#stwEATterature / Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut Follalba, Francesco Follador
di Fabrizio Scarpato
Porca miseria, bella tosta. Lo pensi, maneggiando una boccia spessa come un muro, il fondo a prova di pollice, il collo potente, il tappo che ci mette del suo recalcitrando, ma dando modo di apprezzare la scritta Valdobbiadene incisa a rilievo sul fondo. Insomma per dire che a volte un flacone si rivela anche attraverso il senso tattile, in questo caso mostrando i muscoli, forse rivendicando una concretezza tutta d’un pezzo, un attaccamento identitario timbrato a fuoco, non solo sulla bottiglia. E in fondo mi piace. E poi c’è l’asino che tuffa la testa nel verde, un’etichetta che, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, richiama senza mezze misure una certa testarda militanza, ma anche una cultura del lavoro, magari oscuro, spesso bistrattato, eppure qualificante, senza vergogna, tanto dignitoso da aver qualcosa a che fare con una bellezza senza fronzoli, schietta. E quell’etichetta è molto bella, quasi cibernetica, tanto significante e verticale da omettere nella scrittura ogni tratto orizzontale delle lettere, fino a storpiare il nome del vignaiolo: sembra cirillico, ma si capisce lo stesso. E così, per ovvio contrappasso, si capisce anche che non potrai aspettarti altro che un prosecco fine ed elegante, dal perlaggio fittissimo e diffuso, e dalla schiuma densa e delicata, che lascia ricami di pizzo, man mano che scivola sul bicchiere. Fiori bianchi e frutta esotica, litchi e refoli di crema pasticcera, agrumi e melone, un naso ventoso che annuncia un sorso sapido e appagante, pieno e croccante. Passi il pollice sulla scritta in rilievo, riflettendo sul significato di appartenenza.