#stwEATterature / AOC Puligny – Montrachet 2013, Chanson Père & Fils
di Fabrizio Scarpato
La vecchia Renault ruggisce sulla 974. Piove. Vai a sapere da dove viene il vino appena comprato a Beaune: qui è un copriletto patchwork, sai solo che non è troppo in alto, perché accettabile era il prezzo, e lassù si viaggia tra i cru che hanno nome e cognome. Village. Eppure versato nel bicchiere il vino appare elettrico, grigioverde, al limite del fluo. Hanno messo un runner orrendo, un broccato verde oro, che sembra il tetto dell’Hotel Dieu, ma forse la signorina l’ha fatto apposta, a voler sottolineare una certa nobiltà che affonda le radici nel tempo. E pure nella terra, se vengono su botte prepotentemente eleganti di fumo, pietra focaia e idrocarburi, bontà loro mescolate a quel che resta di una mela coraggiosa immolatasi per la causa, magari un fil di pepe e consistenti tracce di legno, che chiamiamo nocciola, burro, tostatura. Un bell’andare, contorto come il broccato sotto il bicchiere, ma intensamente francese, dalle parti dell’opulento, alla faccia della mia scalcagnata Renault, della quale i cugini peraltro sembra siano ad ogni costo sfacciatamente orgogliosi. Piove e mi domando da dove venga tutto quel sale che raddrizza il sorso, cosa c’entri questa landa monocorde interrotta qua e là da un campanile, con certe punte di frutta esotica, per non dire degli agrumi che rimbalzano pimpanti nella bocca, allungandosi all’infinito, lasciando residui pastosi di mallo di noci e una nota balsamica rivelatrice, nitida, laggiù in fondo. Tanto che guardi fuori, inseguendo lacrime di pioggia sui vetri, assorto. Mentre tutto il resto è pioggia, pioggia, pioggia… e Francia.