER ha voluto essere presente personalmente a presentare i suoi vini “organici”, arrivando da Saint Lambert du Lattay, piccolo villaggio nel cuore di Anjou nella Regione della Loira; i vini direttamente conservati in valigia e protetti dall’insolita capsula ricavata dalle bottiglie di plastica accuratamente tagliate e sagomate. Degustiamo prima il bianco, “La Roche Bézigon” 2011, circa 2500 bottiglie, vitigno chenin, lieviti naturali, macerazione lunga, fermentato direttamente in legno di rovere ed invecchiato nella stessa materia per un anno, malolattica svolta. Nonostante le scelte di morbidezza il vino ha una incredibile freschezza, è quasi citrino e lascia la bocca molto pulita. Passiamo al rosso che si rivela un’altra bella sorpresa. “Les Tailles” 2011, circa 8000 bottiglie, Cabernet franc e Cabernet Sauvignon equamente distribuiti, lieviti naturali, fermentazione in vetroresina, malolattica svolta; particolare ed intrigante è la scelta di fare macerazione carbonica per due mesi regalando così al vino una inaspettata “fragranza” e “suadenza”, sbilanciando positivamente la prevedibilità espressiva dei due vitigni di razza che compongono il vino.

Jean-Christophe Garnier: imprevedibili intuizioni francesi

Inconfondibili le bottiglie di Riesling con i loro meravigliosi verdi e sfumature color “petrolio” come i sentori di idrocarburi che il vitigno riesce ad esprimere dopo la sua fase dormiente; le etichette sembrano “sirene” che attirano con il loro “canto” i degustatori con i caratteri ed i colori gentili ma allo stesso tempo decisi e riconoscibili. E’ la tedesca Mosella che sa regalare emozioni allo stato liquido con le sue anse tra le quali sono incastonati i meravigliosi vigneti, a volte a picco verso il fiume. I vini delle WEINGUT KARL ERBES e WEINGUT MOLITOR-ROSENKREUZ non hanno tradito le aspettative regalando tutta la gamma di profumi che questo vitigno sa esprimere, la freschezza di acidità ma anche le morbidezze assecondate dal residuo zuccherino che, variando, caratterizza la tipologia: spatlese, qualitatswein dry, auslese; l’annata 2001, manco a dirlo, ci attira per la svolta sensoriale verso il “risveglio” dopo il “letargo” delle fasi fruttate e floreali.

 

Weingut Karl Erbes e Weingut Molitor-Rosenkreuz: le anse della Mosella

Nonostante le opportune “espulsioni”, i vini degustati cominciano a richiedere sostanze più solide, richieste del corpo e dello spirito avvalorate dall’ora che ha abbondantemente superato quella di pranzo. Decidiamo però di proseguire e puntare la barra a dritta, verso Medana, Slovenia, nel Collio Friulano per incontrare KLINEC ed i suoi quattro meravigliosi e complessi bianchi del 2009: 1) Rebula, l’autoctona ribolla gialla, fermentazione spontanea con lieviti autoctoni, due anni sulle fecce in botti di acacia, la cui complessità al naso ed in bocca è facilmente immaginabile; 2) Jakot, tocai friulano, delicato e con profumi selvatici. Il Tocai ha un deciso sapore di mandorla, è ben ricavato, intenso ed equilibrato. 3) Malvazija, malvasia Istriana con note aromatiche di moscato, due anni sulle fecce in botti di acacia. Equilibratissimo tra delicatezza e forza. Ottimo!; 4) Gardeli, pinot grigio che resta a lungo a contatto con le bucce.

Klinec: la Slovenia in quattro bianchi

 

Il prof. N scalpita, ha visto un banco con l’accattivante insegna “prodotti tipici”; ho un’idea che si sposa alla perfezione con i panini che di li a poco avremmo acquistato e che ci avrebbe permesso ancora una degustazione prima della meritata pausa: VITTORIO GRAZIANO, Modena, Emilia Romagna (Ripa di Sopravento 2010 un trebbiano toscano dall’acidità sostenuta e tagliente accompagnato da altri vitigni dei quali neppure il produttore conosce i nomi e poi un Lambrusco Grasparossa delle colline alte di Castelvetro, scuro con schiuma rosa che invoglia alla beva ma che si “scansa al naso” per non farsi prendere subito.

Ci concediamo, quindi, una pausa dai liquidi idroalcolici e per una maggiore efficacia ci allontaniamo dalle sale della manifestazione. Incontriamo qualche amico ed, ovviamente, scambiamo qualche opinione sui vini degustati e qualche consiglio sulle Cantine più interessanti.

Al ritorno in sala mi aspetta una “sorpresina”: si avvicina a me una ragazza di colore armata di taccuino, bicchiere e tanta buona volontà; attirata, forse, dalla impenetrabilità cromatica della mia moleskine o, chissà, dal nero della mia bic, mi chiede cosa stessi scrivendo, poi, senza aspettare la mia risposta, replica con accento americano: «Secondo te perché il mondo del vino è in crisi?». Io non rispondo subito, mi guardo intorno e vedo una marea di gente che sfodera bicchieri, parla ai vignaioli che, a loro volta, armeggiano con bottiglie, sputacchiere e cestelli ripieni di ghiaccio. Istintivamente penso di risponderLe: «Crisi? Mah, vallo a dire ai metalmeccanici!» … ma non lo faccio e replico, senza molta decisione, spiegando che, in fondo, quello del vino, non è uno dei settori più “inguaiati”. Le parole della ragazza, dopo poco, si mescolano a quelle della sala B ed io mi ritrovo, con il prof. N, a riprendere le degustazioni.

BONAVITA, Messina, Sicilia – AR.PE.PE. Valtellina, Lombardia – PRAESIDIUM, l’Aquila, Abruzzo poi “vele” spiegate ancora verso la Trinacria per incontrare una Cantina che ci ha colpito non poco per la sua “schiettezza, sincerità, franchezza”, per essere riuscita a mettere il suo territorio in bottiglia: l’artigiano del vino Nino BARRACO a Marsala, 15.000 bottiglie e cinque vitigni vinificati in purezza. Cataratto, Grillo e Zibibbo, Nero d’Avola e Pignatello che riescono ad esprimere, specie i bianchi, tutti i profumi della macchia mediterranea e le note “esotiche” di una terra che ha sempre, storicamente, guardato a sud; i sentori tornano al gusto per via retro nasale, restando a lungo nella memoria dei sensi.

Decidiamo di restare sull’Isola per degustare uno dei nostri territori preferiti, l’Etna. VALCERASA BONACCORSI di Piedimonte Etneo con vigneti che salgono quasi fino a 900 metri sul livello del vicino mare e viti che sfiorano anche i 100 anni d’età, quindi a piede franco, nerello mascalese e nerello cappuccio vinificati ed affinati in tini di legno.

 

Barraco: il territorio in bottiglia

Il prof. N propone, anzi pretende, un altro “pit stop” con successivo riposino fuori dai “bagordi”, ci accordiamo su un piatto di formaggi e salumi, devo dire molto gustosi e particolari, in tono con la naturalità dei prodotti che circolavano nei calici degli intervenuti.

Al rientro in “pista” ci aspetta una nuova chicca di quella straordinaria Regione che è l’Emilia Romagna. CA’ DE NOCI a Reggio Emilia, in questa Cantina la solforosa sembra bandita e le sue tracce nel vino sono quella parte di natura che proprio non si può eliminare e non è neppure saggio tentarci; le etichette, disegnate tutte a mano dal fratello del vigneron, sono delicati equilibri cromatici, poesie grafiche per trasmettere emozioni e fermare momenti di vita vissuta della Cantina e del suo territorio. Querciole 2011, spergola in purezza, uno dei vini-vitigni più freschi di acidità della Regione (9 gr/l), frizzante secco, giace sui suoi lieviti per donare un naso citrino, delicatissimo con ritorni al gusto ad accompagnare l’allungo. 2000 bottiglie! Riserva dei fratelli 2008, ancora spergola in purezza da vigna vecchia e lungo affinamento “sur lies”, metodo classico, dosaggio zero. 1200 bottiglie! Nottediluna 2010, bianco secco e con buona aromaticità, 50% moscato, 30% malvasia aromatica, 40% spergola, affinato 12 mesi in botte sui fermenti fini e quindi altri 6 mesi in bottiglia. 2000 bottiglie! Sottobosco 2010, blend di “lambrusco” rosso frizzante e secco con sosta sui lieviti, grasparossa, malbo gentile, lambrusco di montericco, sgavetta. 2000 bottiglie! Gheppio 2007, un rosso di lungo affinamento (3 anni in botte vecchia), uvaggio senza tagli di cabernet sauvignon, malbo gentile ed altri autoctoni pigiati insieme avendo raggiunto, ogni vitigno per la sua peculiarità, la massima “armonia” in maturazione. 1800 bottiglie!

 

Ca’ De Noci: poesia Emiliana

Altra pausa? No! Si va avanti imperterriti facendo un salto in Alto Adige, nella Valle Isarco, Cantina, pardon, WEINGUT GARLIDER (Ruländer o Pinot Grigio, Sylvaner, Grüner Veltliner e Blauburgunder o Pinot Nero; il caldo 2011, la malolattica svolta, anche sui bianchi e talvolta l’uso del legno hanno “aggredito” la tipica freschezza e l’aspettativa di una acidità “trasudante” dal terroir ma, tarandosi su una maggiore morbidezza, ci si può ancora sorprendere ad un diverso e “dolce” piacere).

Ancora Emilia Romagna, VIGNETO SAN VITO, sui Colli Bolognesi a degustare Pignoletto co “n’anticchia” di Albana, nelle due declinazioni frizzante e fermo ed a proposito di dialetto siciliano raggiungiamo subito dopo la culla del frappato, a Vittoria, dove ci aspettano i vini dell’AZIENDA AGRICOLA COS, acronimo di Cilia-Occhipinti-Strano, volevamo “sentire” il Pithos Rosso, 60% Nero d’Avola e 40% Frappato di Vittoria, fermentato in anfore di terracotta da 400 litri, naturale, i cui Interventi enologici sono ridotti alle sole follature.

 

le sale con le postazioni di degustazione

Il pomeriggio, ormai, avanza senza più pause, ancora qualche Cantina per terminare il nostro programma. Non posso non visitare le mie amate Marche (l’Emilia Romagna è già stata “onorata”), ho un programma a tal proposito, per ora dico solo … “incrociamo le dita”.

PIEVALTA, “pionieri nelle Marche dell’agricoltura biodinamica”, 26 ettari immersi tra i “Castelli di Jesi” a Maiolati Spontini in Provincia di Ancona, vino-vitigno, manco a dirlo, Verdicchio. Due vigne sui versanti contrapposti della Valle Esina, due differenti caratteristiche pedologiche e due diverse espressioni; quella di Monteschiavo caratterizzata da argille calcaree che regala ai vini una spiccata mineralità ed una fruttata freschezza e quella di San Paolo di Jesi, 400 metri d’altitudine, formata su sabbia ed argilla con fondo di tufo ai cui vini dona più austerità e scatti di energia. Una chicca: Curina Verdicchio Dei Castelli di Jesi Passito DOC, dal nome del vento caldo che accarezza i grappoli, li scalda e li asciuga accompagnandoli nella surmaturazione su pianta; l’intervento dell’uomo accoglie i regali della natura e li completa con la scelta di vinificare in anfore di terracotta secondo un metodo antico e tradizionale (40 giorni) ed un successivo passaggio in barrique (8 mesi). Una fresca acidità si armonizza con la naturale tendenza alla morbidezza “sciorinando” tutto lo spettro di profumi e di aromi che sostano nella bocca e nella mente.

Zidarch: complesse “durezze” tra rocce chiare e terre rosse

Ed a proposito di complesse “durezze” facciamo una puntata in Friuli Venezia Giulia, ZIDARICH “partecipa” sotto il “gonfalone” del “Consorzio Vini Veri” che, nella dura e sincera terra carsica triestina, rocce chiare e terra rossa, privilegia le varietà autoctone del territorio: Vitovska 2009 e 2006, Prulke 2010 (vitovska, malvasia e sauvignon in proporzione 20-20-60), Terrano 2010, Ruje (merlot 80% e terrano del Carso 20%).

Non c’è nessuna città che va “a braccetto” di Trieste meglio di Trento e quando si dice Trentino, almeno in campo enologico, si fa spesso riferimento al Teroldego ed alla “Piana Rotaliana” che, alluvionale e silente, tra la geometria perfetta di una catena ininterrotta di monti, lo accoglie in alcune declinazioni di notevole impatto organolettico.

A Mezzolombardo c’è REDONDÈL, “piccola azienda agricola” che racconta storie di vino da generazioni: «faccio vino perché a nove anni mio padre mi svegliava all’alba per accompagnarlo nelle vigne». Assolto 2011 teroldego in versione “rosa”, Dannato 2009 campione di vasca (il 2008 è finito prima della fine dell’evento) teroldego rosso lungamente affinato anche in castagno, legno notoriamente più economico per la tradizione contadina, Beatome teroldego da vigna vecchia di 80 anni a 150 metri sul livello del mare, fermentato ed affinato in legno, questa volta la scelta cade solo sul più “ricco” rovere.

Prima di andare via dalla postazione la simpaticissima moglie di Paolo Zanini, vignaiolo-contadino, ci racconta un altro frammento della storia della sua terra e della sua gente: «L’Imperatore d’Austria chiedeva solo il rosato (riferendosi al teroldego) che scambiava con gli abitanti del posto con caratelli in legno per l’affinamento, con altro legname per le vigne e con preziosi cavalli»; queste parole hanno “assolto”, definitivamente, il tenue nettare di dioniso che poco prima occupava la parte più ampia dei nostri calici.

 

Redondèl: assolto, dannato, beatome

E’ ormai tardi, le luci della sera si percepiscono attraverso le vetrate … e sui volti dei presenti, specie su quelli degli espositori alla ricerca di un “appiglio” sostenibile per rigenerare l’entusiasmo ed arrivare indenni alla chiusura delle porte.

Stanchi anche noi il prof. N decide di giocare il suo “fil rounge”, puntando sui passiti.

Un uno-due proveniente dalle Isole Eolie che ha definitivamente chiuso l’incontro:  1. PUNTA DELL’UFALA a Vulcano, Malvasia delle Lipari 2010, bottiglia n°3590 su 6000, eccezionale! 2. FERRANDES, Passito di Pantelleria 2006, strepitoso, anche se, per me, prescritto in dose omeopatica!

Punta Dell’ufala e Ferrandes: il “fil rouge” del prof. N

Il fondo di bottiglia del secondo, infatti, è finito quasi tutto nel “bevante” del prof. N. e nel mio calice…qualche goccia stile collirio!

5 Commenti

  1. mi hai anticipato di un giorno. daccordissimo con le tue valutazioni. a breve le mie! :)

  2. E’ stato veramente un piacere partecipare ad un evento come questo dove ho ascoltato belle storie, “vistitato” territori giusti e conosciuto gente vera … ed è stato un piacere descrivere le emozioni provate

  3. L’appuntamento romano è diventato ormai imprescindibile per gli appassionati dei vini “fuori dal coro” ed anche quest’anno si è confermato – almeno nei numeri (di espositori e visitatori) – la più importante kermesse del genere a livello nazionale.
    Merito indubbio di Tiziana Gallo, la quale è riuscita, quest’anno, a convogliare su Roma anche il gruppo “Vini veri”, che raccoglie alcune storiche eccellenze di “non allineati”, quali i grandissimi barolisti Augusto Cappellano (figlio ed erede nella tradizione del mitico Baldo) e Giuseppe Rinaldi; tuttavia la loro assenza fisica (erano presenti soltanto i vini, e non certo quelli di punta ma solo le pur ottime seconde linee, Freisa e Dolcetto) ha costituito, a mio avviso, una nota stonata di un certo rilievo.
    Inoltre, un appunto “con la matita blu” va fatto alla nuova location: proprio alla luce della più numerosa presenza di espositori, e della prevedibile maggiore affluenza di pubblico, non sarebbe stato meglio scegliere spazi più ampi, in grado di consentire un contatto più tranquillo fra i produttori ed il pubblico? La mia osservazione è frutto non solo di un disagio personale che, intorno alle 18 di Sabato, è diventato un vero e proprio malessere, ma anche delle lamentele manifestate da svariati produttori, costretti ad alzare il tono di voce – anche per fornire una semplice informazione sul nome di un vino – ben oltre i parametri del loro usuale modo di colloquiare.
    Fatta questa doverosa premessa, non posso che concordare con Annito sugli assaggi effettuati, cui aggiungerei alcune altre “chicche” che avevo preventivamente inserito nel mio “tour” e che non mi hanno deluso:
    – fra i bianchi, la Malvasia di Candia macerativa “Vej” (peraltro vinificata “secca”) di Podere Pradarolo, il cui patron Alberto Carretti vince ancora una volta l’Oscar della simpatia; la Vitovska fermentata in anfora di Paolo Vodopivec, dalla salinità esuberante; il Verdicchio fuori dai canoni di Corrado Dottori;
    – fra i rossi, i PInot neri di Delzocchio e Vallarom, una certezza il primo ed una splendida sorpresa il secondo; il sempre affascinante – nella sua ostinata diversità – Chianti “Le Trame” del Podere Le Boncie della piccola, grande Giovanna Morganti; il Brunello del Paradiso di Manfredi, vignaiolo schivo come pochi ma autore di un capolavoro enologico.
    Concordo pienamente, infine, sulla scelta dei passiti, con una menzione speciale per la Malvasia, prodotta a Vulcano, di Paola Lantieri di Punta dell’Ufala, cui tributo ancora una volta la standing ovation che le riservo ad ogni assaggio.

    1. Conordo sulle osservazioni sulla location. Da rifletterci. Vallarom bella sorpresa. Paola Lantieri, come Bonavita….come non amarli?

  4. Ciao Grande Pignataro, mi emozionano sempre i tuoi commenti di testa e di cuore. Ti informo solo che il mio RIPA DI SOPRAVENTO non contiene un grammo di trebbiano toscano, bensì trebbiano modenese ed altri 4 vitigni locali. Alla salute…e saluti. Graziano.

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