Vandàri, il bicchiere con la Barbetta del Sannio
31 agosto 2002
Vàndari, ecco un rosso che può permettersi tranquillamente il lusso di ignorare il legno presentandosi in un bicchiere ricco di frutta, ben sostenuto dal corpo, in grado di affrontare gran parte dei piatti meridionali a cominciare dalle paste al sugo. Lo produce Nicola Venditti, prima azienda campana ad essere certificata biologicamente (via Sannitica, 122 a Castelvenere. Telefono 0824 940306, sito internet www.venditti.it) nel vigneto numero uno della doc Sannio, quella che ha liberato molti produttori beneventani dall’esuberanza di Solopaca. Ove si narra di un’uva autoctona chiamata barbera per similitudine dai funzionari del vecchio Ispettorato Agrario, quando era punto di orgoglio essere il meno diversi possibili, poco tipici e tanto omologati. Nicola la chiama Barbetta, e di nomi strani di vitigni non classificati ne abbiamo scoperti a bizzeffe in questo nostro girovagare nei week end sanniti organizzati, nell’ordine a Castelvenere, Torrecuso e Solopaca. C’è, insomma, molto lavoro da fare per il nostro amico Michele Manzo, cacciatore di vitigni autoctoni sotto osservazione Slow Food. La Valle Telesina è un museo all’aperto di tutto quanto successo in Campania dalla fillossera in poi: dall’aglianico al cabernet, sino ai filari sconosciuti blendati nel montepulciano, c’è davvero di tutto. C’è già chi sta lavorando in microvinificazioni e le sorprese non sono molto al di là da venire. Vàndari, antico nome di Castelvenere, è anche falanghina, meno spigolosa di quella dei Campi Flegrei, che ben si bacia con i prosciutti di Pietraroja quando si trovano. Ma di Venditti, la cui famiglia di ritorno dall’America acquistò nel 1902 questa azienda con torchio di proprietà che risale al 1595, vale la pena ricordare i classici ben conosciuti dagli appassionati: il Bacalàt da grieco, cerreto e falanghina, il Bosco Caldaia da aglianico, montepulciano e piedirosso, entrambi interpretazioni della doc Solopaca. E due prodotti non commercializzati ma molto interessanti: il vino alle noci, una sorta di nocillo da una ricetta antica ma assolutamente moderno al palato perché leggero di alcool e non pastoso, e il mosto cotto, da utilizzare come accompagnamento ai formaggi più impegnativi al posto di miele e marmellatine di cui francamente non riusciamo ad immaginare altro impiego se non nei croissant.