Cicciotto a Marechiaro, la magia del mare a Posillipo
di Maurizio Cortese
“Quando spunta la luna a Marechiaro anche i pesci fanno l’amore”, così recita il Maestro Sergio Bruni in uno dei grandi classici della canzone partenopea.
E a Marechiaro, punta estrema di Posillipo, quartiere “chic” di Napoli, dal 1942 c’è “Cicciotto”, uno dei ristoranti più frequentati della città.
Un ristorante che sembra imbalsamato, qui il “Panta Rei”, il “tutto scorre e nulla permane” di greca memoria pare non trovi riscontro, nelle cose così come nelle persone. E’ la sensazione che ti assale quando rivedi il vecchio Cicciotto e i suoi figli, Gianluca e Vincenzo, sempre uguali da quando ancora sbarbatelli per corteggiare una ragazza si decideva di “vincere facile” usando la più rapide delle scorciatoie, accomodandosi a uno dei loro tavoli con la luna di Marechiaro, splendente sul mare, e Capri di fronte.
Ancora in parte ferma agli anni Ottanta, consapevolmente “per accontentare le richieste della nostra clientela”, anche la carta dei vini, con i classici dell’epoca, così come per i piatti della ristorazione partenopea, qui ovviamente molto a base di pesce. Pochi fronzoli da Cicciotto, un concetto che trova conferma nelle parole di Gianluca Capuano, parole che inducono a una profonda riflessione. “A me piacciono molto quei piatti dove si percepisce la ricerca dei prodotti, l’estetica, ne sono quasi innamorato, ma ho sempre avuto il timore che non fossero accettati dalla mia clientela, molto fidelizzata, abituata a una cucina immediata, di facile percezione, di ottima materia prima a un costo tutto sommato accettabile”.
Sta di fatto che la loro è una formula oggettivamente vincente, almeno i numeri così dicono, al punto da convincerli ad un recente ampliamento acquisendo lo spazio del ristorante di fianco, che oggi prende il nome de “Il Giardino di Cicciotto” con altri centosettanta posti a sedere, tutti al coperto, che si aggiungono ai vecchi sessanta, sopperendo così alla loro più evidente lacuna di essere considerato un ristorante prettamente estivo per assenza di coperture. Cicciotto, così come altri nomi noti in città, tutti fuori dai giri “gourmet”, come Terrazza Calabritto__, L’altro loco, Mimì alla Ferrovia, è un ristorante di grande successo, dove è difficile trovare posto, sette giorni su sette, se non prenotando qualche giorno prima.
Qui la crisi, passata o presente che sia, non ha mai messo radici. E allora, come direbbe il nostro caro Antonio Lubrano, “la domanda sorge spontanea”: perché questi ristoranti che fanno la loro parte nel muovere l’economia cittadina non trovano quasi mai spazio nelle nostre recensioni? Devo dire, da sporadico frequentatore di questi luoghi, che il problema non è la materia prima, sicuramente buona, tantomeno il servizio, efficiente e poco ingessato, forse, anzi sicuramente, ciò che sostanzialmente manca è la mancanza di emozione che invece si percepisce nei piatti di quei cuochi che sono nati, cresciuti, educati, nell’alta ristorazione.
Alla luce di queste considerazioni è un’altra la domanda che “sorge spontanea” e che personalmente mi sto ponendo negli ultimi tempi: a quante persone, numeri alla mano, piace la cucina cosiddetta “gourmet”? Credo, con sommo dispiacere, davvero a pochi e non c’è prova più evidente del costante “over booking” di questi ristoranti a dispetto di quelli “gourmet” pieni, forse, nel fine settimana.
Il sospetto, forse più il pericolo, è che scrivere e parlare sempre dei soliti nomi abbia reso il già piccolo mondo dell’alta ristorazione troppo autoreferenziale. Oppure, peggio ancora, di non essere riusciti ad allargare la conoscenza, dell’eccellenza, della “Grande Bellezza” dell’alta cucina, al grande pubblico, se non attraverso dei surrogati alla MasterChef.
Terza domanda, quindi: per chi si scrive?
Ristorante Cicciotto
Calata Ponticello a Marechiaro, 32
Napoli
Tel. 081.5751165
Sempre aperto
Ferie mai
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La storia
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di Emanuela Sorrentino
Una volta c’erano Totò ed Eduardo De Filippo seduti a quei tavoli a Marechiaro a due passi dalla scalinata dei pescatori e dalle cavità in tufo. Oggi è un viavai di personaggi del mondo dello spettacolo, calciatori, imprenditori, turisti ed affezionati clienti.
Ha compiuto 70 anni nel 2013 la trattoria da Cicciotto, e come nell’autunno del 1943 ad accogliere i suoi ospiti è sempre la famiglia Capuano. Prima c’era Don Vincenzo, per tutti «Cicciotto», con la sua mole paffuta ed i capelli ricci, oggi ci sono il figlio Giovanni Capuano con la moglie Maria e soprattutto i nipoti Gianluca e Vincenzo.
In origine Cicciotto era una cantina dove si produceva vino e si degustavano buoni salumi, poi si cominciò a cucinare il pesce dei pescatori del borgo – una tradizione che ancora oggi resiste – e nacque così, 72 anni fa, la trattoria da Cicciotto.
Un pezzo di Napoli che i turisti e i personaggi di tutto il mondo portano nel cuore per la genuinità delle sue ricette marinare ma anche per il panorama mozzafiato che regala emozioni sempre diverse, di giorno e di sera.
«Cicciotto» in cucina e il figlio Giovanni a dare una mano tra i tavoli, come ricorda oggi sorridendo con un pizzico di malinconia. «La nostra famiglia è per noi un motivo di orgoglio – racconta don Giovanni – ed il nostro essere stati sempre uniti ed affiatati ci ha portato fino a questo traguardo». Marechiaro divenne quasi subito il piccolo regno di «Cicciotto» prima e di suo figlio Giovanni dopo, che ha ereditato dal padre l’arte della buona cucina ma soprattutto il soprannome.
Marechiaro, tanto amata dagli antichi romani, è stata fonte di ispirazione per note canzoni romantiche, prima fra tutte quella di Salvatore Di Giacomo e Francesco Paolo Tosti sulla celebre «Fenestella» che si affaccia sul mare. All’interno del caratteristico spazio tante fotografie degli anni passati. Immagini in bianco e nero e riproduzioni a colori di serate che la famiglia Capuano non potrà mai dimenticare.
E così capita che tra un piatto e l’altro i clienti si fermino ad osservare le foto esposte alle pareti, chiedendo anche curiosità allo stesso Giovanni e ai suoi figli.
Uno spettacolo nello spettacolo, come in un replay i personaggi che nel tempo hanno raggiunto l’ameno e riservato locale di Marechiaro posano uno accanto all’altro: da Dario Fo a Ornella Muti, dalla Vanoni a Lucio Dalla, Salemme, Luca Zingaretti e Luisa Ranieri, Elisabetta Canalis, Giancarlo Giannini, senza dimenticare attori del calibro di Ralph Fiennes e Matt Dillon.
E poi i calciatori come Fabio e Paolo Cannavaro (c’è la gigantografia di Gianluca Capuano con capitan Fabio Cannavaro e la Coppa del Mondo) e Ciro Ferrara, che ancora oggi frequentano la trattoria, il bar e il vicino «Faretto». Passato, presente e futuro sono racchiusi in pochi metri quadrati.
3 Commenti
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Maurizio ecco le mie risposte alle tue 3 domande:
1. In Tavola da Mimì e da Cicciotto c’è la cucina di Napoli con la sua tradizione contemporanea, moderna. Si tratta di format collaudati da decenni. Il target è erga omnes. E’ il modello rassicurante della tavola di mammà da una parte e quello della tavola di magnammo ‘ncopp’o scoglio guardanne ‘a Luna, dall’altro. Il format tira, eccome. L’altro Loco ha ricevuto attenzione proprio qui: https://www.lucianopignataro.it/a/napoli-laltro-loco/64160/ e qui https://www.lucianopignataro.it/a/ricetta-migliore-genovese-napoli/91310/
A Terrazza Calabritto io non ho avuto un’esperienza di quelle entusiasmanti nonostante la sala piena. La recensione qui https://www.lucianopignataro.it/a/napoli-terrazza-calabritto-il-mare-sta-li-di-fronte/67776/
2. A quanti piace la cucina cosiddetta gourmet? Beh io sto mettendo insieme una serie di appunti sull’abuso di questo termine, gourmet. Limitandomi all’accezione del termine che tu dai indicando come gourmet la cucina di cuochi e chef che ci mettono personalità, ricerca e passione io dico che piace se è golosa e se è offerta a un costo compatibile con le tasche medie. Vedi, non a caso, il caso Abraxas. Le recensioni qui sempre su questo blog. https://www.lucianopignataro.it/a/pozzuoli-na-abraxas-osteria-la-sfida-gourmet-di-nando-salemme-e-tommaso-di-meo/58081/
qui https://www.lucianopignataro.it/a/grande-notizia-pozzuoli-abraxas-nando-salemme-fa-goal-14-portate-a-40-euro/84204/
3. Alla terza domanda rispondo con un’altra domanda. I retori definiscono questa risposta una petizione di principio. Eccola. Gli stellati con una, due, tre stelle per chi cucinano?
Interessante spunto, ed interessantissima la risposta di Tommaso Esposito, da cui colgo il commento finale: gli stellati con una, due, tre stelle; per chi cucinano?
Mi sento di sviluppare quest’ultimo punto, e di spingerlo un po’ più in là: di sola alta cucina vive l’uomo? Chi ha i mezzi culturali per comprendere l’alta cucina? Chi ha i mezzi economici per fruirne?
Isoliamo i gruppi identificati rispondendo a queste domande (l’insieme delle persone che vivrebbero di sola haute cuisine, quello delle persone che hanno gli strumenti culturali per comprenderla, ed infine quello di coloro che hanno abbastanza soldi da potersela permettere) ed intersechiamoli, per ottenere il sottoinsieme di persone sufficientemente colte, benestanti e desiderose di quel tipo di offerta da poter riempire tutte le sere le sale di uno qualsiasi dei locali gourmet d’Italia.
Mi sembra superfluo specificare che questo esiguo drappello di soloni sarà di corpo irrisorio rispetto alla maggioranza di persone mediamente ignoranti, o mediamente povere, o perfino mediamente disinteressate all’alta cucina (appartengo a tutte e tre le categorie, ma in seguito all’overdose di mastercheffing a quest’ultima in particolare) – che, guarda caso, sono coloro a cui piace mangiare cose mediamente normali cucinate mediamente (o molto) bene, pagando mediamente poco. I film di Spielberg incassano più di Gaspar Noé. Camilleri conta molti più lettori di Consolo. “Noi” li andiamo a guardare, “Noi” li leggiamo… Siamo la Media. Siamo la Regola. Siamo l’esercito che riempie i locali che ci danno ciò che vogliamo. Specialmente se si affacciano sulla luna di Marechiaro.
e se non “siamo” (non mi ricordo di aver mai acquistato un Camilleri), di certo loro lo sono.
Io due piattini sul mare nella sede “vecchia” me li farei (quella nuova non è cosa,,,). Non mi piace questa sorta di riflusso, non mi è mai piaciuto, tanto meno se incaselliamo tutto in categorie, in classi, addirittura in cultura. Anche perché non credo che nei ristoranti citati nel post un pranzo venga via a trenta euro. Io penso che tutti gli avventori di Cicciotto andrebbero (o vanno davvero, checché se ne pensi) anche da Uliassi o alla Torre del Saracino, spendendo cinquanta euro in più, magari una volta all’anno: non è un abisso né economico, tanto meno culturale (fatta la tara di quelli che “vuoi mettere una pasta e fagioli? che entrano e escono dalla neuro…). Il baratro invece è nella sottile angoscia che sta nella domanda finale di Maurizio: la sensazione di una battaglia persa. Il timore, tenuto nascosto in un angolino della coscienza, che l’alta cucina esiste e va veloce (la formula uno dove tutto si prova e si sperimenta per poi ritrovarlo sulla Panda), ma che il problema è il mondo che le ruota attorno, quello che annaspa asfittico, involuto in se stesso, a volte compagnia di giro. Il problema è nostro (vostro?) non della “gente”, che non è incolta e che credo sappia, conosca e scelga. E gli “stellati” (aboliamo il termine, come gourmet), caro Tommaso, cucinano per tutta questa gente, che si muove, molto più di quanto noi (voi?) pensiamo, o temiamo, mentre ci guardiamo l’ombelico, in attesa spasmodica di un “riconoscimento” e talvolta anche di riconoscenza. Quanto poi ad altri perché, posso azzardare a proporre un confronto anche solo visivo tra i piatti di Cicciotto e quelli, per dire, di Casa del Nonno 13 (nei tempi migliori) o dell’Oasis di Vallesaccarda: non credo ci sia una differenza abissale di prezzo, né di target, né di cultura gastronomica. Eppure c’è differenza. Di emozione (come dice Maurizio)? Di passione? Di cura? Di volontà? Di amor proprio? Fate voi.