Viaggio nella Roma DOC: quattro cantine da scoprire tra Lanuvio e il litorale
di Raffaele Mosca
La maledizione di ogni persona nata o cresciuta a Roma sta nel far fatica ad inquadrare quel che c’è di buono a due passi da casa. E’ un retaggio che viene da lontano: da un’idea di prezzo stracciato e qualità modesta dalla quale il vino laziale fatica a sdoganarsi (perlomeno a livello locale). E non è solo una questione di alti e bassi produttivi, ma anche di una comunicazione frammentaria, disordinata e solitamente incentrata su imprese individuali piuttosto che su denominazioni e territori.
Per fortuna qualcuno che prova a fare gruppo c’è: è il caso dei produttori riuniti sotto il grande cappello della Roma DOC, denominazione vasta più o meno quanto la città metropolitana nata nel 2013. Un brand che in Italia è ancora relativamente sconosciuto, ma che si è subito fatto notare oltre i confini nazionali: “ all’estero il marchio Roma DOC crea subito interesse – ci spiega una collega straniera – il nome non ci fa pensare solo alla bellezza del posto, ma anche agli antichi romani e ai loro vini leggendari”.
Ovviamente queste aspettative non sono facili da far combaciare con la realtà produttiva, ma ci si sta lavorando sopra. La denominazione è sicuramente grande: abbraccia tutto il circondario della capitale da Civitavecchia a Nettuno, inglobando i Castelli Romani e sconfinando in provincia di Latina. Per il bianco è previsto un 50% di Malvasia Puntinata, più altri vitigni autoctoni e non per la restante metà, ed è possibile anche produrre Malvasia o Bellone in purezza e mettere il nome del vitigno in etichetta. Per il rosso c’è quasi sempre una base di Montepulciano, mescolata con Cesanese e vitigni internazionali ( soprattutto Cabernet, Syrah e Merlot).
Assemblaggi diversi fanno vita a vite diametralmente opposti, ma, volendo proprio cercare un fil rouge, lo si può trovare in una certa tendenza a produrre dei Roma DOC piuttosto “pop”, ovvero schietti, gastronomici, spesso rilasciati abbastanza presto, con l’obiettivo di proporre un prodotto onesto e “universale” ad un prezzo competitivo (ma – si spera – non esageratamente basso!).
IL TOUR DA LANUVIO A NETTUNO (LUNGO LA CISTERNENSE)
Per diffondere la conoscenza della Roma DOC, il consorzio, in collaborazione l’agenzia di comunicazione MGLogos, ha organizzato dei tour in alcune delle zone dove c’è maggiore concentrazione di aziende che hanno abbracciato il progetto. Quello a cui ha partecipato il sottoscritto ha attraversato la zona che da Velletri e Lanuvio nei Castelli Romani discende verso l’agro pontino fino quasi a lambire il litorale di Nettuno. Una parte della denominazione meritevole di attenzione anche solo per la posizione baricentrica: gode di una vista a tutto tondo che spazia dal Monte Cavo e i Colli Albani fino ai Monti Lepini, con le sagome del Circeo e delle isole pontine che appaiono in lontananza.
L’andamento molto dolce delle colline, unito all’estrema fertilità dei terreni vulcanici, lo ha reso una delle roccaforti delle cantine sociali, che da queste vigne hanno attinto a piene mani, indirizzando la produzione agricola sulla quantità più che sulla qualità. Tutt’oggi la loro influenza continua ad essere significativa, anche se le aziende che cominciano ad affrancarsi da quel modello sono sempre di più. Da un lato ci sono poderi storici in riconversione; dall’altro investitori che sono partiti da zero, con l’ambizione di creare qualcosa di totalmente insolito in una terra che, proprio per via della scarsissima visibilità che ha avuto fino a questo momento, consente di sbizzarrirsi sia sul fronte produttivo che su quello del marketing.
La aziende
Cantinamena
Cominciamo da una piccolissima azienda posta su di un altopiano a circa 250 metri che guarda i monti Lepini. Un luogo “ameno” – nomen est omen – che oggi è nelle mani della famiglia Mingotti, bresciana d’origine. I terreni ospitavano colture di kiwi quando sono arrivati e sono stati totalmente riconvertiti nell’arco di un decennio. La prima annata ufficiale – dopo svariati esperimenti – è stata la 2016, ma sono partiti con il piede giusto, ottenendo dal primo momento la certificazione bio, iscrivendosi alla FIVI e assoldando come enologi Giacomo Cesari, San Gimignanese con varie consulenze all’attivo, e l’autoctono Valentino Ciarla.
Sui bianchi è stata già trovata la quadra: Divitia, Malvasia Puntinata in purezza, convince già nel millesimo 2021 – fresco di rilascio e molto compiuto nella sua essenzialità – ma è anche meglio con due anni sulle spalle: la 2019 sprigiona ricordi di nocciola, fieno, mimosa e pepe bianco; prosegue coerente al palato, con scia sapida-vulcanica salivante che la rende facilmente inquadrabile in questa zona.
Un po’ più rustico il Roma Rosso, da assemblaggio paritario di Montepulciano e Cesanese. La scelta di fare solo acciaio comporta un’evoluzione più lenta del tannino, che solo nell’annata 2018 appare completamente risolto. 2019, 2020, 2021 sono decisamente più spigolose, per quanto allettanti da un punto di vista aromatico con il loro mix molto stabile di bacche rosse, erbe spontanee e pepe fresco di macina.
Tenimenti Leone
Può sembrare strano che Sandro Veronesi, patron di Signorvino e Calzedonia, abbia scelto proprio questa zona per fondare la prima cantina (a cui se sono aggiunte altre negli ultimi anni). In realtà, però, l’acquisizione dello storico podere di Presciano, già menzionato nel VII secolo, precede l’apertura del primo wine store: l’obiettivo iniziale era di rimetterlo in sesto e rivenderlo a stretto giro. Poi le cose hanno preso una piega diversa e, nel 2015, è nata Tenimenti Leone (dal nome del capostipite della famiglia venuto a mancare poco tempo fa). Il progetto è giovane e ancora in fieri, ma da subito è stato foraggiato da un uno storytelling molto ostinato che ricalca l’ABC della romanità, con nomi come “Abbello” (per il Bellone, il va sans dire), “ Roma Capoccia”, “ De Coccio”. Nati sicuramente per colpire i “wine lovers” alle prime armi che scandagliano le bottiglie sugli scaffali di Signorvino, ma anche per dare un’immagine più giovane e pop al vino laziale. “ Nel mondo del vino ci sono tante aziende molto brave a comunicare storia e tradizione con I blasoni nobiliari – spiega il brand ambassador Matteo Cipolla – noi non siamo come loro e per questo ricerchiamo uno stile più informale”.
La produzione è in linea con tutto il resto: i vini sono semplici, lineari, decisamente “pop” . Tra tutti spicca il Decoccio, Trebbiano Verde (ovvero verdicchio) affinato in anfore di terracotta che offre aromi dolci – miele d’acacia e macedonia di frutta estiva – e un sorso voluminoso e saporito che chiama l’abbinamento con piatti di spessore (magari un pollo alla cacciatora?).
Valido come vino da mescita senza troppi fronzoli il Roma Bianco Roma Capoccia 2021 da Malvasia Puntinata e Bellone (con saldo di Chardonnay, Verdicchio e Moscato di Terracina): il passaggio in legno di una piccola quota lo rimpolpa, ma offusca un po’ l’espressione varietale e territoriale. Di stampo internazionale il Roma Rosso: generoso, con ricchezza fruttata esaltata dalla quota di vitigni alloctoni (Cabernet Sauvignon e Syrah). Un guizzo sapido calibra la polpa molto ricca e allunga la chiosa leggermente amaricante.
La Giannettola
Da Lanuvio a Campoleone, frazione confinante del comune di Velletri. Qui, a La Giannettola, che prende il nome dall’omonima strada, la famiglia Martella vanta una storia viticola piuttosto importante, avendo contribuito alla fondazione di Gotto d’Oro, di cui è ancora socia. Attualmente solo 4 ettari su 45 sono destinati alla produzione con marchio proprio: danno vita a sette etichette fresche di restyling sotto l’egida del nuovo enologo Angelo Giovannini, già consulente di altre realtà della zona.
In questo caso, l’annata dell’unico vino Roma DOC – un rosso da Montepulciano e Sangiovese – è un 2019: dopo quel millesimo la famiglia ritenuto più opportuno focalizzarsi sugli IGT, salvo poi programmare un nuovo rilascio negli anni a venire. Il vino, in effetti, sembra aver guadagnato molto in equilibrio con il riposo in bottiglia e offre una buona combinazione di esuberanza pepata da Cesanese, frutto croccante e grip tannico ben integrato che solletica la progressione fluida, senza eccessi di muscoli. I bianchi del 2022, invece, pagano lo scotto dell’imbottigliamento recente: ancora un po’ contratti; é molto più leggibile il Cesanese Il Frangente 2020: tipicamente speziato in apertura, ma con volume, spessore e calore contrappesato da timbro vulcanico inequivocabile. Un’ interpretazione sicuramente lontana dai territori classici – Olevano, Affile e Piglio, per intenderci – ma molto originale.
Casa Divina Provvidenza
Ci spostiamo a Nettuno per esplorare il lato “marino” della Roma DOC: la realtà in questione ha sede a pochi metri dal litorale ed è stata fondata nei primi anni duemila dalla famiglia Cosmi, che ha acquisito un podere di circa 60 ettari dalla Santa Sede. A differenza delle aziende precedenti, conta già su di una certa notorietà a livello locale, soprattutto per aver contribuito al salvataggio dall’estinzione del Bellone – che in zona si chiama “Cacchione” – e alla creazione della DOP Nettuno Cacchione (oggi rivendicata anche dalla Cantina Sociale di Nettuno).
la produzione si assesta intorno alle 550.000 bottiglie, vendute in buona parte attraverso lo shop aziendale e l’enoteca nel centro di Nettuno. Le referenze sono addirittura 22, compresi due Roma DOC “base” e un rosso Riserva. Tra tutti il più convincente è il Roma DOP Bellone 2021: nel calice prende le forme di un condensato di frutta estiva e concede una gustativa morbida, solare e immediata, con discreta verve acido-sapido a corredo. È più agile e disinvolto del Nettuno Cacchione Neroniano 2022, con breve passaggio in legno che va ad irrobustirlo un po’, anche se l’impronta salina – legata a un particolare tipo di tufo sciolto localmente denominato “macco” – scongiura pesantezze di ogni sorta.
Nel complesso è stato un tour decisamente interessante e ha dimostrato che le ragioni per interessarsi al progetto Roma DOC sono svariate, anche se ovviamente si tratta di una denominazione agli albori del suo pescorso. La prossima tappa sarà in zona Frascati. Continuate a seguirci su questi schermi!
Un commento
I commenti sono chiusi.
La Roma doc è solo all’inizio di una bella avventura ma da subito gli associati hanno dimostrato carattere e determinazione e di questo passo, a mio modesto parere,anche senza l’intervento della Divina Provvidenza,prima o poi all’ingresso di molte osterie bistrot e ristoranti della capitale campeggerà la scritta:Io bevo romano e……..de coccio verrà declinato in positivo.FRANCESCO