Undici anni di Fiano di Avellino
Indimenticabile verticale a Vadiaperti
di Fabio Cimmino
Avrei potuto titolare benissimo questo pezzo “la storia del fiano” considerato di aver avuto la possbilità di assaggiare (per la prima volta) addirittura undici diverse annate, per di più non consecutive, andando così indietro fino al 1988. Sono poche, pochissime, le aziende in grado di poter offrire un occasione del genere. Vadiaperti è una di queste essendo stata tra le prime ad imbottigliare ed etichettare in proprio già a metà degli anni ottanta. Il professore Antonio Troisi era, in realtà, come spesso accade, già produttore di uve che venivano fino ad allora conferite a terzi. Da quando il professore ci ha lasciato, alla fine degli anni ’90, il testimone è passato definitivamente nelle mani e nel cuore del figlio Raffaele che aveva iniziato a lavorare in cantina a partire dal 1994. Martedì 21, giorni di Primavera, Raffaele ha voluto onorare la memoria del padre attraverso un indimenticabile verticale di Fiano intesa a dimostrare le incredibili doti di longevità del vitigno irpino e la peculiarità di un terroir, le colline di Montefredane (a quando una sottozona?), estremamente vocato. Naturalmente tutto ciò è possibile quando il fiano viene vinificato in una certa maniera. Vini, dunque, dalla grande freschezza acida, un elemento fondamentale per poter sfidare il tempo. Per lo stesso motivo, però, vini “sacrificati” e più difficili da approcciare alla loro uscita sul mercato, un’uscita sempre più anticipata per venire incontro alle esigenze della ristorazione. Dietro un grande vino, come ha ricordato la giornalista Carla Capalbo, c’è sempre un grande uomo e le sue scelte sono e devono essere, spesso, scelte coraggiose e controcorrente. La verticale è stata volutamente servita seguendo un ordine casuale senza rispettare la canonica cronologia decrescente che solitamente viene osservata in queste occasioni. Il risultato finale è stato unanimamente riconosciuto di eccezionale valore confermando il fiano un grande bianco da invecchiamento, ai vertici dell’enologia campana e, possiamo dirlo finalmente a testa alta, anche mondiale. Tutti vini diversi nel rispetto dell’ identità di ogni singola annata ed, allo stesso tempo, nel segno di uno stile preciso, rispettoso del territorio e del varietale, caratterizzato dal filo conduttore, di cui sopra, della freschezza e dell’acidità. Due batterie senza un criterio cronologico per mettersi in discussione e mettere in discussione la storia di Vadiaperti, un progetto filosofico ed estetico prima ancora che enologico. Compito, infine, il mio, non di meno arduo e complesso, quello di tradurvi le emozioni in valutazioni. Considerato il nutrito numero di campioni ho preferito note brevi e significative.
PRIMA BATTERIA
1) Fiano di Avellino 2003: Fruttato. Colpisce per i ricordi di frutta rossa che raramente sono dati di riscontrare in un vino bianco.
3 Stelle e mezzo.
2) Fiano di Avellino 1990: Elegante, fine. Dolcemente fruttato e speziato. Fresco.
4 Stelle e mezzo.
3) Fiano di Avellino 2005: Campione prelevato da vasca. Aromi fermentativi.
S.V.
4) Fiano di Avellino 2000: Minerale. Accenni di idrocarburi, note animali e speziate. Non per tutti i nasi (e palati).
4 Stelle e mezzo.
5) Fiano di Avellino 1992: Minerale. Ancora più scorbutico e pungente rispetto al precedente, esce sulla distanza nel bicchiere.
5 Stelle.
6) Fiano di Avellino 1993: Ricorda inizialmente la progressione del ’90, poi vira lentamente verso note gessose che ricordano, come fa notare qualcuno, uno champagne invecchiato.
3 Stelle e mezzo.
SECONDA BATTERIA
7) Fiano di Avellino 1996: Caramella d’orzo. Richiama il primo dei campioni degustati. Lento a concedersi, risulterà il campione più introverso delle due batterie..
3 Stelle.
8) Fiano di Avellino 2004: Ci riporta d’improvviso all’attualità. Il profilo è quello tipico del fiano d’annata. Frutta bianca e fiori gialli. Lievi accenni minerali e speziati. Da aspettare.
4 Stelle
9) Fiano di Avellino 1988: Una prima bottiglia non perfetta divide la sala. La seconda mette tutti d’accordo. Straordinario. Un piccolo capolavoro di equlibrio e bellezza.
5 Stelle.
10) Fiano di Avellino 1995: Riprende lo stile gessoso del ’93. Per chi ama lo champagne. Al palato si fa notare per la freschezza citrina di sconvolgente intensità.
4 Stelle e mezzo
11) Fiano di Avellino 1994: Farina di castagne. Più composto e poco incline a concedersi nel bicchiere.
3 Stelle e mezzo.
* Sicuramente una degustazione storica per la Campania, di grande qualità anche grazie alle persone che hanno partecipato: tutta gente che ama il vino e che macina migliaia di chilometri l’anno per agiornarsi e conoscere nuove realtà, esperti che rifuggono dalla mondanità modaiola e deprimente. Per la cronaca erano presenti oltre me e Fabio: Giovanni Ascione (Bibenda 2000 vini), Ugo Baldassarre (Tigullio Vini), Carla Capalbo, Pasquale Carlo, Antonio Del Franco (Ais Avellino), Paolo De Cristofaro (Gambero Rosso), Maristella Di Martino, Annibale Discepolo, Giampaolo Gravina (Espresso) , Maurizio Paparello (Bibenda 2000 Vini), Maurizio Paolillo (Porthos), Fabio Pracchia (Euposia). L’aspetto più significativo è che queste bottiglie, come altre che hanno vissuto una lunga trama, non sono state progettate e pensate per vivere a lungo: una circostanza che sottolinea la grande forza del Fiano e del terroir campano, sicuramente particolare grazie al clima e al terreno vulcanico. Da parte mia il 1992 è quello che mi ha colpito di più per la sua compiutezza classica, regale, assoluta con un grande equilibrio di sapidità, mineralità, freschezza: dopo un primo impatto quasi anonimo è uscito fuori sulla lunga distanza. Ed è con questo che ho poi affrontato un pecorino stagionato di Gambone. Mi limito a sottolineare la grandezza del 2004, confermata ancora una volta con una polpa assolutamente straordinaria, fortissima, efficace, moderna. E osservo come sia stupida e barbara l’usanza di bere i bianchi a meno di un anno dalla vendemmia, quando cioé non hanno ancora potuto esprimere nulla. (l.p.)