Verdicchio di Matelica: sette etichette da non perdere
di Raffaele Mosca
Dal recupero di appunti persi e ritrovati, esce fuori una piccola guida sintetica dedicata ad un grande vino dell’Italia di mezzo: una goccia nel mare magno dei bianchi italiani con appena 260 ettari dedicati, che, però, nell’arco dell’ultimo trentennio, è riuscita a fare parecchio rumore, contribuendo in maniera essenziale alla riscoperta e alla rivalutazione delle Marche, regione “bianchista” italiana insieme a Campania, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
Il vino in questione è il Verdicchio di Matelica, gioiellino radicato in una valle incantevole – paesaggisticamente a metà tra Toscana, Umbria ed Alto Adige – al quale l’istituto marchigiano di Tutela (IMT), guidato da Alberto Mazzoni, ha dedicato una panoramica nel mese di Settembre 2021. Il momento clou di questa kermesse sono state le quattro verticali di altrettanti pilastri della denominazione delle quali si è già scritto su questi schermi. Nel contempo, però, l’istituto ha anche organizzato un rendez-vous con i produttori più piccoli che hanno cominciato ad affacciarsi sullo scenario negli ultimi anni. La selezione qui sotto è un sunto di quell’incontro.
I vini:
Tenuta Piano di Rustano – Verdicchio di Matelica Spumante Cavalier Vincenzo Brut
Sul Verdicchio di Jesi non c’è alcun dubbio: dall’esperimento Ubaldo Rosi a metà 800′ in poi, c’è sempre stato qualcuno che l’ ha spumantizzato con esiti soddisfacenti. Tant’è che oggi quasi tutte le aziende di punta del comprensorio ne propongono una versione con le bolle, che sia Martinotti o Champenoise. A Matelica, invece, gli spumanti sono più rari, ed è un peccato, perché la materia prima si presta anche a questa tipologia di prodotto. Lo dimostra il Cavalier Vincenzo di Piano di Rustano, azienda della famiglia Baldini Giustiniani, già attiva nel settore dell’energia green. Dalle parcelle esposte a nord della tenuta di dieci ettari provengono le uve utilizzate per questo Metodo Classico affinato 24 mesi sui lieviti, che fa forza sulla freschezza varietale – mela limoncella, mandorla amara, erba falciata – anziché sulla banale, omologante nota di lieviti e/o pasticceria, salvo poi rivelarsi discretamente largo e cremoso al palato, con bel bilanciamento tra effervescenza fine, acidità e materia di fondo che lo rende un buon partito per un risotto alla pescatora.
Prezzo: circa 25 euro
Collestefano – Verdicchio di Matelica 2020
Dopo lo spumante, un vino fermo che costituisce un benchmark per la denominazione: prima etichetta di vignaiolo del matelicese ad agguantare riconoscimenti dalle guide nazionali – Gambero Rosso in primis – è tra i pochissimi bianchi pluripremiati a livello nazionale che mantengono un prezzo a scaffale d’enoteca inferiore ai 15 euro. Fa solo acciaio per pochi mesi, ma ha stoffa da campione e potenziale evolutivo encomiabile – provare annate più vecchie per credere – dissimulato in questa fase dagli aromi giovanilmente “ispidi” di erbe spontanee e polvere pirica, pera abate e glicine, che fanno da cornice ad un sorso dritto e diretto, solo apparentemente scarno, perché incalzato da una spinta acido-sapida graffiante che lo rende immensamente beverino. E’ buonissimo adesso con tutti i piatti che abbondano di grassi, ma francamente non lo stapperei prima di un anno o due.
Prezzo: 10-12 euro
Colpaola – Verdicchio di Matelica 2020
Altro colle, altra azienda di dimensione modeste che merita attenzione. Nata nel 2013, Colpaola, a detta dell’export manager Laura Migliorelli, rappresenta la “quota rosa” del Verdicchio di Matelica con la sua proprietaria donna – Stefania Peppoloni – e uno staff aziendale quasi tutto al femminile. Le vigne sono tra le più alte in senso assoluto – fino a 650 s.l.m – e, in effetti, il profilo dell’etichetta in degustazione è da vino nordico: floreale in prima battuta; poi citrino ed erbaceo/vegetale di salvia e maggiorana. Ricalca il modello del Collestefano con questo sprint acido netto, diretto, senza compressi; punta sull’agilità e sulla tensione più che su polpa e struttura, ma rimane comunque pulito, preciso, rinfrescante come da canone per i vini d’altura, e lascia intuire un discreto potenziale d’invecchiamento.
Prezzo: circa 10 euro
Casa Lucciola – Verdicchio di Matelica 2020
La sorte non è stata affatto clemente con questa new entry: la produzione ricavata dai quattro ettari di proprietà gestiti in biodinamica era appena andata a regime quando è arrivata la pandemia a scombinare le carte. Ma il titolare Luca Cruciani è riuscito a rimanere a galla e ad impostare la produzione su di uno stile estremamente contemporaneo: “nature”, ma senza estremismi sciocchi. Il suo Verdicchio è un pelino più largo e meno ossuto dei precedenti: un lieve cenno ossidativo rende il naso accattivante e rimpolpa una progressione di bell’equilibrio, non meno slanciata del consueto, ma dotata di una certa cremosità di fondo. Qui si può alzare l’asticella dell’abbinamento, scomodando magari un ragù bianco di cortile o un coniglio porchettato (quest’ultimo vero e proprio must della cucina matelicese).
Prezzo: 15-18 euro
Collepere – Verdicchio di Matelica Grillì 2019
Un agriturismo immerso nel verde, con una piscina, un orto e un patio dove si servono piatti caserecci agli ospiti. Nelle vicinanze della cascina, c’è un unico vigneto con uve bianche e rosse dal quale si ricavano due vini con l’aiuto del “guru” Roberto Potentini. Questa piccola produzione ci stupisce con il suo profilo rustico, di schiettezza quasi ancestrale. L’anno in più di bottiglia ha comportato un’evoluzione del frutto su note più mature di pesca giallona e mandarino. Ma è rimasto, allo stesso tempo, il nerbo acido immancabile che dà sostegno a un sorso sfizioso, che fa del binomio cremosità-durezze il suo punto di forza. Versione un po’ sui generis, riesce a non stonare sulla coratella d’agnello servita alla cena in agriturismo.
Prezzo: circa 10 euro
Marco Gatti – Verdicchio di Matelica Millo Riserva 2018
E qui si arriva alla Riserva, una tipologia che, almeno teoricamente, dovrebbe costituire l’apice della piramide produttiva, ma che a Matelica riscuote un po’ meno successo che nei Castelli di Jesi, perché, in effetti, i vini riescono ad evolvere egregiamente anche a fronte di affinamenti brevi prima del rilascio. Un paio di Riserve, però, andavano messe e, tra quelle assaggiate, Millo di Marco Gatti mi è parsa la tre più interessanti. Lui, Marco, ha lavorato da Belisario prima di mettersi in proprio, e, per il suo vino di punta, ha deciso di evitare affinamenti troppo impattanti, puntando piuttosto di una sosta in acciaio e vetro lunga 18 mesi. Il risultato è un vino che gioca sempre sull’ acidità spiccata, sull’agrume sia fresco che candito, ma con uno spessore olfattivo maggiore, qualche cenno idrocarburico e di erbe officinali, e un sorso ben assestato, polputo e allo stesso tempo nervoso, da tonnarelli cacio e pepe o lagane ceci e baccalà.
Prezzo: 12-15 euro
Maraviglia – Verdicchio di Matelica Grappoli d’ Oro Riserva 2017
Si chiude con un vino fuori dai soliti tracciati: non per tutti, nemmeno per tanti, trova assonanze solamente con il Balciana di Sartarelli, icona dei Castelli di Jesi. Questo perchè il titolare Filippo Maraviglia pratica una viticoltura “super-biologica”, a residuo zero, e lo produce da uve vendemmiate a fine ottobre o inizio novembre, alle volte con una quota di muffa nobile. La sensazione iniziale è di trovarsi davanti a un vino dolce: come una versione matelicese di vendemmia tardiva alsaziana con note di testa di zafferano e miele d’acacia, seguite da nespola e pere in composta, curcuma ed erbe disidratate. Di zucchero non c’è traccia (o quantomeno non è percettibile); c’è, invece, un’avvolgente polpa fruttata rinvigorita dal grado alcolico importante, che, però, non inficia una progressione dotata di buona energia di fondo e notevole complessità aromatica. Qui bisogna essere ambiziosi e creativi con gli abbinamento: io lo proverei, per esempio, con un pollo al curry.
Prezzo: circa 15 euro