Strillare invece di ammaccare? Così arrivò il riconoscimento Unesco!
di Marco Lungo
Amici, passeggiando ieri sera per il Pizzavillage qui a Roma sulle larghe banchine del Tevere, sono stato assalito dai ricordi di tanto tempo fa, quando stavo spesso a Napoli all’epoca in cui si batteva per far diventare la Pizza Napoletana Patrimonio dell’UNESCO. Quando la candidatura arrivò, dopo una festa di cui ricordo ancora gli incredibili fuochi sul Golfo più bello del mondo e gli amici di allora felici per questo ambizioso traguardo raggiunto, tutto cambiò nel giro di pochissimo. Sembrò quasi che tutti aspettassero questo momento per tirare fuori di nuovo il meglio di sé stessi, e per fortuna che fu così, perché nel periodo immediatamente precedente, ne successero di tutti i colori e l’ambiente, così come la pizza vera e propria, toccò forse il suo punto più basso in assoluto.
Per dire, guardavo proprio questo Pizzavillage, che finalmente uscì dal confine della Tangenziale (come usavo dire allora quando ancora scrivevo dal mio amico Luciano), comprendendo il suo potenziale di diffusione e di avvicinamento del pubblico ad una delle essenze della Pizza Napoletana, la cultura, cioè il mangiare bene stando in compagnia e spendendo poco. Modificando alcuni aspetti qui a Roma è da anni un successo, dato anche che le pizzerie napoletane serie e buone da allora sono aumentate e l’apprezzamento per questa pizza, che da giovane ricordo che tutti rifiutavano preferendo una pizza romana, è oggi tangibile e fa numeri notevoli. E’ stata anche modificata la gara, quel Trofeo del Pizzaiuolo che ricordo molto discusso, con sempre sospetti e voci di combine su chi doveva vincere ma, a parte queste solite dietrologie che a Napoli trovavano sempre terreno fertile, comunque non era più presentabile agli stessi pizzaioli in quella veste. Ormai la giuria era presa troppo spesso a caso nel pubblico, e così i concorrenti che pagavano erano penalizzati a seconda del tavolo in cui capitavano, volendo giustamente essere valutati da una giuria competente prima di tutto ma soprattutto omogenea come composizione. Si decise che, a quel punto, era meglio far giudicare tutti dal pubblico e basta, a caso, con un sistema molto semplice di valutazione che indicava il gradimento della pizza presentata (non più con le categorie che tanto il pubblico non le capiva e manco gli interessava saperle), ed altrettanto semplice compilazione delle classifiche e proclamazione del vincitore. Alla fine, fecero la cosa più semplice e corretta, far dare il giudizio a chi veramente premia il pizzaiolo, cioè il pubblico, la gente che entra nel locale e paga, non astruse complicazioni per presunti tecnici che tanto poi non si trovavano neanche più. La gente giudice su tutto, niente più democratico e di vero merito si poteva fare, e lo fecero.
Sì, perché poi in quel periodo si stava proprio alla nebbia totale della coscienza e della morale, pur di arrivare ad avere più clientela. Fu così che non ci si capiva più niente, per cui c’erano giornalisti che si vendevano e pizzaioli che li compravano, per cifre che andavano dal piatto di minestra (ricordo che usavo spesso questa allocuzione) a ben più profumate “consulenze” che altro non erano che argent de poche, tanto argent de poche, per apparire su guide, blog e internet dove questi presunti professionisti lavoravano elettivamente. Ci fu una premiazione di una guida allora nota, che fece di fatto scoppiare il bubbone e che evidenziò queste acque torbide in cui sguazzavano in tanti, però questo bubbone era attaccato a qualcosa, a qualcuno, non era figlio a sé ma di fatto era generato dal modo di pensare di allora in cui era convinzione comune che il successo non si otteneva lavorando seriamente e duramente ma si poteva ottenere tramite scorciatoie di vario genere. Ugualmente, così come dal pensare ad apparire su Internet con un mezzo di allora, Facebook mi pare si chiamasse, che oltretutto mise a disposizione uno strumento chiamato “Diretta” e così tanti pizzaioli, invece di stare dietro al bancone, stavano solo a fare “dirette” pensando di essere quasi dei personaggi televisivi, ed in più occasioni ne pagarono le conseguenze, alcuni momentanee, altri definitive perché, come mi sembra scrissi un giorno in un mio stato proprio su Facebook, “La diretta di Facebook è il mezzo più potente per far sapere a tutti quanto sei imbecille” e questo perché i clienti sanno scegliere e non vanno a dare i soldi ai cretini, perché il loro prodotto non può essere tanto meglio di loro.
Con questa cosa dell’immagine nella testa, pompata e supportata dalla televisione di quel periodo, il pizzaiolo si orientò sempre di più a curare quell’aspetto e sempre meno a lavorare e a migliorare il prodotto, ed era comprensibile, spesso veniva da situazioni di bassa scolarizzazione, di rinunce giovanili e di malessere sociale diffuso, per cui l’apparire era anche un bisogno di riscatto, di affermarsi e di far vedere al mondo che lui c’era, che non era un grigio nulla. Queste cose erano da capire, quindi, e da gestire con la cura che si ha con una persona che ha un problema. Invece, in tanti furbetti da quattro soldi ci si gettarono a pesce per sfruttare questa debolezza e così, a fianco di seri e comprovati professionisti di allora, uscirono fuori dei “Professionisti del Tutto”, Il Gatto e La Volpe in un solo corpo, che si presentavano dai poveri pizzaioli con chiacchiera, macchina fotografica al collo, promesse di scrivere di loro e di farne un successo seguendo i loro consigli persino su come si faceva la pizza senza alcuna competenza specifica, accalappiavano il giovane, quando andavano da lui da soli o con amici non pagavano, lo pulivano ben bene dei soldi, e poi lo lasciavano immancabilmente dov’era prima come popolarità e successo di pubblico, perché di un vuoto chiacchierone si trattava ma il poverino lo scopriva sempre dopo. Su tutti, ne girava uno che sintetizzava gran parte del brutto dell’ambiente di quel tempo, uno che addirittura due anni prima collaborò in una trasmissione televisiva che gettò tanto fango su Napoli e la sua Pizza, tanto che per molto tempo ne restò profondamente macchiata, e che in quell’anno, grazie a chi si era “dimenticato” di tutto ciò, sembrava avesse di nuovo una verginità intonsa e, di conseguenza, girava con fare spavaldo nell’ambiente come niente fosse. Per fortuna quelli che si ricordavano cosa aveva fatto erano di più e qualcosa accadde poi, per cui anche lui oggi è nei ricordi. Quando poi ad un certo punto i critici tornarono a fare i critici, mettendosi dalla parte del cliente e facendola finita con certe frammistioni che ormai avevano minato la credibilità di tutto il comparto, ecco che ci fu una rivolta da parte dei criticati, ormai abituati ad essere trattati in altro modo, ed erano in maggioranza convinti di essere stati colpiti da una qualche organizzazione superiore nascosta. Neanche di fronte all’evidenza degli errori commessi, si placarono. Non si misero al centro del problema, cioè che veramente il loro prodotto era peggiorato e che avrebbero dovuto stare più davanti al forno che davanti alla telecamera del cellulare. Dopo un po’, con questo atteggiamento protervo, furono dimenticati da tutti. Chi sarebbe mai andato, infatti, da chi non pensava minimamente che il suo prodotto non era all’altezza e che il problema fossero gli altri? Per fortuna, dopo il riconoscimento dell’UNESCO, tutto ritornò a come era e a come doveva rimanere che fosse: i giornalisti tornarono a fare i giornalisti, i tecnici tornarono a fare i tecnici, i pizzaioli tornarono a fare i pizzaioli. Da quel momento tutto andò meglio ed anche la fiducia dei clienti aumentò, tanto che molti degli schifati da quella situazione tornarono a frequentare le pizzerie e la cosa la notarono tutti.
L’immagine. Qualche tempo dopo la televisione fece “Click!” sulle trasmissioni legate al food perché aveva giustamente raggiunto una soglia di saturazione, ricordo che dovunque giravi canale a qualsiasi ora una usciva una trasmissione di cucina sempre, la gente si era annoiata dopo anni e anni della stessa solfa e trovarono altro da proporre come programmazione. Nel giro di pochi mesi scomparvero quindi tanti nuovi “divi”, tanti miracolati dalla tv ma soprattutto e per fortuna, cessò questa maledetta voglia di apparire per cui tanti danni furono fatti nell’ambiente enogastronomico e, per quel che seguivo, la Pizza in particolare. Già, perché per i motivi di cui ho parlato sopra e non solo quelli, la Pizza a quel punto era diventa solo uno strumento per apparire, per far parlare di sé, non un qualcosa da rispettare perché ti dava da vivere e un’arte da coltivare e perpetuare. Per questo, all’epoca uscirono le peggio distorsioni della Pizza Napoletana, da forme strane a cornicioni esagerati, da condimenti incredibili e spesso disgustosi a cotture fantasiose, andando poi a pararsi dietro la parola “innovazione” per giustificare una mera mercificazione della Pizza. Allora anche io difendevo l’innovazione ma non sulla Pizza Napoletana che doveva rimanere quella e fatta al meglio possibile e, a mio avviso, senza seguire i Disciplinari che tanto andavano di moda ma seguendo l’esempio e le tracce di chi aveva decenni di esperienza e di storia alle spalle da raccontare. Mi onoravano della loro amicizia alcuni grandi pizzaioli storici di Napoli, a loro mi avvicinavo sempre con un qualcosa in più di rispetto perché avevano fatto, avevano vissuto e spesso avevano capito cose che io non avevo ancora compreso. Mi aiutò molto, questo, e mi fece avere la certezza che, a distanza di tanti anni, era certo che la loro traccia, la loro Pizza sarebbe durata ancora e così è, sono ancora lì, per loro i riflettori non si spegneranno mai. Così è stato, i loro locali sono ancora pieni e noti mentre quelli di molte stelle di allora, oggi, o non ci sono più o non brillano certo della luce del 2016. Con mortal ritardo, capirono purtroppo che essere famosi su Facebook era come essere ricchi a Monopoli.
Che poi, amici miei, sapete, forse tutto questo era già gestibile all’epoca, senza che dovesse arrivare il riconoscimento dell’UNESCO a cambiare le teste di molti. Il problema era prima di tutto l’ignoranza di fondo, non quella scolastica ma quella proprio comportamentale e sociale, urlata allora da quei social media mal impiegati che altro non facevano che amplificarne l’effetto, in un momento poi in cui la televisione promuoveva modelli i quali mostravano che l’ignoranza non era più una cosa di cui vergognarsi e cercare di colmare ma anzi qualcosa da sbattere in faccia, qualcosa con cui si poteva avere successo. Sarebbe bastato emarginare subito questi soggetti, allontanarli dal nucleo civile dell’ambiente della Pizza, e tutto sarebbe stato diverso fin da subito. E invece no, questo non accadde e si andò avanti così per troppo tempo, anche dopo che l’UNESCO dette il suo sigillo. Ricordo storie che non finivano più legate a convinzioni assurde di associazioni predominanti, sponsor che decidevano tutto (e qualcosa di vero c’era, perché qualche volta il nome del vincitore di qualche trofeo girava già da giorni prima ed anche io ne rimanevo ingenuamente stupito), gruppi, simpatie personali, convenienze, insomma amici miei, tanta dietrologia, troppa, che distraeva i pizzaioli dal fare il proprio lavoro e basta, dall’eccellere nel forno e non sui social, perché solo lì c’era il successo vero e duraturo, ed i Grandi della Pizza Napoletana lo insegnavano da decenni.
E poi, i trofei. Amici, voi sicuramente vi ricordate certi locali di allora in cui sembrava di entrare in una associazione sportiva importante invece che in una pizzeria. Coppe, medaglie, attestati, targhe… non trovavi uno che era uno che non avesse vinto un campionato del mondo. Ah, no, c’erano, erano quelli che vedemmo affermarsi in quegli anni principalmente grazie alla porta che gli aprì il mio caro amico Maurizio, mi pare nel 2010. Nessuno di loro aveva ambaradam del genere nel locale, non avevano mai partecipato a gare, tranne alla gara giornaliera di essere bravi e seri ed il relativo trofeo che vincevano lo ritiravano tutte le sere alla cassa. Uno su tutti lo usavo spesso come paragone con qualcuno di questi giovani talenti: quando qualcuno di loro faceva qualche stupidaggine, gli dicevo: “La prossima volta, prima di fare qualcosa, fermati e chiediti “Cosa farebbe Gino in questa situazione?”. Non è che poi abbiano seguito tutti questo sistema, però chi ha dato retta qualcosa di buono lo ha ottenuto. Chissà se Gino lo ha mai saputo, che lo usavo in questo modo. Sembrava che nessuno capisse che arrivati a quel punto, avere le coppe sugli scaffali ed il vuoto nel locale, urlava il fatto che quelle gare non portavano quasi a nulla se non l’essere dei momenti di aggregazione e di incontro a pagamento tra pizzaioli, e che potevano pure incontrarsi gratis da qualche parte, bastava organizzarsi (e in questo i social erano utili assai), trovarsi un posto e vedersi ogni tanto, magari invitando qualcuno a parlare e a confrontarsi con loro, senza sponsor e senza roba luccicante che poi abbagliava solo gli ingenui. E anche questo, perché era successo? Perché le gare erano state svalutate del tutto, nel corso degli anni. A ben guardare, c’erano più mondiali e titoli minori che fine settimana in un anno per cui, come è ovvio, la tanta offerta abbassò il valore intrinseco del titolo reale, e ciò accadde solo per l’avidità ed il malaffare sempre pronti a sfruttare la Pizza prendendo e non dando niente a lei come controvalore. Prima di questo casino, c’era solo un mondiale, vero ed unico. Non vincevi, ti mettevi l’anima in pace e se ne parlava l’anno prossimo. In quel periodo no, non arrivavi primo, tranquillo, la settimana dopo a Bulgarograsso c’era il Mondiale per la Pizza Saltata In Padella, per cui andavi lì, spadellavi la pizza in aria meglio di tutti, vincevi e da quel momento in poi andavi in giro a dire che eri campione del mondo, e non importava se era di una categoria improbabile, eri campione del mondo e basta.
Poi, ecco, l’UNESCO riconobbe la Pizza Napoletana come suo Patrimonio, e finì anche questo.
Ricordo che nel 2016 ad un certo punto dovetti riflettere sulla mia situazione, perché era quello che vedevo e con cui venivo a contatto sempre più spesso, e ciò non mi piaceva più e mi chiesi se ne valeva la pena di continuare ad impegnarsi nell’ambito della Pizza Napoletana, e soprattutto a Napoli, oppure no, smettere e tagliare tutti i ponti. Basta ignoranza, basta torbidume dappertutto, basta prevaricazioni, basta avere contatti con ciò e con chi sporca l’anima, basta tutto quello che abbiamo ricordato insieme fin qui. Quando l’ignorante urla, il saggio tace, dice un antico proverbio cinese. Non mi consideravo un saggio, però almeno una persona educata, seria, civile e con dei valori di fondo dimostrati, sì. Lo dissi a Luciano, il quale mi disse subito che non ci dovevo proprio pensare a fare una cosa del genere, per tutte le oneste ed importanti persone che mi stimavano allora ma soprattutto per i tanti giovani che ormai vedevano in me un riferimento per la propria crescita professionale.
Ebbi modo di pensarci per un po’. Pensai che la questione dei giovani era vera e non me ne ero accorto tanto quanto era reale la cosa, quindi pensai ad un progetto per loro e cosa poi fare per realizzarlo. Pensai che tutto sommato, ma sì, chi se ne importava, alla fine con Luciano, Tommaso e Maurizio c’era ancora da fare e da divertirsi forse ancora parecchio, e che magari avrei dovuto io evitare del tutto situazioni e persone per non essere attratto verso quel basso che vedevo sempre più attanagliare l’ambiente. Non combattere, no, non volevo sentir parlare di combattere, anche se qualche volta una fucilata delle mie in quel periodo sarebbe stato giusto che la tirassi secca in faccia a qualcuno e, se non avessi chiuso tutto, sicuramente avrei dovuto farlo ma questa volta senza più pensarci due volte. La voglia però di lasciare tutto questo al suo destino, era comunque forte, presente e non mi lasciava pensiero.
Cosa è successo dopo, amici carissimi, ve lo ricordate tutti.
O ve lo devo ricordare io, scrivendo un altro po’?