Speciale 50 Best Restaurant 2018: I vizi fusion di Bangkok e Gaggan Anand
di Guido Barendson
Gastronomi, appassionati della tavola o semplicemente buone forchette, se pensate che l’Occidente sia la patria del fast food o della vituperata fusion, e – peggio – se siete rimasti all’era in cui il Terzo Mondo della Pappa cominciava dalla sponda orientale della Turchia e finiva in Estremo Oriente, è venuta l’ora di fare un salto a Bangkok. Altro che Harrods a Londra, altro che Eataly Torino-Roma-New York!
Certo, il tasso di crescita delle Tigri asiatiche non è più quello di una volta, ma basta prendere lo Sky Train – la velocissima metropolitana sopraelevata – per capire come si riesca a vivere – e a nutrirsi – più che dignitosamente in una metropoli di oltre sedici milioni di persone, tenendo assieme – con la grazia e la tolleranza del Buddismo – chi abita le povere fiorite baracche su palafitte e chi popola contemporaneo e post moderno con angoli da Blade Runner.
Ed è in metropolitana che arrivi alla torre del Cibo, il primo edificio al centro di un gigantesco quartiere in costruzione, l’Emporium. La capacità finanziaria e progettuale, coniugata all’assenza di seri vincoli ambientali e alla corruzione che olia molte pratiche, non solo riduce i tempi di qualsiasi operazione, ma fa sì che i proprietari del complesso si siano letteralmente comprati la stazione ferroviaria, dalla quale sbarcano ogni giorno migliaia di persone, tra le 80mila e le centomila.
La grande scala sale lentamente, in una spirale che ti trasporta senza fatica attraverso cento finestre sulle cucine del mondo, una gioiosa e popolare Disneyland dove passi senza soluzione di continuità dalla boulangerie che più francesizzante non si può ai mille cesti di ravioli cinesi. Curioso come il tutto sia inodore, anche se gli avventori sono davvero tanti. L’italiano ovviamente è lì, ma l’insegna – Bella Ducci – ci scoraggia.
Le tavole tricolore in città non mancano di certo – anzi, alcune sono eccellenti ! – e le trattorie vanno per la maggiore, ma se riuscite a dominare quella irresistibile voglia di pasta, aspettate di tornare in patria. Qui l’esperienza che merita è quella di venire ad annusare pezzettini di sogno gastro-economico ad un prezzo accessibile, prova ne sia la miriade di famiglie raccolte a mangiare assieme, tutti silenziosi e ordinati, tranne i cinesi, i sopportati grandi fratelli del Nord, ritenuti i «cafoni in gita».
La globalizzazione investe dunque la cucina tutta. Quella a buon mercato dell’Emporium come quella stellata, decisamente più costosa ma infinitamente più goduriosa. Il viaggio si fa più impegnativo e molto più curioso.
«Progressive Indian Cuisine». Ad ospitare il postmoderno è una linda villetta di legno a due piani in stile coloniale strizzata ai piedi di alte palazzine, e anche il décor è volutamente minimalista, total white. Ma appena ti siedi la musica cambia e ti ritrovi lontano mille miglia dalle tue aspettative, da Peppino di Capri ai Rolling Stones.
Scopri che il cuoco
nasce a Calcutta, passa nelle cucine spagnole di Ferran Adrià e folgorato dalla tecnica abbandona gli studi. Approda a Bangkok e, incoraggiato dal gran giro di denaro che passa attraverso l’alta ristorazione, mette radici. Tanto velocemente da scalare e conquistare la vetta continentale dei 50Best.
Il successo appare evidente dalla qualità singolare e dall’eleganza del servizio, condotto impeccabilmente da un maitre e due camerieri che fanno della gaia femminilità una dote esplosiva e divertentissima, mettendo in ombra un povero sommelier maschione chiamato da Bordeaux. Per la mescolanza dei generi alimentari passa anche il genere carnale. Così potremmo essere tranquillamente sul set dell’indimenticabile «Cage aux Folles», il Vizietto, colla mitica coppia Tognazzi- Serrault.
Temete che la ventina di piatti del menu degustazione siano troppi? Subito il capo sala vi rasserena materno: «Ma non dovete mica mangiare tutto!». E la cura dell’ospite diventa premura quando vi implora di imboccarvi lui per mostrare come ingerire in un sol colpo la Yogurt Explosion, una sfera di cioccolato bianco ripiena di peperoncino, cumino, coriandolo e menta. Esilarante.
E il palato vola dal cuore della Thailandia nel Bengala. Così scopri il «Masala Molecolare», una definizione che racconta questa linea con una notevole approssimazione, ché lo chef è inquieto assai. È evidente che la sua ambizione è quella di innalzare il livello della gastronomia indiana al livello degli stili più affermati (Francia e Italia nel Vecchio Continente; Giappone in Estremo Oriente), e che la strada sia giusta lo conferma la scoppiettante sfilata delle ricette: spezie d’ogni genere, funghi, pollo, riso, pesce, miso, caramello, pomodori, convivono felicemente sotto il diktat della sferificazione, del sottovuoto e dell’affumicatura, in un turbine papillare che passa in un secondo dal ruggito del peperoncino alla dolcezza del curry, fino alla pace di un gelato al sakè.
È una cucina moderna e seducente, che attira e spiazza persino i più conservatori, perché alla fine del lungo viaggio ritrovi i sapori che conosci e impari a distinguere e apprezzare anche i profumi e le emozioni che vengono da altri mondi. Con un solo dubbio: che alla lunga il primato della comunicazione, ovvero la ricerca spasmodica di un posto al sole planetario, incoraggiata dalle mode e da una crescente dipendenza hi-tech, finiscano per snaturare la forza originaria delle singole cucine.
Bisogna aver cultura, intelligenza e denaro per non distrarsi. E non tutti posseggono gli attributi.
Se da un lato riconosco al primo colpo la nostra costoletta di agnello (in versione tanduri), dall’altro faccio un salto quando studio la lista delle vivande. Come non pensare ai nostri Eroi, a Massimo Bottura e Heinz Beck, leggendo i nomi delle proposte? «Carbone» (su una pietra incandescente come quelle che sfoggia Alfonso Caputo a Nerano nella Taverna del Capitano, una finta patata bruciata ripiena di spigola e polvere di bambù);«Funghi Magici» ha un che di psichedelico, ma si tratta di funghi alla maniera dei «camouflage» italici; o ancora, «Storia di un pesce chiamato Kin-Medai», che tanto ricorda «Questi maialini andarono al mercato (giro del mondo con il maiale)» visti passeggiare all’Osteria Francescana.
Anche noi andiamo a passeggiare, la notte è giovane a Bangkok.
Viaggio in Asia-1 Oriente stellato. Hong Kong