Verticale di Vigna Cataratte: la memoria storica dell’Aglianico del Taburno
di Pasquale Carlo
Le bottiglie di Fontanavecchia rappresentano una delle memorie storiche più dettagliate per percorrere un viaggio lungo le rotte dell’Aglianico del Taburno. Percorsi lunghi, mete da attendere per poi goderne in pienezza. Ecco perché quando si viene chiamati per lo stappo di alcune vecchie annate non si esita ad essere presenti. Al centro della serata degustazione organizzata all’Enoteca Paradiso di Benevento quattro annate del Vigna Cataratte, l’Aglianico del Taburno Riserva di Libero Rillo, il “cru” dell’azienda torrecusana. Attenzione puntata sulla 2007, sulla 2005, sulla 1999 e sulla 1996.
Quattro bottiglie che risaltano le potenzialità di un vitigno spesso non perfettamente interpretato. Una caratteristica che è vera anche nell’areale del Taburno. Quattro bottiglie che mostrano la strada da seguire per centrare ottimi risultati. A partire dalla vigna, dove l’attento lavoro termina con la raccolta delle uve quando queste hanno raggiunto la piena maturazione, zuccherina e fenolica. Attenzione massima alle sostanze fenoliche presenti nei vinaccioli, sostanze tanniche dal gusto amaro astringente se raccolte quando gli stessi si presentano ancora di colorazione verde: durante la maturazione i tannini del vinacciolo perdono in parte le caratteristiche di amaro e astringente (aspetto ancora più importante per il biotipo di aglianico coltivato sulle alture del Taburno, non a caso noto proprio come Aglianico amaro); importante raccogliere l’uva guardando più che alla maturità fenolica degli antociani, alla maturità fenolica del vinacciolo. L’altra lezione che arriva da queste bottiglie è quella sull’utilizzo del legno. Sapiente l’impiego delle barrique, che non hanno mai preso il sopravvento nemmeno negli anni in cui andavano di moda i “vini di legno”. Ed anche in questo caso Libero mostra di guardare avanti, ipotizzando altri percorsi per l’affinamento, a partire del rimpiazzo delle barrique con legni più grandi. Infine l’attesa: una delle scelte più forti di Fontanavecchia è quella di andare ben oltre i termini fissati dal disciplinare, tanto che allo stato si trova sul mercato l’Aglianico 2009 per la versione base; l’annata 2007 per la Riserva di Vigna Cataratte.
Il risultato di tutto questo è emerso chiaramente nei calici.
Annata 2007 – Ovviamente il più cupo al naso (anche se siamo oltre i sette anni dalla vendemmia) anche se al palato il vino mostra già un carattere equilibrato. Il colore è di un rosso rubino intenso, nessuna evidenziatura verso il granato. Ancora marcata la frutta rossa matura in un calice particolarmente opulento, muscoloso, che deve acquistare ancora la piena eleganza.
Annata 2005 – Brillante e luminoso alla vista dove subito si coglie la maggiore diluizione rispetto al campione precedente. Olfatto non esplosivo ma di estrema eleganza, con la frutta avvertibile tra le note speziate dolci e qualche invasione di caffè. Perfetta corrispondenza al palato, dominato dalle piacevolissime note di freschezza, tanto da sembrare più giovane del 2007. Un vino da attendere, che sicuramente donerà ancora tantissime soddisfazioni al produttore. E ai consumatori
Annata 1999 – Impatto non piacevolissimo, complice una non perfetta “apertura” nonostante le bottiglie stappate – come ci ha raccontato Antonio Paradiso – diverse ore prima. Discorso sempre più interessante man mano che il vino si evolve nel bicchiere. Tanto caffè e note balsamiche al naso. In bocca colpisce la perfetta armonia tra alcol e acidità.
Annata 1996. Incredibile ma vero. Era l’ottobre del 2010 quando questo calice ci aveva entusiasmato nel corso di una verticale organizzata a Pietrelcina. Questo quanto scritto allora: “E’ il vino che mi ha entusiasmato. Per diversi motivi. Concordi sulla grande potenzialità della 2001, ma qui la convinzione è doppia per la notevole concordanza naso-palato che si registra a quasi tre lustri dalla vendemmia. Stessa concordanza provata all’inizio con la 2005, amplificata appunto dall’età del nettare. Naso complesso, con note terziarie e avvertita mineralità. La bocca? “Dissetante” è il termine che viene subito alla mente, un vino piacevolissimo che nonostante i suoi quattordici anni mostra la sua baldanzosa piacevolezza proprio al palato, con una beva mai stancante, con la sostenuta acidità che richiama sorsi successivi”. A distanza di quasi cinque anni? Quasi tutto come allora. Per questo vino è come se tutto si fosse fermato. Mentre noi attendiamo con impazienza il trascorrere del tempo per ri-godere di questo millesimo fra qualche anno. Insieme all’annata 2001, altra annata che nel 2010 ci entusiasmò.