#stwEATterature / Verdicchio di Matelica 2018, Collestefano
di Fabrizio Scarpato
Alessandro Baricco segnava come passaggio epocale (nella sua narrazione uno scarto barbarico, foriero di tutto ciò che è nuovo), il fatto che gli americani avessero conosciuto e apprezzato il vino come rito di massa, solo quando un bicchiere aveva saputo dotarsi di corpo e ammantarsi di dolcezza, per non dire di opulenza e morbidezza. Fu così che palati abituati a liquori spessi e bevuti a tutte le ore, riuscirono ad apprezzare Sauvignon, Chardonnay barricati o rossi da taglio bordolese dalle avvolgenze degne di un Kentucky Bourbon. Il barbaro si chiamava Robert Mondavi e il suo scarto, visionario e legnoso, cambiò prospettiva in America e nel resto del mondo. Sono trascorsi più o meno cinquant’anni e certo qualcosa è cambiato se oggi il New York Times indica come miglior vino bianco italiano, sotto i 25 dollari, un verdicchio di Matelica. Che è questo Collestefano che ora sprizza luminosa giallitudine nella diffusa nota azzurrina, fatta di cielo, mare e legno ceruleo, del Clandestino Sushi Bar. Quello che spettina le ciglia è il vento che sale dal bicchiere, verde di erbe, giallo di agrumi, eccitante e balsamico, per raccontarci di un vino teso e nervoso. Quella bella sfacciataggine che rimbalza nel sorso elettrico e croccante, vagamente astringente, e che ha il solo difetto di necessitare di una temperatura di servizio adeguata alla bisogna, pena una eccessiva sensazione di durezza. Un bel bere, dritto, dinamico, schietto e sincero: un augurio, se vogliamo, per la nuova amministrazione Biden.
Un commento
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In genere si parla di refolo:qui siamo al vento.Se non volutamente esagerato ne avremo un bel tornaconto una volta arrivati al fondo.FM