Troppo pomodoro, questo cuoco non è bravo
L’omologazione ha molte facce. C’è quella volgare e impositiva, capace di fare i propri interessi a Bruxelles sino al punto di vietare cotture a legna, la coltura di sementi scomparse, o imporre l’uso di zucchero nel vino o la possibilità di adulterare la cioccolata.
Poi c’è quella raffinata, che si veste di terzietà, di una presunta superiorità critica, in genere autocertificata, che getta sentenze con sicurezza, come insegnano i manuali per manager amaericani tradotti in Italia e molto in voga tra gli yuppies reaganaiani de noaltri negli anni ’80.
Dietro una frase del tipo: “troppo pomodoro in questa cucina” c’è esattamente il rovesciamento dei valori, ciò che è positivo viene fatto diventare negativo da una pseudo critica che ignora la storia agricola e artigianale della seconda regione italiana e che si arroga il diritto di giudicare senza conoscere.
In questi giorni, da Nocera sino alle falde del Vesuvio, e nelle case di campagna in Irpinia, Sannio, Cilento, nell’Alto Casertano, in Puglia, tutto profuma di pomodoro. Fresco, trasformato. I ragazzi intingono il pane, migliaia e migliaia di persone trovano occupazione in un’attività sempre più qualificata e consapevole, capace di imporsi in tutto il mondo, proprio come avviene in Veneto con i distretti.
Il pomodoro è l’anima di piatti italiani mangiati ogni giorno da milioni di persone in Italia e all’Estero. E per rappresentare l’Italia non si usa il foie gras o le ostriche belon, e neanche, mi si consenta, la polenta della Val Brembana: ma gli spaghetti con il pomodoro.
Potente acidificante, salutare e antiossidante come come poche edibili al mondo, celebrato nei film e in letteratura come nessun altro alimento, grano e vino a parte intendo.
Dici San Marzano e ti capisce immediatamente, ammirato, tutto l’Occidente, Giappone compreso:-)
Mi spiegate perché un cuoco campano dovrebbe vergognarsi di usarlo?
Eppure c’è chi lo sostiene come elemento di critica.
Uno dei tanti, piccoli, paradossi, che indica però come avviene il distacco tra critica e oggetto della critica.
Un fenomeno tipicamente italiano.
Spero che la nuova generazione di cuochi, trentenni, che si affaccia entusiasta in questo momento, sul proscenio dell’alta gastronomia, non si faccia abbagliare e segua le orme di chi l’ha preceduta: la chiave del successo dell’alta gastronomia campana è proprio aver mantenuto la propria caratterizzazione.
Del resto, cosa direste se a Roma vi facessero vedere un palazzo dell’Eur e non il Colosseo? Forse restereste un po’ delusi.
14 Commenti
I commenti sono chiusi.
Non so chi abbia scritto questo pezzo, ma forse farebbe bene a revisionarlo.
Non si capisce da cosa prenda spunto ed è pieno di strafalcioni. Faccio solo un esempio.
La prima frase: L’omologazione ha molte facce. C’è quella volgare e impositiva, capace di fare i propri interessi a Bruxelles sino al punto di vietare cotture a legna, la coltura di sementi scomparse, l’uso di zucchero nel vino o la possibilità di adulterare la cioccolata.
Significa vietare la cottura a legna, vietare la coltura di sementi, vietare l’uso di zucchero, vietare di adulterare la cioccolata. Per non parlare degli innumerevoli refusi… e poi… da quando il Giappone fa parte dell’Occidente?
Last but no least…. de che stamo a parlà?
Sono d’accordo sulla necessità di saperne di più, come ho già scritto nel mio commento. Credo però che il Giappone mischiato con l’occidente sia una battuta voluta, dato l’emoticon…
Stiamo a parlà del fatto che la critica gastronomica deve valutare la tecnica, la creatività, le capacità interpretative e non giudicare in base alla materia prima scelta. Molti pensavano che per avere alti voti e stelle fosse necessario cucinare foie gras e ostriche, come alcuni produttori pensavano che per fare vini importanti fosse giusto utilizzare vitigni internazionali anche sulla Sila:-)
Un ragionamento analogo potrebbe essere fatto per la pasta, ad esempio, che secondo alcuni, anche cuochi affermati, non ha dignità di stare nell’alta ristorazione mentre, magari, le spumette sì.
Stiamo a parlà che bisogna giudicare senza presupposti ideologici, ma per quello che c’è nel piatto.
E che spesso, dietro la critica all’uso del pomodoro e dell’uso della pasta c’è una vocazione antimeridionale che io non sopporto non perché sono terrone, ma perché mi piace Voltaire e credo che la prima molla del progresso sia la curiosità e la diversità.
Quanto agli strafalcioni, sono stati corretti, era saltato un verbo nella fretta. Mentre quella sul Giappone è una battuta, come è facilmente edibile.
Non ho fatto nomi perché è vero, come scrive Maffi, che un blog si distingue per una spiccata vocazione antimeridionale, ma è la punta di un iceberg, non la causa, ma la conseguenza di un fenomeno. Quindi la polemica personale non mi interessa,mi piace di più affrontare il tema, come è giusto che sia anche sul 2.0 ed evitare anche di fare pubblicità gratuita a chi ne ha bisogno:-)
Però la curiosità resta… No, non quella sul nome… Ma al direttore la polenta piace o no? ;)
Sicuramente nel pesce non ne va tanto, ma per il resto e’ il pomodoro che comanda a tavola.
Ricordo una canzone di quando ero piccola: Viva la pappa al pomodoro… La dice lunga sull’importanza nella nostra tavola!
Il tema è ghiotto quanto l’oggetto del contendere, solo che senza sapere il peccatore, il contesto e l’eventuale argomentazione a sostegno di questa discutibile tesi è difficile commentare andando oltre un generico sostegno al pomodoro… A proposito della polenta della Val Brembana: anche qui nel bergamasco, i pomodori coltivati – non comprati, ma quelli di mia suocera! – sono squisiti, e la polenta cu ‘o rraù è favolosa ;)
Cima mi ha anticipato: giu’ le mani dalla polenta, che ha sfamato non solo la Val brembana ma intere legioni di regioni:-)
@cima: non conosco tutti i peccatori ma uno per certo si: trattasi di noto blog
@Maffi caro, non lo dica, ché così presta il fianco a chi sostiene che fu causa di pellagra… P.S. Non ci arriverò mai perché, stomacato da numerosi post, ho ridotto le mie letture enogastronomiche ai soli lucianopignataro e gazzettagastronomica (su cui non mi pare ci fosse nulla di simile). PPSS: lei scrive sempre troppo poco…
@cima: non credo che Luciano, oggettivamente dico, senza alcunissima polemica che fa caldo, conosca molto bene la polenta che conosciamo noi. Forse in qualche ristorante anche notevole gli hanno propinato quella specie di pappetta molle e senza sapore che capita di trovare. Tra l’altro, come tu ben sai, polenta e salsa di pomodoro si sposano benissimo, alla faccia degli integralisti bossiani:-) ora vengo di la’ e soddisfo la tua curiosita’ sul blog. Comunque hai fatto fuochino:-)
Figuriamoci, col suocero bergamasco che ho, abituato tra l’altro alla polenta consistente e bianca – ormai introvabile se non finissima – anche se sono napoletano ho imparato bene che cos’è una buona polenta, e speriamo che il direttore ci voglia onorare qualche volta…
sono parecchio daccordo
chiedo scusa: d’accordo (con l’articolo, ovvio)