Terre dei Re, Aglianico a Rionero


L’azienda è sulla strada per i laghi vulcanici di Monticchio, a destra in lontananza il castello di Lagopesole dove quest’anno a fine settembre sarà ospitata Aglianica, la rassegna ideata da Donato Rondinella. A sinistra, coperta dalla collina, Melfi cara a Federico II. Quattro milioni, euro più euro meno, di investimenti per una cantina spaziosa, moderna, di circa tremila metri quadrati, dove le barrique riposano in una grotta scavata per 50 metri nella lava. Terra dei Re è la nuova realtà lucana che arricchisce un panorama aziendale solido e variegato, da Paternoster alle Cantine del Notaio, da D’Angelo al Consorzio Produttori, da Terre degli Svevi della Giv a Cantina di Venosa, da Eubea a Tenuta le Querce, e l’elenco potrebbe continuare occupando tutto lo spazio di questa rubrica. Due i prodotti sul mercato, il Vultur e il Divinus. Il primo è un Aglianico del Vulture fermentato in legno ed elevato in legno grande che si presenta pronto, abbastanza morbido, in buon rapporto tra la qualità e il prezzo visto che esce dall’azienda nella fascia compresa tra 5 e 10 euro. Ma noi stavolta, contrariamente alle nostre abitudini, parliamo del top wine, che nella versione 2001 ha un bell’avvenire dietro le spalle. Ancora una volta Sergio Paternoster mostra tutta la sua maestria, citiamo Titolo tanto per gradire, con il frutto all’ombra del vulcano squassato 800.000 anni fa. Il naso è complesso, intenso, persistente, la frutta e la confettura lasciano spazio subito alle spezie con leggere note di tabacco che lo avvicinano all’Aglianico del Taburno. Fermentato in acciaio ed elevato in barrique, questo rosso non ha un legno invasivo e manifesta tutta la sua potenza, quella dello straordinario millesimo 2001, nel palato con un ingresso abbastanza morbido, caldo, sapido, minerale e un finale lunghissimo che ripulisce bene il palato dopo averlo conquistato. L’impresa delle famiglie De Sio e Leone conferma le potenzialità dell’Aglianico e del Vulture: il territorio ha voglia di organizzarsi e di uscire compatto all’esterno perché il mercato regionale non è abbastanza ampio da assorbire la produzione come invece succede in Campania. E soprattutto c’è purtroppo una ristorazione che non sembra aver compreso nella sua interezza il tesoro coltivato nelle vigne accanto all’uscio. Il Divinus lo beviamo convinti sull’agnello cucinato alla Pietra del Sale, ma anche sui grandi formaggi lucani scoperti dal nostro amico professore Roberto Rubino, protagonista come Sergio, della rinascita della filiera agroalimentare lucana di qualità. Da un’azienda così ora ci aspettiamo un bel bianco, fiano o moscato poco importa. Così parlò Plinio il Vecchio.