Umagazzeo a San Marco dei Cavoti, osteria uscita dalle nebbie del tempo
di Marco Contursi
Ci sono luoghi che hanno un anima. E non sono per tutti.
Questo è il racconto, della mia cena. Del mio viaggio nel tempo.
In una trattoria ad un tiro di schioppo da Benevento.
Le osterie vanno scomparendo, soprattutto nei piccoli paesi, quelli, per capirci, come San Marco dei Cavoti, in cui alle ore 18 della vigilia dell’Epifania non trovi un negozio di torroncini aperto, eppure di questo dolce ne è la patria. Magari hanno ragione loro, che senso ha stare aperti se la gente di città neanche ci viene più, distratta da tablet e smartphone, con cui fare acquisti, comodamente seduti sul divano di casa, con la velocità di un click?
Ma una lucina, dopo un vecchio arco, mi dice che non starò digiuno. E brilla da 20 anni, dolmen di un modo antico di fare ristorazione che le nuove generazioni quasi ignorano, l’Osteria, un posto piccolo, accogliente, dove si va per mangiare ma anche per fare quattro chiacchiere, per bere e per ricevere calore umano, oltre che termico, da un forno a legna sempre acceso, che serve per le pizze ma fa anche da brace.
U Magazzeo è tutto questo, dolmen silenzioso, totem di un passato, altrove, ormai scomparso, e ci ricorda che l’osteria sopravvive alle novità e al tempo, anche se è una specie in via di estinzione, più del lupo e del tasso che ancora popolano queste terre.
Se certi luoghi hanno un anima, quella di U Magazzeo è Alessio Cavoto, che gira e gira, è tornato dove era partito. Spesso è solo nella sua osteria, cucina e porta ai tavoli, stappa e prende le comande, e da 20 anni fa resistenza gastronomica, alle mode e ai rompipalle.
Eh Sì, perché questo non è posto per chi va di fretta, per chi vuole cotoletta e penne al sugo, per chi ha fastidio se il vicino di tavolo (saletta da 20 posti) cerca di scambiare due chiacchiere.
C’è la pizza, ma costa 13 euro ed è fatta con grani antichi e condimenti ancestrali, quindi canottieri, amanti di frittatine e fantacrocchè girate al largo perché non è posto per voi, per il semplice motivo che qui non ci sono. Detto questo, è da provare, la marinara con capperi sardi e cicoria è un buon modo per aprire lo stomaco al primo bicchiere di vino.
O per accompagnare l’ultimo.
Io mi seggo, con me Giorgio del Grosso. Lui, che, tanti anni fa, mi fece scoprire Dino e il suo maiale nero, oggi mi fa capire che anche certi uomini vanno scomparendo, al pari delle osterie. Persone che davanti ad un bicchiere di vino e due fette di salame sanno incantarti coi racconti della vita, loro o di chi li ha preceduti.
I salumi li fa il papà di Alessio, la salsiccia non è tecnologicamente perfetta ma ha un buon sapore, il prosciutto, sempre del papà, uno dei migliori mangiati quest’anno. Pane e olio (superbi entrambi) sono la scusa per finire la prima bottiglia, con buona pace di chi cerca di cancellare storia e cultura con norme (multe & co) di buone intenzioni ma pessimi fini.
Già, il pane, cibo sacro, qui fatto con grani antichi e lievito madre, cotto a legna e conservato nel canovaccio.
Mamma che buono….
Un pezzetto di pecorino, qualche racconto, la serata continua. Un cliente, che poi scoprirò chiamarsi Dario, entra per una pizza da asporto e dopo 5 minuti siede al mio tavolo come un amico di sempre, condividiamo piatti, bevande e ricordi.
Il cavatello sposa il broccolo e la pancetta, sempre di papà e ci ricorda che la famiglia è l’ancora di salvezza, in un mondo sempre più veloce ma pieno di solitudine.
Chiacchiere, calici, calici e chiacchiere. Anche Alessio si siede al nostro tavolo, mentre l’agnello laticauda sfrigola sulla griglia con salsiccia e mugliatielli.
U magazzeo, cucina ancestrale, fuoco, interiora, carne che arde, mentre il vino impregna l’anima, come la pioggerellina che fitta fitta è iniziata a cadere sul paese, ormai deserto.
L’agnello è prepotente nella sua delicatezza, ti conquista e non ti fermi dal prenderne un altro pezzo con le mani e spolparne le ossa, finchè ne resta nel piatto. Il mugliatiello è violento, non è cibo da ragazzini, palati imberbi, omologati da hamburgher, salse e salsine. La cicoria, raccolta nel pomeriggio, pulisce la bocca con la nota amaricante.
Sul dolce non si scherza, la cassatina di Borrillo si prende per devozione, ma è il panettone al cioccolato di Ascolese, da me portato, che mi conferma che Fiorenzo è un fuoriclasse: Lievitazione perfetta, equilibrio apollineo dei sapori, cioccolato spaziale, insomma la (quasi) perfezione fatta panettone. Fiorenzo gioca in un campionato a parte.
Intelligenti pauca, ma per alcuni ne servono troppe.
Lievitato campano e birra stout molisana, matrimonio d’amore che si fa amare anche da chi, non predilige la birra artigianale.
E’ notte, c’è il tempo per un ultimo abbraccio e la promessa di ritrovarsi a questa tavola. A questo fuoco.
Lo so, dopo le feste tutti a pensare alla dieta, ma date retta a me, oggi, segnatevi questo nome e, quando potete, veniteci, ma solo se avete ben chiaro cosa è una vera osteria. Se cercate solo un posto dove mangiare una scaloppina, magari di fretta, mi raccomando, state alla larga.
Anche perché i posti sono solo 20 e mi girerebbero le scatole se quando ritorno li trovo occupati, da chi, a fine pranzo, semmai, dice che ha aspettato troppo tempo il suo piatto.
“A sarvatori der monno coi minuti contati…..ma annatevene a…..”
Osteria Umagazzeo
Via Porta di Rose 26 San Marco dei Cavoti (Bn)
tel 339 357 8733
Sempre aperto pranzo e cena
prezzo medio 30-35 euro
Grande Marco. Sempre.
graziee Enrico
Marco, che poesia la descrizione di un luogo fuori dal tempo e dalle mode. Aiutiamo questi eroi a resistere ancora per tanto e tanto tempo.
Indirizzo segnato!
grazie :-)
Marco! 👑👑👑
grazieee