Vigna Macchia dei Goti e Cinque Querce a confronto. Verticale incrociata Taurasi e Montemarano 2006-2005 e 2004
di Monica Piscitelli
E’ la seconda volta che Antonio Caggiano e Salvatore Molettieri si trovano spalla a spalla a raccontare della loro avventura nel vino con davanti i calici che contengono i loro rossi. Tutto sommato poco, per due protagonisti della viticoltura campana come loro.
La verticale incrociata dei millesimi 2004, 2005 e 2006 che sabato ha concluso al Castello di Taurasi il pomeriggio di presentazione della Guida Slow Food, Slow Wine 2011, li ha visti alternarsi e duettare nel raccontare del proprio lavoro coinvolti nella degustazione condotta dalla sottoscritta insieme a Luciano Pignataro, coordinatore per la Guida di Campania, Basilicata e Calabria e Oto Tortorella del gruppo Vino Campania.
Un areale, Taurasi; un vitigno, l’aglianico biotipo Taurasi; due uomini; due percorsi; due sottozone e due vigne. E molti fattori a intrecciarsi con essi a complicare e a rendere intrigante l’interpretazione del tutto.
Uno su tutti l’andamento climatico di tre annate che esprimono un’epoca della viticoltura irpina nella quale gli effetti del boom nella crescita del numero delle aziende, registrato a partire dalla metà degli anni Novanta, ha consegnato a questo territorio, che negli anni ’20 registrava l’attività di soli due produttori imbottigliatori, uno scenario produttivo fatto di una costellazione di medi, piccoli e piccolissimi produttori, dinamica e articolata.
La prima, la 2004, è quella delle grandi aspettative (non solo per i produttori, ma anche per gli addetti al settore) dopo due millesimi funestati dalle piogge devastanti (2002) e da un’afa che resta iscritta negli annali (2003). Un’annata molto tardiva, accolta con grande entusiasmo e sulla quale c’è un generale ripensamento per via di una sorta di effetto “diluitorio” delle costanti (ma non intense) piogge di quell’anno, riscontrato alla prova del bicchiere. Salvo poi che recuperino lo smalto che li aveva contraddistinti alla loro uscita mettendo a frutto la loro esilità per sfoderare eleganza e classe che solo il tempo può donare all’aglianico.
La seconda annata, la 2005, la cui “delicatezza” ha suggerito maggiore prudenza, caratterizzata com’era da un andamento piuttosto irregolare, con un inverno molto freddo che ha impresso un ritardo nella ripresa vegetativa e un settembre che ha invertito le previsioni ottimistiche e creato, a causa di piogge insistenti, problemi di integrità delle uve (specie nei settori più bassi dell’areale).
La terza, la 2006, anche se non ai livelli della 2003, è stata comunque calda (in linea con la 2000 e la 2001), con piogge molto intense nella seconda metà del mese di settembre, e che, sembra, alla prova del bicchiere, avere grandi potenzialità. Molettieri la definisce la migliore, per lui, degli ultimi tempi. Sabato ha convinto per la sua ricchezza, che ha creato l’unico ponte di collegamento tra i Taurasi dei due produttori che si è potuto apprezzare in degustazione.
In mancanza di una zonazione ufficiale, dar voce all’Aglianico (varietà indiscutibilmente al top tra le rosse nazionali e, come molti vitigni di razza, grattacapo di tardiva maturazione) a Taurasi e a Montemarano significa attingere dall’esperienza, avere, cioè, alle spalle un numero tale di vendemmie da riuscire a parare il colpi o ad esaltare gli aspetti peculiari di ciascuna annata.
Antonio Caggiano, geometra contadino, e Salvatore Molettieri, contadino-allevatore di ascendenza contadina, questa esperienza la hanno accumulata con fatica potendo oggi regalare agli appassionati, forti di circa 18 vendemmie (1992 la prima annata del Vigna Cinque Querce), due tra i cru più celebrati della regione.
La verticale incrociata ha raccontato in maniera inconfutabile gli stili produttivi ed espressivi dei due viticoltori cogliendo, di millesimo in millesimo, il comportamento della vigna e del territorio a seconda dell’andamento climatico dell’annata.
Antonio Caggiano e Salvatore Molettieri interpretano l’energia dell’Aglianico in due modi personali e quasi opposti. Il primo, con Taurasi, centra una certa profondità ed eleganza, mentre il secondo, con Montemarano, l’esuberanza e la concentrazione.
Il risultato è che i loro Taurasi somigliano a loro, a questi due uomini.
Ciò avviene nella misura in cui sono loro a scrivere le note di proprio pugno, ma il pentagramma e il ritmo gli è dal direttore d’orchestra. E non si cambia.
Se è vero come è vero che in Irpinia – complici gli inverni rigidissimi, le estati tendenzialmente fresche, le significative escursioni termiche, la buona ventilazione – l’Aglianico non matura prima della fine di ottobre, arrivando spesso e volentieri a dopo la festività dei morti e, in alcune zone anche alla metà del mese di novembre, tutto dipende dalla zona e dal clima.
Si può immaginare in questo senso, di avere ai due estremi: Venticano e Pietradefusi, da un lato, e Castelfranci, Montemarano (a 540 – 620 metri sul livello del mare la Vigna Cinque Querce) e anche Paternopoli d’altra. Taurasi (a 320 metri sul livello del mare la Vigna Macchia dei Goti), sponda destra del Calore, in posizione intermedia.
Ciò significa che se, come è accaduto nel 2004 e nel 2005, piove in una fase di particolare criticità per la maturazione delle uve come può essere tra la metà di settembre e la metà di ottobre, se i carichi in vigna non sono adeguatamente gestiti, se le lavorazioni sono ostacolate da terreni che si presentassero compatti, se l’umidità ristagna non subentrando una sufficiente ventilazione o il sole, c’è davvero da preoccuparsi in alcune zone.
In condizioni difficili come quelle, le zone più alte (Montemarano) e/o ventilate (la Vigna Macchia dei Goti lo è anche più della Vigna Cinque Querce) hanno avuto quasi un altro mese per far asciugare i grappoli. Ed è possibile che, essendo il biotipo Taurasi tra più tardivi degli Aglianico (lo seguono, in ordine, quello del Taburno e quello del Vulture, il più precoce), di una maturazione lenta che si protragga in condizioni favorevoli, esse si possano perfino avvantaggiare, dando in ricchezza aromatica il massimo. Esattamente come sembra essere accaduto nel 2005.
La Vigna Macchia dei Goti, nella omonima contrada, si sviluppa su terreni argilloso calcarei collocati intorno ai 320 metri sul livello del mare. Si tratta di terreni profondi, discretamente ricchi di humus e con presenza di ceneri vulcaniche che, come in tutta l’Irpinia, sono frutto delle gittate di materiale eruttivo proveniente dal Vesuvio. Le uve sono coltivate a cordone speronato con impianti, esposti a sud ovest, che vanno dai 5000 a 8000 ceppi per ettaro con rese intorno ai 55 quintali per ettaro, pari a poco più di un chilo d’uva a ceppo.
La Vigna Cinque Querce, in Contrada Jampenne, si sviluppa tra 540 e 620 metri sul livello del mare. Si tratta di 9 ettari complessivi i cui terreni possono sostanzialmente dividersi in tre parti: una parte, superiore, fatta di argilla, quindi povera di materia organica, e di argilla e scisto (formazione a grana grossa ricca di magnesio e potassio) ma anche di calcare (alcalino); una seconda, intermedia, con un minore contributo di calcare e una terza, infine, con esposizione nord ovest, costituita da un agglomerato di elementi calcarei (carbonato) e quindi prettamente alcalino. Le viti con impianti (tra 2500 e 3000 ceppi per ettaro) del 1992 e del 1994 (per 5 ettari) e del 2000 per altri 4 ettari nel 2000 sono allevate a guyot e a cordone speronato con rese intorno ai 45 chili per ettaro.
La verticale
Taurasi Docg Vigna Macchia dei Goti 2004 @@@ 84
Un timbro nero per questo millesimo che, con un colore rubino con riflessi granato, si sintonizza sui toni dei frutti di bosco, della prugna ma anche della fogllia di noce secca. Poi evidenzia una nota di liquirizia dolce, discreta. In bocca la protagonista è la acidità, non del tutto abbracciata a una materia adeguata che dia piacevolezza alla beva. Il tannino è di buona fattira.
Taurasi Docg Vigna Cinque Querce 2004 @@@ 82
Ha quasi impercettibili riflessi violacei, questo bicchiere che ha una bella veste rubino con un centro più fitto. Al naso presenta una intrigante nota di spezie nere (pepe in particolare) e di incenso. In bocca ha un ingresso avvolgente e poi, con il contributo della acidità, si fa succoso. Perfettamente misurato il tannino, ma, nel complesso, come l’altro 2004, non convince al 100 per cento per un non so che di inafferrabile.
Taurasi Docg Vigna Macchia dei Goti 2005 @@@ ++ 86
Rubino – granato, scintillante.
Naso di frutta matura (amarena, in particolare), decisamente più in evidenza al naso rispetto al millesimo precedente. Emerge poi una speziatura dolce e un sospiro balsamico che ritorna anche in bocca dopo la deglutizione. Più materico e disteso, questo millesimo rispetto al precedente e contraddistinto da un buon equlibrio che, insieme a un tannino setoso, lo rendono piacevole.
Taurasi Docg Vigna Cinque Querce 2005 @@@ 84
Rubino e cristallino, eppure con un tot di spessore maggiore, anche questo campione, rispetto al Taurasi dell’altra vigna. Merito di Montemarano e della ricerca della estrazione che un pò una costante della azienda.
Appare leggermente compresso con la frutta matura, dei tratti di torrefazione e di liquirizia che non trovano del tutto espressione. In bocca convince con una rimarchevole sapidità che, una volta conquistato il palato, non lo abbandona per lunghi istanti fino alla chiusura. Davvero lungo.
Taurasi Docg Vigna Macchia dei Goti 2006 @@@ ++ 88
Il millesimo 2006 scopre dei tratti comuni tra le due etichette: una materia esuberante. Ce n’è parecchia nel bicchiere e questo, se non sorprende per il cru di Montemarano, è una sorpresa piacevole per il vino di Antonio Caggiano che è tendenzialmente più austero. Il colore è rubino vivace come sempre ma ha una trama leggermente più fitta del solito. Emerge insieme a una frutta polposa che segna il naso come la beva, un tono fumoso, di cenere. E’ nel gioco sapido – acido la storia di questo goccio di cui si apprezza un’ottima prova generale di equilibrio, sebbene messa in riga da un tannino ancora giovanile ma elegante.
Taurasi Docg Vigna Cinque Querce 2006 @@@@ + 92
Si è detto della materia in questo bicchiere. E’ al momento il campione più godibile. La frutta croccante, tra cui la melagrana e la prugna sono in evidenza su uno sfondo speziato dolce. E’ carnoso, anche in bocca. E la sapidità che accompagna costantemente la beva è il contraltare alla frutta e alla radice di liquirizia che ritorna nel retrolfatto e dà eleganza al sorso. I tannini sono in perfetto ordine nonostante sia un giovanissimo campione del quale Salvatore Molettieri va particolarmente fiero.
Gli abbinamenti proposti se non sono riusciti a centrare, con l’eccezione del 2006 di Molettieri sul Caciocavallo (con un po’di fantasia), l’obiettivo della piacevolezza – visto che il vino ha sempre soverchiato tanto il cinghiale (stagionato 18 mesi) quanto il formaggio (stagionato 14 mesi) – hanno avuto il pregio di portare alla attenzione della sala due eccezionali prodotti di fattura locale selezionati da Mario Carrabs, mago delle carni in quel di Gesualdo. L’assaggio di soffritto di Ariano Irpino e di Taurasi, data la presenza del peperone agrodolce, è valsa a ricordare l’appuntamento con la Disfida del Soffritto che avrà luogo dal 5 al 7 febbraio prossimo.
8 Commenti
I commenti sono chiusi.
Divertente il siparietto determinatosi tra un Molettieri molto pugnace e molto attento nei suoi numerosi interventi a sviluppare marketing (a modo suo), ed un Caggiano più rinunciatario del solito…si vede che sta passando la mano al figlio Pino…
help us god:)
vorrei capire se questi 2 vini si sono finalmente affrancati da certo tipo di enologia anni 90, quello dei vini marmellata per intenderc, o se invece è il palato della degustatrice cui piace particolarmente quest’approccio enologico. vista la deriva slow food il tutto mi semra in contraddizione.
gentile Paride la degustatrice non ama questo approccio enologico. Non mi sembra di averlo mai detto anche perchè non ho un approccio enologico preferito. Semplicemente non ho un’idea predefinita. Ma se proprio dovessi averne uno, sarebbe esattamente l’opposto di quello che credeva. Non ho idea da cosa lo deduca, forse dal fatto che mi/ci ha convinti tutti quella sera il 2006? Per quello che mi riguarda mi piace limitarmi a ragionare ed eventualmente valutare quello che ho nel bicchiere. Può piacermi un vino tiratissimo o uno più “ciccio”, ma questo non dipende dal mio gusto personale, ma dall’annata e dal modo in cui conosco il produttore. E’ giusto prescindere da ciò che ci piace e invece oggettivare quello che abbiamo davanti. In tal senso entrambi i 2006 sono molto interessanti, ma lo sono anche i 2005. Ognuno, poi, va valutato in base a quello che è lo stile del produttore. Mi sono trovata davanti di recente una verticale di Arpepe, se in questo bicchiere trovassi tanta ciccia, si, mi preoccuperei e forse esprimerei in maniera negativa, ma se la trovo nel bicchiere di Molettieri e se Molettieri si sente rappresentato da un vino potente e concentrato, se è questo quello che vuole. se Montemarano parla di questo, perchè mai dovrei in nome del mio gusto sacrificare la legittima espressione di un produttore? Io invece la rispetto e la apprezzo nella sua coerenza e in tal senso la quoto. Spero di essermi spiegata. Non so poi di che deriva parli. Slow Food mi sembra invece navighi in buone, ottime, acque. Con simpatia.
Mi chiedevo semplicemente come mai avessero raggiunto voti così alti (92!!!) poichè, come è noto, questi 2 vini non sono mai stati esempio di Taurasi legati al territorio ma esempioi delle iperconcentrazioni e di certe pratiche di cantina come l’uso massivo di legno ecc (approccio enologico anni 90 o vini marmellata che dir si voglia) quando la politica slow food, mi pare che lei abbia scritto su slow wine, è orientata a una politica diametralmente opposta. Quindi mi ero chiesto se a lei piacessero i vini concentrati o, viceversa, sono questi 2 vini a essere cambiati. La sua risposta ha chiarito è stata molto chiara. Con altrettanta smipatia.
Paride la guida Slow Wine ha assegnato il Grande VIno sia al Taurasi Cinque Querce 2005 che al Macchia dei Goti 2006. Caggiano e Molettieri sono due grandi viticoltori irpini che hanno fatto grande il Taurasi e i loro stili, da come è emerso anche nella degustazione di cui ha scritto Monica sono diversi e per certi versi opposti.
Slow Food non ha sposato uno stile piuttosto che un’altro, ma cerca di valorizzare e incoraggiare chi fa qualità in bottiglia e buona agricoltura in vigna.
Poi ognuno ha i suoi gusti, ovvio
Deriva slow food?perchè?
Bellissima serata, bravissimo Luciano nel raccontare le verticali di Mollettieri e Caggiano. Bella anche la cornice del castello di Taurasi molto interessante il percorso sensoriale TAO.