Taurasi, con il fiatone in mezzo al guado: troppo ricco per i poveri, troppo povero per i ricchi
Una viticoltura a senso inverso: mentre volano i bianchi sui mercati, è allarme per il Taurasi e per i rossi strutturati. Questa volta il distretto vitivinicolo irpino evita il collasso grazie al fatto di essere presente sugli scaffali dei ristoranti in modo ben qualificato con entrambe le tipologie, peraltro sostenute dalla fascetta docg.
Fiano e Greco di Tufo, ma anche la Coda di Volpe, e persino la Falanghina mietono successi di consumo e di critica con un miglioramento sempre più vistoso (imponente il millesimo 2009 di Greco).
Paradossalmente annaspa però il Taurasi, ossia il vino su cui maggiormente si sono concentrati negli ultimi dieci anni gli investimenti privati, gli studi degli enologi e la promozione pubblica. Un fenomeno comune ad altre zone rossiste (il Barbaresco ormai si vende anche sfuso, il Barolo arranca, il Brunello di Montalcino e i Supertuscans sono quasi fermi al netto dei russi).
La prima ragione è generale: la cucina italiana si è assolutamente alleggerita e i rossi di corpo non sono più abbinabili alla stragrande maggioranza dei piatti che si trovano al ristorante o nelle case. La seconda è specifica, irpina: nonostante il costante miglioramento qualitativo, soprattutto nei millesimi 2004, 2005 e 2006, pochi produttori hanno saputo puntare veramente sulla valorizzazione del territorio, ossia la capacità di produrre cru e riserve oltre che vini base, in grado di conquistare l’immaginario degli appassionati e degli esperti. In sostanza, i prezzi sono troppo alti (anche se fermi da otto anni) per i consumatori comuni, mentre le etichette non sono adeguatamente specializzate per gli intenditori rotti a tutti le bevute. Lo stare in mezzo al guado è la causa prima dello stoccaggio inevaso nelle cantine iniziato dal 1998, al netto dell’abolizione di Anteprima Taurasi, ché sul piano della comunicazione specializzata è stato sicuramente un colpo mortale all’immagine dell’areale docg.
Una cosa è certa: abbassare i prezzi è solo il preludio al disastro finale. Invece solo chi saprà «apprezzare» le proprie bottiglie lavorando sui cru e le riserve potrà raccontare questo momento di stallo come di un brutto ricordo.
*Questo mio pezzo è stato pubblicato oggi in prima pagina sull’edizione del Mattino di Avellino. ed è il seguito alle riflessioni fatte sulla situazione dell’Aglianico in questo momento.
4 Commenti
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non toccatemi il taurasi!
Quoto in toto la tua analisi, Luciano. C’è da dire , in più, che molti produttori, pur avendo vigneti nelle zone più vocate dell’areale, hanno preferito vinificare tali uve insieme ad altre comprate in zone meno vocate approfittando di prezzi per questo più abbordabili e anche del drammatico calo degli stessi in questi ultimi anni, vanificando così le singole potenzialità espressive delle diverse zone.Naturalmente ciò non è la regola, ci sono pochi, purtroppo, eroici produttori che caparbiamente proseguono sulla strada della caratterizzazione e quindi della zonazione, avendo individuato la chiave per il successo di questo vino. Altro grande problema la promozione. L’unico specifico momento di promozione del Taurasi, l’anteprima, così come già da te rilevato, non esiste più. E pensare che, tanto per fare un parallelo con una regione da noi non troppo lontana, l’Umbria, il consorzio di tutela del Sagrantino di Montefalco ha organizzato degustazioni di promozione in tutta Italia, anche da noi in Campania, oltre alle tante manifestazioni regionali che pure fa.
Il Consorzio di Tutela dei vini dell’Irpinia dov’è ????
Proprio oggi nel dare un’occhiata alla cantina ho dedotto quello che stamani avevo letto sul “Mattino”.
Ebbene,riflettendoci i Taurasi comprati nel corso degli anni,rapportandoli a quelli venduti sono davvero poco.
Servono a realizzare una bella carta dei vini,ma se non venduti rimangono un cattivo investimento.
La colpa?
Io non la darei al prezzo perchè ho comprato una falanghina che costa quasi quando un Taurasi.
Ma ad una cattiva politica di immagine e marketing ,che purtroppo è una delle nostre peggiori qualità.
Credo che questi ultimi due interventi completino bene l’articolo di Pignataro