Un bicchiere per due. Cinque Terre Casata dei Beghee 2011 / Luciano Capellini


Cinque Terre 2011, Luciano Capellini

di Fabrizio Scarpato

Quando vengo a Volastra faccio il giro lungo: passo oltre il paese e dopo qualche curva, alla vista di Corniglia, torno indietro. Solo per il gusto di entrare in quel viale di ulivi che fanno da prospettiva alla cupola della chiesa, biancheggiante come squama di pesce, stagliata sul verde della macchia e dei vigneti. Serve un occhio in grado di zoomare come un duecento millimetri, ma vale la pena, come tirare un sospiro di sollievo. Che poi per respirare lentamente c’è il sagrato in pietra della chiesa romanica, all’ombra dei pini, punto di partenza del sentiero 6d, una scorciatoia per la bellezza, immerso e sospeso tra le vigne di Costa da Pòsa, poi nel bosco e negli orti, fin sopra Corniglia. Una volta c’ho fatto l’amore in quel tratto di bosco. Ma non con lui.

Nostra Signora della Salute – Volastra

Lui è l’uomo che ho qui davanti a me, al tavolo della trattoria, tovaglia a quadri in veranda, e una bottiglia di Cinque Terre di quassù, la cantina là in fondo, alla fine del caruggio. No, lui l’amore nel bosco non lo farebbe mai: è molto bello e mi riempie di attenzioni, senza sporcarsi. A volte mi viene in mente quella canzone di Mina, di un lui dal carattere difficile, egoista e prepotente, ma che al momento giusto sa diventare grande, tre volte grande. Io oggi mi sento come una di quelle amiche che ricevono regali e rose rosse per il loro compleanno, e son convinte che la vita è tutta lì: e invece no, mi vien da dire, da urlare. Invece no.

Dettagli

Guardami, per una volta guardami attraverso l’oro di questo bicchiere, lasciati andare alla freschezza della mela golden, inebriati del mandarancio, delle erbe dolci e pungenti di questi sentieri, dei fiori di ginestra, gli stessi che un altro uomo mise un giorno tra i miei capelli, dopo l’amore. E poi beviamo insieme: dio come vorrei che fossi come questo vino. Nessuna indulgenza, una carezza in un pugno, la freschezza agrumata in una mineralità rocciosa, che sbatte sui denti, insieme a un velo di astringenza, citrina ma gentile, come una barba di un paio di giorni.

Niente, non beve e non ha mai portato la barba lunga. Mi guarda però, col suo sorriso acchiappante, sicuro di sé. Io bevo un altro sorso, un sorso pieno, appagante, fino a ritrovare la bromelina dell’ananas sulla lingua, in un mulinello di freschezza amarognola. Chiudo gli occhi e non so perché ma avverto la suggestione come di lenzuola profumate di bucato, cotone e limone, il refrigerio di una notte d’estate. Mi piacciono i contrasti, mi piacciono i dubbi, la fatica di arrivare a una specie di equilibrio, a un’armonia, pezzo per pezzo, muro dopo muro, sorso dopo sorso. Non è forse questa la bellezza? Invece lui si allontana un attimo, lo vedo che si avvicina al ciglio del sentiero per raccogliere un fiore. Ora è qui davanti a me, e mi offre ‘sto fiore, cincischiando nella melassa: “Ti amo, piccola”.

Non doveva dirlo. Mi alzo e me ne vado. A piedi, fino a Manarola. E porto via con me la bottiglia di Cinque Terre, certa che lungo la strada troverà il modo, il suo modo, tre volte grande, di consolarmi.