Terre da Cabernet, viaggio attraverso quattro grandi Cabernet sauvignon italiani: Lupicaia di Castello del Terriccio, Montevetrano, San Leonardo e Tasca d’Almerita


I quattro vini da uve Cabernet

di Marina Alaimo

Terre da Cabernet è un’associazione raccoglie alcuni dei grandi Cabernet italiani per compiere un viaggio attraverso i vari territori, scoprendo le diverse espressioni di questo straordinario vitigno. L’8 ottobre a Palazzo Taverna a Roma, costruito nel XV secolo sulla fortezza di Giordano Orsini, Castello del Terriccio (Toscana), Montevetrano (Campania) Tasca d’Almerita (Sicilia) e Tenuta San Leonardo (Trentino) hanno presentato questo interessante progetto.

L’ingresso di Terre di Cabernet

Le quattro aziende sostengomo la valenza del cabernet sauvignon che negli anni ’60 e ’70 ha segnato il rinascimento dell’enologia italiana, portando sviluppo ed innovazione nella vitivinicoltura della nostra penisola. Il convegno è stato condotto da Attilio Scienza, Ordinario di Vitivinicoltura Università degli studi di Milano. Scienza ha esordito citando la storica frase di Seconat Montesquieu che nel 1785 definì il Cabernet sauvignon “il vitigno perfetto”, per le sue qualità rustiche capaci di esprimersi sempre in maniera interessante in ambienti molto diversi ed in modo costante. E’ un vitigno dalle origini molto antiche, figlio di cabernet franc e di sauvignon blanc, pare arrivi dall’Epiro.

 

La relazione di Attilio Scienza con i quattro produttori

L’origine etimologica di cabernet proviene da carbonet (carbone) per il tipico colore grigio del chicco  conferito dalla notevole presenza di pruina sulla buccia, ma sopratutto questo nome è dovuto al sapore catamatroso del vino. Arriva nel Sud della Francia, luogo di attracco per le navi greche, dall’est dell’Europa, dopo l’Editto di Domiziano la cui madre era albanese, con il nome di vite biturgica, per la durezza del legno e per le sue doti di adattamento a qualunque clima e terreno. Poi attraverso la via di Narbonne è arrivato in Aquitania, ma si afferma  definitivamente  nel terzo secolo d.C. con la ripresa della coltura della vite voluta da Probo, in seguito alla grande crisi succeduta al dominio dell’Impero Romano. Molto probabilmente, come per altri vitigni quali lo chardonnay, il gamay o il riesling, il cabernet sauvignon è il frutto dell’incrocio spontaneo tra una vite  orientale ed una vite selvatica.


L’incrocio tra la paradomesticata vite sauvignon blanc (sauvignon-sauvage-selvatico) ed il cabernet franc è avvenuto appunto spontaneamente, in epoca Carolingia,  in una delle tante proprietà benedettine, dove grazie alla regola ora et labora è stato possibile far sopravvivere la vitivinicoltura. Entra tardi nell’assortimento varietale dei grandi chateau, solo nel 1700 dopo il grande freddo della piccola glaciazione, con la “rivoluzione delle bevande”, che aveva penalizzato ed eliminato una lunga serie di vini prima destinati esclusivamente al consumo nobiliare, valorizzando i vini molto colorati e tannici, come il malbec, preferiti invece dal consumo popolare. Ma la Rivoluzione Francese interrompe la sua diffusione che riprende solo nel 1800 e nel 1830 diventa il vitigno dominante nel Medoc. Nel XVIII sec. si afferma  in Italia e la credenza popolare vuole che la motivazione sia stata la ricostruzione postfilloserica. Ma non è questo il motivo determinante, bensì il fatto che nel 1700 la Francia fosse ritenuto un paese guida  nel campo dell’agricoltura, del commercio e della comunicazione.

Pertanto la borghesia agricola toscana e veneta, spinta dalla volontà di estendere il proprio commercio Oltralpe, decise di importare le tecniche di produzione francesi, molto più avanti rispetto a quelle del nostro paese. Il grande passo verso il cambiamento viene poi determinato dalla comparsa delle bottiglie di vetro nell’industria inglese, e proprio in Inghilterra si sviluppa velocemente l’ampio commercio di vino Porto e Bordeaux. Il vino imbottigliato è molto più pratico da trasportare e da consumare,ed il Bordeaux diviene velocemente  il vino di moda nelle corti europee dell’800. Dopo un viaggio fatto in Francia,  Guyot, all’esordio dell’arrivo della fillossera, fa una affermazione ritenuta rivoluzionaria, ovvero che ” il genio del vino sta nel vitigno”, smentendo duemila anni di storia di predominio del terroir sul vitigno e sulla qualità del vino. Questa affermazione distoglie totalmente l’attenzione dei tecnici italiani dalla adattabilità dei vitigni francesi ai nostri climi. La bassa produttività di questi vitigni nei territori italiani ne limita la diffusione, anche perché non si conoscevano i loro comportamenti agronomici. Due fattori poi vennero in aiuto al superamento di tali difficoltà: la passione per le collezioni ampelografiche e le ricerche che condussero alle prime scuole di enologia.

 

I vini in degustazione

Nel 1870 iniziò una notevole importazione di materiale vivaistico, prima che la diffusione della fillossera in Europa ponesse grandi limitazioni alla loro circolazione. Si diffusero sopratutto i cinque vitigni a bacca rossa del Medoc: merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc e carmenere, con forte predominanza di cabernet sauvignon e merlot. Questi due vitigni rappresentavano i gusti e le tendenze delle due classi sociali: il merlot era il vitigno dei contadini della pianura veneta in quanto produttivo, precoce, dal titolo zuccherino elevato, colorato, scarso di tannini e quindi di pronta beva. Il Cabernet sauvignon era il vino dei ricchi: i suoi piccoli grappoli ne facevano un vitigno tardivo, la sua marcata presenza di tannini  richiedeva l’utilizzo delle botti dove doveva sostare a lungo per affinarsi, quindi esigeva ingenti investimenti ed una buona conoscenza delle tecniche di cantina. In oltre molte famiglie nobili italiane erano imparentate con la nobiltà francese che nei propri chateau coltivava sopratutto cabernet sauvignon. Per la sua facilità di adattamento ai vari terrorir, si diffuse poi velocemente in tutta la Penisola.

Nel 1903 il Mondini, in seguito ad uno studio sulla propagazione di questo vitigno, dichiarò che fosse presente in 43 provincie italiane e totalmente assente in Sardegna.  Nel tempo si è rivelato un vitigno che, a differenza di altri, come ad esempio il pinot nero, evidenzia in tutti gli ambienti la sua personalità varietale, apportando comunque le dovute attenzioni, soffre infatti le potature decise, esige una costante alimentazione idrica, ma teme l’eccesso di acqua in primavera, i terreni migliori sono quelli più drenati, infatti non viene coltivato sulla riva destra della Gironda (Pomerol, Petrus) per l’elevata presenza di argilla , essendo un vitigno tardivo ha bisogno di climi soleggiati anche in autunno, almeno a latitudini elevate.  Il professor Scienza ha concluso il suo intervento chiedendosi chissà cosa avranno detto i francesi quando il Sassicaia nel 1978 a Londra batté tutti i cabernet del mondo.


Andrea Gori ha poi guidato la degustazione dei quattro vini dell’annata 2005.

Cabernet Sauvignon San Lonardo 2005: rosso rubino luminoso; al naso è intenso con prevalenza delle note erbacee, espresse sopratutto dai sentori di peperone verde, poi fruttato di mirtillo nero e fragola, eleganti i toni speziati di cuoio e liquirizia ed un sottile sbuffo di anice stellato. In bocca riporta subito il sapore dei mirtilli e delle fragole , è estremamente piacevole nella sua decisa freschezza, sottile la nota tannica e lunga la persistenza sui toni fruttati e speziati.

Lupicaia 2005 Castello del Terriccio: rosso rubino intenso; al naso esprime marcatamente le note balsamiche di eucalipto e menta, dovute al clima caldo della Maremma, poi emergono i profumi tipici della macchia mediterranea (mirto, elicriso, cisto), poi le note ferrose ed ematiche che richiamano la forte matrice minerale del terreno. Al gusto esprime decisa mineralità, è caldo, ha tannini sottili e richiama con decisione i toni fruttati  ed i sentori di macchia mediterranea.

Montevetrano 2005: Qui il cabernet è in uvaggio con merlot e aglianico , il colore rosso rubino è intenso;  al naso ricorda marcatamente  i profumi cupi e scuri del sottobosco, spiccano mora e mirtillo, poi affiorano con eleganza i toni speziati di chiodi di garofano, ginepro e pepe, sottile la nota di semi di finocchio. Al palato scalpitano i tannini donati dall’aglianico, di buona freschezza e sapidità, lunga la persistenza sottolineata dai ritorni di ginepro, mora e mirtillo.

Cabernet Sauvignon 2005 Tasca d’Almerita: siamo nella zona più a sud dell’Italia, ma la vite comunque gode di una fortissima escursione termica giorno notte per l’elevata altitudine, 400-500 mt. s.l.m. Il vino al naso esprime con determinazione i toni balsamici di eucalipto e menta secca, le note fruttate sono di marasca sotto spirito, marcate anche le sensazioni mediterranee di salvia e timo, poi quelle speziate di chiodi di garofano e ginepro. In bocca è elegante, tende alla morbidezza, è caldo, di buona freschezza e lunga persistenza giocata sui toni mediterranei e fruttati.

2 Commenti

  1. bel resoconto MArina! devo dire che il grande successo ha sopreso davvero tanto Anselmo i produttori e anche io…me l’avevano presentata come una cosina da amici, se avessi saputo davanti a chi avrei dovuto degustare forse avrei avuto qualche dubbio a dire subito di sì! ;-)
    grandi vini e grandi terroir cmq, son rimasto un po’sorpreso anche io che spesso sul cabernet ho avuto molte riserve

  2. @Andrea. La tua emozione era evidente e sei stato comunque professionale e coinvolgente.

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