La pizza a Identità Golose: ma davvero è un cibo democratico?
di Giulia Cannada Bartoli
Tra nord e sud, innovazione e tradizione. La pizza è un prodotto democratico
Si torna a parlare di pizza a Milano, durante l’edizione 2016 di Identità Golose.
A fine serata in Auditorium, il Patròn Paolo Marchi ha chiamato a raccolta, probabilmente il gotha di pizzaioli in Italia in questo momento da Nord a sud con Renato Bosco, Simone Padoan, Massimo Giovannini, Enzo Coccia. Gino Sorbillo e Franco Pepe insieme a Roberto Restelli presidente della manifestazione “Les Etoiles de la Gastronomie”.
La questione è di quelle spinose: perché le pizzerie d’ eccellenza non possono ambire alla stella Michelin? Intanto esiste già un precedente sconosciuto ai più,persino ai gestori del locale, la pizzeria Negri di Pontecagnano (Sa) alla quale nel lontano 1962 fu attribuita l’ambita stella, alla quale gli stessi proprietari non dettero grande importanza.
Marchi dà il via ad un giro di opinioni, comincia Enzo Coccia della pizzeria napoletana La Notizia, il primo pizzaiolo di fatto a dare una svolta e ad imprimere una spinta sull’acceleratore per riportare la pizza napoletana alla sua dignità, introducendo ingredienti di grande qualità e attribuendo grande importanza al’impasto e alla lievitazione. Coccia esordisce affermando che “la pizzeria come locale deve essere adeguata in termini di accoglienza, servizi, atmosfera, con tanto di carta vini o birre artigianali, ben abbinabili alla pizza. Coccia introduce una similitudine con il mondo degli Oscar del cinema, dove non di rado si è verificato il caso che film prodotti con un budget ridotto, siano stati premiati poi con l’ambita statuetta; “ non dobbiamo pensare al budget che abbiamo a disposizione ma alle emozioni che sapremo far provar alla clientela e soprattutto alla qualità delle materie prime. Nel 2010, Coccia fu il primo pizzaiolo ad essere citato dalla Michelin. “dobbiamo vivere anche di sogni” conclude Enzo Coccia.
La parola passa a Gino Sorbillo, pizzaiolo di più generazioni in Via Tribunali, nel cuore del centro storico di Napoli. Gino è stato forse il primo a introdurre fortemente l’elemento della contemporaneità, delle operazioni di marketing e della forte presenza sui media della figura di un pizzaiolo moderno “Cerco di fare un lavoro adeguato ai tempi, sono partito dal sentimento antico della mia famiglia che ancora mi anima, da poco infatti, ho ampliato le sale e reintrodotto la “ vecchia tradizionale saletta con il tavolo a forma di ferro di cavallo dove i commensali possono magiare la pizza guardandosi in faccia. Cerco di stuzzicare la fantasia della clientela, voglio ricordare che nel 2011 a Napoli si gridò allo scandalo, quando accettai di ospitare il primo “PizzaUp” a Napoli. Da quel momento tutto é cambiato.
Franco Pepe, il pizzaiolo di Caiazzo che si è staccato dalla pizzeria di famiglia, trasferendosi in una elegante sede del centro storico, anche con camere per l’accoglienza e con la recente apertura di nuove sale moderne ed eleganti ha puntato sull’assonanza con la ristorazione d’eccellenza anche dal punto di vista della formazione. Ricordiamo che nessuno di questi tre pizzaioli fa parte delle associazioni di categoria, dalle quali non si sentono rappresentati. Pepe prosegue dicendo di appartenere alla terza generazione di pizzaioli in famiglia, sono andato avanti, ho studiato, creando il progetto Pepe in Grani , un percorso di formazione, degustazione e accoglienza. La ricerca di prodotti locali è continua: la pizza deve essere buona ma anche sana.
Marchi passa la parola al trio top del Nord Bosco, Giovannini e Padoan artigiani innovatori, espressione, ciascuno secondo il proprio progetto e il legame con le rispettive origini di forme di pizza, senz’altro diverse per tradizione, lavorazione, cottura ma, altrettanto buone e apprezzate da critica e pubblico abituato a identificare il prodotto pizza secondo le tradizioni geografiche e storiche, diverse regione per regione. La pizza in Italia, in particolare al sud, si ritiene indistintamente un prodotto “ povero”, cibo di strada, dalla storia secolare, che deve costare poco. Esistono difatti in Italia almeno due filoni di mercato, quello della pizza popolare che utilizza prodotti di media qualità ed è accessibile a tutti e la pizza più raffinata, dei pizzaioli , diciamo, con un termine abusato “gourmet” che proprio per lavorazione, prodotti e ambientazione dei locali non può costare poco.
All’estero la percezione del prodotto pizza è molto più alta: a New York la pizza con vino può arrivare a costare oltre 190 dollari. Il lavoro di questi pizzaioli sconfina spesso ormai nel mondo della ristorazione, dando luogo a collaborazioni tra chef e pizzaioli. In Italia la figura dl pizzaiolo non ha la medesima dignità di quella di un cuoco: gli stessi pizzaioli ritengono che la loro posizione vada difesa; ma difesa da chi e da cosa? La figura professionale del pizzaiolo a differenza di quella dello chef, non esiste, non c’è una scuola per pizzaioli; Quest artigiani si formano sul campo, nelle storiche pizzerie di famiglia. I corsi promossi dalle associazioni di categoria sono insufficienti, e negli istituti alberghieri non esiste il corso di studi per pizzaiolo; certo conta molto la motivazione personale, chi davvero vuol diventare pizzaiolo, non si ferma parte dalla gavetta, accanto alle figure del maestro pizzaiolo e di quella del Fornaio figura fondamentale, di grande esperienza addetta solo alla cottura della pizza, più fortunati sono quelli appartenenti a famigli storiche di pizzaioli. . Al contrario la maggior parte degli aspiranti chef che, nella maggior parte dei casi dopo il diploma, dove svolgono, per quanto insufficienti, ore di cucina e spesso stages, si iscrive a corsi specializzati, per poi iniziare a girare il mondo con soggiorni formativi presso importanti ristoranti stellati e non .
Il veronese Simone Padoan parla di interazione necessaria tra pizzaioli e chef, da lui la margherita costa 22,00 euro. I pizzaioli non vanno difesi, non c’è nulla da difendere anzi è il momento di parlare di più dell’attività e della cultura della pizza. La qualità del lavoro, chiude Padoan, parte dalla qualità del pensiero.
Massimo Giovannini lavora a Marina di Pietrasanta in Toscana e sostiene che è necessario arricchire il prodotto pizza caratteri di eleganza, cominciando a pensare alla pizza come un vero e proprio piatto. Non si tratta semplicemente di trasferire ricette da un piatto di ceramica a un disco di pasta, che storicamente è sempre esistito.. Bisogna riconoscere la professionalità e l’autonomia della figura del pizzaiolo.
Attacca Renato Bosco, che sostiene che l’eventuale arrivo della stella va legato alla qualità del locale, del servizio e dell’accoglienza.
Qui però parliamo di sei tipi di pizza diverse con origini fortemente locali. La differenza sta nel pizzaiolo, nel tipo d’impasto e nella cultura della tradizione.
Altri sostengono che se la Michelin nasce come guida di servizio a chi viaggia perché non dovrebbero esserci anche le pizzerie?
Si discute poi sui diversi tipi di cottura forno a legna, elettrici a gas, argomento del quale si è dibattuto approfonditamente a Napoli lo scorso gennaio, in vista ella possibilità che il tradizionale forno a legna, possa essere in un futuro non lontano, dichiarato non eco sostenibile, in particolare nei centri urbani.
Il confronto sulle differenze di gusto ed organolettiche rispetto alla pizza cotta in forno elettrico, piuttosto che a gas, è stato molto serrato e le posizioni anche abbastanza distanti. Di fatto i pizzaioli da sempre legati al forno a legna, pur sostenendo l’impossibilità di ottenere lo stesso risultato, hanno accettato che apportando le opportune modifiche ad altri tipi di forni in stretta collaborazione con i produttori, si potrà avvicinarsi il più possibile al prodotto storicamente cotto nel forno a legna.
“Il problema in realtà non sta nel tipo di cottura, di locale, di presenza di adeguata carta di vini o di birra. Esistono pizzerie molto semplici con servizio veloce dove però la pizza è fantastica. Non dimentichiamo al sud la tradizione secolare del mangiare per pochi spiccioli, in piedi, la pizza bollente, piegata in quattro “a libretto”, o le focacce al taglio di tante città del centro nord Italia.
Davvero credete che l’arrivo della stella possa aumentare il bacino di clientela di una pizzeria, per quanto elegante, con pizze di elevata qualità, come quelle dei pizzaioli che hanno partecipato al dibattito? Intanto gestire la crescita dei costi provocata dall’arrivo della stella non sarebbe cosa facile, in termini di personale, formazione, costanza di servizio, qualità del prodotto da mantenere quotidianamente per grandi numeri.
Nei fatti sono convinta che chi va in pizzeria si aspetta di mangiare una buona pizza, magari, come la tendenza suggerisce, di trovare anche un buon vino o una birra artigianale in abbinamento, ma non si aspetta certo di vivere un’esperienza gourmet, come il pubblico che, andando in un ristorante stellato, immagina non solo di mangiare bene, ma di vivere un’esperienza gastronomica e sensoriale. Le due cose secondo la mia opinione non sono paragonabili, nonostante, andare a mangiar la pizza nei locali dei pizzaioli di cui sopra e di tanti altri loro colleghi che seguono la stessa tendenza, sia un’esperienza diversa, anche di scoperta e di sorpresa, rispetto al mangiare una pizza in uno dei tanti locali ordinari sparsi a centinaia sul territorio italiano, stare intorno ad un tavolo a mangiar la pizza, magari con le mani, è un’esperienza conviviale e anche sensoriale, dai caratteri storici e antropologici sostanzialmente diversi. Onore al merito ai maestri come Padoan, Bosco, Giovannini, Coccia, Sorbillo, e Pepe che girano il mondo per far conoscere la cultura della pizza; c’è tra l’altro la questione della diversità, non dico superiorità, ma diversità della pizza napoletana, per la quale arte, non a caso dal 4 marzo scorso è stata ufficializzata la candidatura a Patrimonio Immateriale dell’Umanità. L’Italia ha confermato la decisione dello scorso anno piazzandosi adesso al quinto posto tra le 50 richieste. Tutto lascia prevedere che la decisione sarà presa nel 2017. La presentazione ufficiale della candidatura della Pizza Napoletana all’Unesco è prevista il 14 marzo a Parigi con l’obiettivo di raggiungere un milione di firme.
Le pizzerie in Italia, se offrono un prodotto di buona qualità, sono sempre affollate, si può scegliere – spendendo un po’ di più e mangiando in un ambiente più elegante con un servizio più vicino a quello della ristorazione, di mangiare pizze( partendo da quelle storiche che sono per me l’indicatore base di qualità) diverse dalle tradizionali, per prodotti, impasto e tempo di lievitazione; si può tuttavia, anche scegliere di mangiare una buona pizza, quelle appartenenti alla tradizione storica con altrettanta soddisfazione, in un ambiente più semplice, minor spesa e uguale felicità. In sostanza credo che la pizza sia un prodotto fortemente “democratico”, accessibile da secoli a tutti. Il conferimento della stella non credo cambierebbe qualcosa. La questione vera è invece quella della necessità di fare un forte lavoro d’informazione, comunicazione e soprattutto formazione per i giovani, per restituire la dignità dovuta alle figure dei Pizzaioli e dei Fornai ( la figura strategica addetta al forno per la sola cottura della pizza). Qui gioca un ruolo molto forte l’attività delle associazioni di categoria e della nostra legislazione in merito di apprendistato.
La gente, soprattutto i giovani, che non sempre possono permettersi l’esperienza del ristorante stellato, continuerà sempre ad andare in pizzeria, per cultura, per tradizione, per desiderio di semplicità e anche, perché no, e i fatti lo dimostrano, per curiosità verso le nuove tendenze create dai maestri presenti al dibattito, che, non dimentichiamo, provengono da famiglie storiche di pizzaioli che hanno imparato a tenere i piedi ben saldi nella tradizione e gli occhi e la testa puntati verso il futuro e la contemporaneità. In conclusione, la mia opinione del tutto personale, è che la questione non sia affatto proponibile in questi termini. Come ho detto si tratta di investire sulla pizza, sulla figura del pizzaiolo e sulla formazione: l’eccellenza si raggiunge in ogni caso, non sarà una stella a giudicare la bontà del prodotto, l’adeguatezza del servizio e dell’accoglienza. Sarà la gente a decretare, come sempre è stato, il successo di questo prodotto, senza nulla togliere al grandissimo lavoro dei maestri di cui sopra, le cui pizzerie del resto, hanno quotidianamente lunghe interminabili file all’ingresso: questa credo sia la stella più luminosa e prestigiosa alla quale si possa aspirare, perché conferita dal pubblico: in questo senso torno a ripetere, la pizza tradizionale o gourmet, è un prodotto “democratico”.