Taurasi 1968
MASTROBERARDINO
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: fuori commercio
Fermentazione e maturazione: legno
Il mio vecchio professore di filosofia al liceo sosteneva l’inutilità del suo esistere: insegnare questa materia a persone di 16 anni non ha alcun senso, questi libri vanno letti nella maturità. Era il suo modo garbato per dimostare il disprezzo gentiliano (il testo era quello dello spirtualista La Manna mentre noi si leggeva avidamente il positivista logico Geymonat) per il respiro dei nostri ideali.
A ben vedere, però, non che avesse torto fino in fondo. In realtà noi siamo stati una generazione di pecore Dolly, cresciuti con quattro-cinque anni di servizio paramilitare e a 16 anni pensavamo come a trenta. Però è vero che alcune cose possono essere comprese solo con l’esperienza, cifra comunque estranea all’età anagrafica. Oggi un giovane cuoco di 25 anni ha molto più sapere di quanto ne potesse avere la generazione di Marchesi a 40.
Così il primo 1968 lo bevemmo in maniera indecente nel 1992, beccato all’enoteca di Santa Lucia, in piena Tangentopoli, insieme al 1972. Lo aprimmo e lo liquidammo neanche intimoriti dai 24 anni passati, in fondo è come bere un 1985 oggi. Lo aprimmo perché, appunto, era un ’68!
Da allora è diventato un rosso che accompagna la mia vita, come quella di tanti appassionati. E’ come gli Scavi di Pompei: stà llà.
Un’altra bevuta, stavolta più civile, all’enoteca Manzoni a Salerno, poi a Parigi da Ducasse in occasione di una cucinata di Gennaro Esposito nel 2001 o giù di lì, infine un altro paio di volte sino alla degustazione tenuta a Castel dell’Ovo in occasione di Vitigno Italia.
Quando si bevono vini così vecchi il pensiero va alla loro tenuta, un po’ come quando ci si trova di fronte ad una persona di cento anni. Alla fine può anche essere stato un essere inutile, ma aver tagliato un traguardo così improbabile è già di per se motivo di attrazione nei suoi confronti.
Allora la prima risposta a questa domanda binaria è sì. L’Aglianico, ma non credo in purezza perché all’epoca non si andava tanto per il sottile, direi che il concetto di monovitigno neanche esisteva come elemento positivo di valutazione aprioristica, regge tranquillamente.
Vale la pena aspettare tanto? Boh, non lo so. A me, da quando l’ho bevuto consapevole, mi è sempre piaciuto molto. Però, e torniamo al tema iniziale, è anche vero che sono sempre più in condizione di apprezzarne le sfumature. Già, perché anche l’uomo, non solo il vino, evolve con il passare degli anni.
Allora cosa mi è rimasto di questa beva con un palato che ha scapolato il mezzo secolo da un pezzo? Anzitutto l’equilibrio del vino davvero notevole: le note dolci si distendono subito sopra la lingua come Sirene sugli scogli, residui di frutta rossa caramellata e rimandi a marmellata di ciliege croccanti. Il rischio stanchezza è subito riequilibrato da quel che accade sulle fasce laterali, su cui scorre la freschezza ancora intonsa ma non scissa come invece avviene nell’aglianico giovane. Sui tre quarti prevale il corpo e fa effetto il calore di un alcol non eccessivo, poi la chiusura con note di sapidità iniziali e finale secco, starei per dire amaro.
Quando poi si torna al naso, nel corso del tempo sembra di fare una passeggiata sulla macchia mediterranea della Costiera baciata dal sole estivo, oppure di entrare in una spezieria araba.
Infine la vista si rinfranca per le diverse tonalità di rosso granato sino alla mitica unghia arancione, visibile da sempre in questi tipi di lavorazione come attestano bene i vini di Struzziero degli anni ’90.
Una esperienza appagante, completa. Ma direi soprattutto tranquillizzante.
Pensate come sarebbe bello il mondo vitivinicolo meridionale se, invece di un solo 1968, avessimo almeno una quindicina di etichette diverse di quel millesimo.
Ecco, in sintesi, cosa sono gli Ogm: una sola versione possibile della diversità.
Sede ad Atripalda, Via Manfredi, 75-81. Tel. 0825 614111, fax 0825 614231. www.mastroberardino.com, Ettari:190 di proprietà e 150 in conduzione. Bottiglie prodotte: 2.500.000.Vitigni: aglianico, piedirosso, fiano di Avellino, coda di volpe, greco di Tufo, falanghina, e sciascinoso a Pompei
15 Commenti
I commenti sono chiusi.
Un Taurasi di 42 anni non ossidato??? Mi dispiace, ma questa volta non ti credo
Raccomandiamolo, spieghiamolo, ai nostri amici delle cantine, di mettere da parte uno stock di bottiglie per annata(perlomeno quelle migliori),per far si che di qui a qualche tempo potremo avere una memoria storica di quello che è stata la vitivinicoltura della fine del XVIV° secolo in Campania e in Irpinia!!!
ehmm …Lello ma che anni sono quelli del secolo a cui si riferisce (noi siamo nel XXI): avendo avuto la Sua stessa intuizione circa sei anni fa, comprai delle bottiglie di vino (di cantina terza classificata nel successivo anno di degustazione) che avevano colpito il mio gusto e mi ripromisi di aprirle più avanti nel tempo in qualche occasione speciale. Recentemente abbiamo stappato un piedirosso del 2002 e non Le dico il tuffo al cuore quando ho visto scendere un liquido torbido più opaco della radice di un rubino per non dirle del sapore che faceva concorrenza all’aceto Ponti. Una figuraccia che una bella bottiglia di acqua fresca ha saputo rimediare. Colpa ovviamente del custode (io) ma il vino ha una sua anima e una sua personalità, vive una vita propria in attesa che qualcuno decida di condividere con lui dei momenti che possono essere indimenticabili o da dimenticare se decide di farci pagare il fatto di essere stato trascurato.
Hai ragione, scusami. Sono rimasto solo…un secolo indietro : mi riferivo al XX °secolo. Non è detto che la colpa sia inevitabilmente del ” custode”. La longevità di un vino dipende soprattutto dalla qualità del prodotto di partenza(non a caso consigliavo di stoccare le annate migliori) e naturalmente anche dalla conservazione. Recentemente ho partecipato a diverse degustazioni verticali durante le quali ho bevuto dei vini (ottimi di partenza) a cominciare dall’ annata ’68 e ti posso garantire che sono risultati eccezionali (così come il vino oggetto di questo post). Ti invito, pertanto, a continuare nella politica dello stoccaggio ma avendo più cura soprattutto nella scelta qualitativa delle etichette e anche nella conservazione delle bottiglie.
P.S. Se ti trovi a passare di qui apriamo una bottiglia di Taurasi di Mastroberardino del ’74 e vedrai che ti convincerai!!!
Grazie Lello, spero di essere Sua ospite prima che termini le scorte; Le faccio intanto i miei complimenti per la bellissima tenuta.
Anno 1968: quanti ricordi e quanta nostalgia nel cuore. Il mio primo incontro e il primo amore con il vino. Imberbe pubblicista, nonché dimafonista a “Il Mattino” di Napoli, sotto l’ala protettrice di Franco Assisi e, soprattutto, di Ciro Buonanno. Un livido e piovoso meriggio di metà dicembre si era in attesa di qualche chiiamata. Ad un tratto, proprio mentre un tuono rombante scuoteva tutto l’edificio di Via Chiatamone, un trillo in sottofondo, che sembrava voler rivaleggiare senza riuscirci col rumoroso fratellastro, gracchiava da una delle cabine telefoniche. Mi sono subito precipitato per rispondere prima degli altri colleghi. Così, dopo aver azionato il registratore munito di un vecchio disco in vinile, ho risposto alla chiamata. Dall’altro capo del telefono un certo Cenatiempo d’ Ischia, dopo i convenevoli di rito mi dettava il pezzo da inviare in redazione. Alla fine volle sapere il mio indirizzo, perchè mi disse che aveva l’abitudine di inviare per le feste nataliziie una confezione di vino ischitano a colui che avrebbe risposto alla sua chiamata. E così fu, infatti: dopo pochi giorni mi vedo recapitare a casa tre bottiglie dell’azienda Perazzo, rosso, bianco e rostato. Lo ringraziai del regalo, anche se allora ero completamente astemio. Da quel momento, però, è scattata in me la molla che mi ha fatto innamorare del nettare dionisiaco e che ancora adesso mi pervade completamente. Quelle tre bottiglie, a distanza di tanti anni, le conservo ancora gelosamente!
ho bevuto le riserve 68 di mastroberardino in 3-4 occasioni e ogni volta le ho trovate emozionanti.invito lello ad assaggiarle e a ricredersi. (hai poi assaggiato vecchie annate di mastroberardino poi???)
Francesco, quella di Lello si chiama iperbole irpina. E’ il loro modo contorto per dire: visto? I nostri vini dopo 42 anni non sono ossidati!
Diciamo che sono allenato a casa e perciò so decodificare:-)
Stappata un ’68 di Mastroberardino la settimana scorsa.
Confermo. Nemmeno una sottile scia di ossidazione!!!!!
@ Francesco e Roberto
Accettasi inviti a bere ’68 “vari”, scopo ricredimento sull’ossidazione dei Taurasi. No perditempo.
Voi metteteci le bottiglie che io ci metto la velocità di cambiare idea. (questa si chiama apertura mentale)
@ Luciano
Non mi scoprire le carte.
Io continuo a pensare che si deve ai Mastroberardino come del resto a tante altre storiche famiglie del vino in Campania molto più di quanto si pensi. Vero è che la storia va continuamente scritta ed aggiornata, ma in pochi(ssimi) si possono permettere di averne già firmate così tante di pagine: https://www.lucianopignataro.it/a/mastroberardino-storica-verticale-in-azienda/5463/
Caro Luciano, pensavo che il mio precedente intervento potesse stimolarti abbastanza, anche perché metteva in risalto un modello comportamentale del tutto sconosciuto alle nuove generazioni di giornalisti e scrittori. Lo so che forse c’entra poco con l’argomento che si vuole trattare (ma di questo ne potremo parlare in tante altre occasioni, perché tu sai come sono appassionato dell’aglianico, del Taurasi e di Mastroberardino), ma mi sembrava giusto sottolineare il mio momento di iniziazione all’approccio vinicolo. E poi volevo ricordare quel vecchio sistema di ricezione degli articoli che avvenivano mediante il metodo Gabelsberg, Cima o Meschini, oppure su registrazione con vecchi dischi o cassette antidiluviane che poi una postazione dattilografica, con tanto di pedaliera e auricolare, provvedeva a trascrivere il pezzo prima di essere spedito in redazione. E poi, ancora, ricordavo dei vecchi maestri, che tu sicuramente hai sentito parlare a “Il Mattino”, non è vero? Attendo una tua chiosa…
“L’Aglianico è unico” mi è rimasto in testa…e nel cuore!.. dopo uno splendido tour dei territori campani e in visita alle cantine di Mastroberardino (…). La Riserva 1997 Radici svetta sui pensili della mia cucina (bottiglia vuota ovviamente), souvenir-trofeo di tante emozioni.
Ho assagiato l’apofantico Taurasi 1968 in illo tempore. Correva l’anno 1992 e, sia il vino che chi scrive, eravamo tutti più giovani, ma cionondimeno stupefatti, ammirati e dispiaciuti, perchè non v’era che una bottilglia sola. Sob, sigh!!!
Mi chiedo dove poter riassagiare, anche in una verticale, prima del fatidico 2012, un’altra dose di quel nettare indimenticabile. Please, advice.
Ragazzi ho delle bottiglie di Taurasi del 1958 e del 1977 ma non ricordo la casa vinicola. Le ho conservate nella cantina erano di mio padre e di mio nonno che era un modesto vignaio. Sono da sempre conservate in quella cantina e credo non abbiano mai visto la luce del sole. Sono sistemate in orizzontale. Che ne pensate???