Torre Varano: verticale 2006, 2005, 2004 e 2003 L’Eroe Aglianico del Taburno
di Ugo Baldassarre
Emozionante. Perché sotto i riflettori c’è un vino che emoziona, che riferisce del rapporto con la terra da cui trae origine: l’Eroe, l’aglianico dell’azienda Torre Varano, racconta a piena voce un legame, che si avverte essere segreto e profondo, tra uomo e natura, tra produttore e vino. Come l’artista, lo scultore che con animo vibrante lavora, plasma e leviga la sua creatura, così si instaura tra il produttore ed il suo vino un legame davvero speciale, vivo, esclusivo. E’ questa la sensazione che puoi avvertire, netta quasi palpabile, quando conosci Nicola D’Occhio: uomo di vigna e di cantina, Nicola non è abituato a parlare di sé, mai schivo ma anzi sempre disponibile e cortese, preferisce tuttavia che a parlare siano le sue creature, quei vini con cui ha instaurato una personale corrispondenza di sensi. Divertente, intrigante. Perché anziché procedere con il solito ortodosso scorrimento a ritroso delle annate, nella degustazione dell’8 maggio scorso, che ha avuto luogo presso la sede aziendale di Torrecuso, i vini sono stati serviti alla cieca, lasciando a ciascuno il compito di individuare le annate.
Tra le quattro annate proposte, 2006, 2005, 2004 e 2003 i riferimenti al buio avrebbero dovuto essere la 2003 e la 2006 caratterizzate, la prima dalla particolare accentuazione delle maturità del frutto al naso e alla bocca e, la seconda, da qualche probabile spigolosità ancora tutta da smussare. E invece, tra la sorpresa di tutti e a riconferma del fatto che nel vino sono molte più le eccezioni che le regole – alla quali, per conseguenza, sarebbe giusto non affidarsi troppo – neanche queste due annate “più scontate” sono state riconosciute facilmente. Per il 2003, inoltre, non sarebbe neanche giusto parlare di “tenuta”, poiché si tratta di un vino eccezionalmente integro, non solo senza segni di cedimento, ma addirittura proiettato verso un lungo futuro.
Viceversa sarebbe stato ben difficile riconoscere il 2006 dalla freschezza eccedente o dai tannini giovani e scalpitanti, perchè anch’esso, pur nella sua giovinezza – è stato imbottigliato da pochi giorni e etichettato qualche minuto prima dell’arrivo degli ospiti, solo per coprirlo “con abiti decenti” – ha offerto prova di grande e precoce equilibrio.
Tra gli amici intervenuti – la combriccola era formata da Maurizio Paolillo, Pasquale Carlo, Michela Guadagno, Vittorio Guerrazzi, Alberto Capasso e Fabio Guarino, formazione integrata che dal sottoscritto, da Nicola e l’enologo Sergio Romano, anche da rappresentanti di altre aziende come Libero Rillo, Filippo Colandrea, Francesco Rillo e Lugi Romano – ognuno ha eletto il suo “Eroe” preferito e, nella sostanza, le scelte si sono equamente suddivise. Tutti hanno però condiviso il parere sull’individuazione dell’elemento accomunante, il minimo comun denominatore di queste annate, rappresentato dalla tipicità del vitigno, declinata egregiamente nel bicchiere. Questo vino in realtà non ha bisogno di interpreti, parla in prima persona e racconta ad alta voce la sua franchezza, la naturalezza, il rispetto del territorio e del patto che questo territorio ha stretto con la vite, a prescindere dall’uomo.
L’Igt Beneventano L’Eroe viene da aglianico in purezza, è realizzato con lunga fermentazione, sei mesi in barriques nuove e sei mesi di bottiglia. Aglianico di razza, ha un ampio corredo aromatico con sentori di susine, more e altri frutti di bosco, viola e tabacco; non è mancato, tra i presenti, chi ha giustamente osservato che proprio il 2003, lungi dall’avere espressioni più mature, presenta anzi nette sfumature vegetali, con note di muschio, sottobosco e mallo di noce. Alla bocca il tessuto è fitto e compatto, di gran nerbo, le parti dure e quelle morbide si compongono in un perfetto equilibrio, freschezza e sapidità sono i pilastri portanti del sorso. Il finale di bocca è lungo, composto e accurato: nell’aroma di bocca si riaffaccia prepotente il sapore del frutto, la sensazione alcolica è anch’essa piacevolmente misurata. I tannini, disegnati in tondo, ma ancora croccanti e ben distribuiti, ci ricordano l’appartenenza al vitigno.
Ma, lo dico per dovere di cronaca, la serata non finisce qui. Anzi, terminata la degustazione, è appena cominciata. Col succedere delle portate, preparate dalle donne di casa, non si sa, ad un certo punto, se il tema sia veramente la degustazione o piuttosto la cena stessa, se quest’ultima non rappresenti una lusinga e un tentativo di corruzione del degustatore per carpirne benevoli giudizi sul vino!
Come d’incanto i tavoli, oramai una vera e propria tavola imbandita, si riempiono di: bruschette ai pomodorini, bruschette ai fagioli, rustici e frittate, pecorino e prosciutto. Non si ha il tempo di riprendersi dalla sorpresa che arrivano, serviti direttamente dalle pentole ancora fumanti: zuppa di pancotto – la tipica minestra realizzata da queste parti con pane ammollato cavoli e verdure varie – cecatielli con salsiccia e brasato all’aglianico…
Tra una portata e l’altra, abbiamo anche l’occasione per apprezzare gli altri vini dell’azienda, a cominciare dalla Falanghina e dal Rosato di Aglianico, prodotti nella doc Taburno. Poi è la volta dell’Aglianico doc Taburno, di cui proviamo l’annata 2005 ed un campione di botte della vendemmia 2006. La materia prima è sempre la stessa, l’aglianico di Torrecuso coltivato nei bellissimi vigneti adagiati proprio davanti all’azienda, ma stavolta l’invecchiamento è più lungo: siamo a 20 mesi di barriques, volutamente scelte tra quelle più scariche di secondo e terzo passaggio, e 6 mesi di bottiglia. Qui il corredo olfattivo si arricchisce di altri profumi, eleganti e floreali; anche alla bocca il vino si rivela di grande finezza, ha una trama spessa, succosa eppure non robusta o ingombrante, la freschezza è ancora vivida e guizzante, i tannini sono dolci e morbidi. In tanti ci siamo prenotati sin d’ora per il momento in cui Nicola sarà in grado di farne una verticale: se tutto va bene ci toccherà aspettare fino al 2011…
Ultimo, solo per questioni di rispetto della successione ma primo per qualità, è stato servito l’Aglianico del Taburno “36 + 6”, il capolavoro enologico della casa, cui di recente sono stati tributati consensi e riconoscimenti da stampa e guide di settore.
Aumenta ancora la maturazione che, come può suggerire il nome del vino, è lunghissima: 36 mesi in legno, cui fa seguito un periodo di affinamento di 6 mesi in bottiglia. Il risultato è un vino di spessore, elegante nell’ampio e complesso bouquet di more, spezie, tabacco e vaniglia, austero e dinamico al tempo stesso, potente ed equilibrato, morbido e giustamente tannico, armonico e di grandissima persistenza gusto-olfattiva. Ciò che sorprende, ancora una volta e come accade in tutti i vini di Torre Varano, è la facilità della beva e la duttilità dell’abbinamento, nonostante l’indubbio spessore del complesso degli elementi organolettici.
E io credo che questo parametro di vera modestia senza sfoggio né ostentazioni, questa capacità di un vino (e di un produttore) di non avere presunzioni né preclusioni, di sapersi sempre adeguare alle circostanze, siano in realtà sostanziali segnali di gran classe.