Taurasi 1973 doc Mastroberardino, viva i quarantenni!
Alla fine credo che l’ingrediente più importante del vino sia il tempo. Su questo aspetto abbiamo fatto sempre tante riflessioni, spesso proprio legate ai Taurasi di Mastroberardino, una delle poche aziende italiane che può arrivare al 1928 in degustazione.
Da due secoli a questa parte la modernità si riassume in due parametri: velocità e quantità. Bisogna fare tutto in modo più veloce e sempre di più.
Ma negli ultimi anni, precisamente a partire dal fulmicotosi reaganiani anni ’80, abbiamo iniziato a capire che la modernità nel cibo va esattamente in direzione opposta.
Per un vino tante elementi sono importanti e decisivi, ma la cosa principale è cercare di stapparlo al momento giusto, un po’ come quando si decide di vendere un’azione nel momento di massima redditività.
Per me un sommelier non si vede tanto dall’abbinamento che riesce a regalare, in fondo bastano quattro, cinque anni di lavoro quotidiano, ma quando decide di stappare la bottiglia al momento giusto.
Quello che ho capito, anzi, quello che mi ha colpito in un commento di Facebook quando ho postato la foto del del Taurasi 1973 di Mastroberardino uscita fuori dalla splendida cantina Da Tonino a Capri è che per valutare il Taurasi bisogna rapportarlo all’età dell’uomo. Insomma, il rapporto è di 1 a 1.
In effetti quando si beve un Taurasi anche di dieci anni si ha sempre la sensazione di averlo aperto troppo presto. Diciamo che adesso, per avere una idea di cosa sia realmente questo vino, bisogna bere dal 2001 in giù (ovviamente saltando la 2000, annata che detesto).
Abbiamo ormai prove innumerevoli di verticali Mastroberardino perciò quando è arrivata a tavola questa bottiglia offerta da Guido Barendson non avevo alcun dubbio sulla sua integrità. E nel bicchiere ritrovi appunto l’energia matura di chi ha superato i 40 anni. Buona freschezza, di valore assoluto, ma anche tannini setosi e ben levigati dal tempo. Frutta, ma anche spezie e fusione perfetta con il legno delle botti grandi che all’epoca venivano usate.
Il 1973 era il mio primo anno di liceo, assemblee piene di fumo, cicche (non ancora spinelli) che si passavano come segno di fratellanza, letture di romanzi russi e testi marxisti, qualche molotov e qualche arresto. Il 3 aprile ci fu il primo collegamento telefonico senza fili che segnava lo spartiacque nel corteggiamento, perché adesso che le avances vengono fatte in chat a tutte le ore raramente si riesce a raggiungere l’orgasmo a causa della loro glaciale futilità e ripetitività.
E nelle campagne di Montemarano il padre di Piero invece con assoluta testardaggine preparava questo vino scegliendo le uve.
Ecco, la modernità si riassume nella capacità di non voler inseguire gli altri, ma di continuare a fare il vino come sempre.