Non c’è grande ristorante senza grande sala. Il fattore umano a Identità Golose
di Adele Elisabetta Granieri
Quanto conta il fattore umano nella sala? Se n’è discusso ad Identità Milano 2018 durante un confronto tra i protagonisti dell’accoglienza.
Assunto che la mediaticità della cucina sta mettendo in ombra la sala, bisogna allo stesso tempo prendere atto che il successo di un ristorante non può assolutamente prescindere dal valore del servizio.
E allora la stessa attenzione messa nel selezionare la brigata di cucina va impiegata nello scegliere chi serve a tavola: l’incontro di professionalità di alto livello consente di costruire la sinergia tra sala, cucina e clienti, indispensabile per la riuscita del progetto.
L’esperienza del cliente è fatta di accoglienza, consigli, servizio, cortesia, oltre che di pietanze cucinate a regola d’arte. Il lavoro svolto dalla sala è fondamentale affinché il cliente, o meglio l’ospite, si senta soddisfatto dal momento dell’arrivo al momento in cui lascia il locale.
Chi sceglie di fare sala, però, va incontro a gap motivazionali importanti rispetto a chi sceglie di fare cucina: vede poche possibilità di esprimere la propria personalità e ancor meno occasioni di fare carriera. È indicativo il dato che le scuole alberghiere abbiano classi di cucina strapiene, mentre solo pochi ragazzi scelgano la sala e, spesso, senza particolare motivazione. Lapidario Marco Reitano, sommelier de La Pergola del Rome Cavalieri: “Mancano così tanti camerieri nei ristoranti, che si accetta quasi chiunque si presenti un po’ bene pur di far numero. Fondamentali sono l’umiltà e l’attitudine ad imparare: molti ragazzi scappano prima della fine del periodo di prova, perché non resistono allo stress del lavoro in un grande ristorante”. “I nostri clienti si siedono alle nostre tavole per rilassarsi e stare bene e noi abbiamo il dovere di trattarli bene.
Chi sceglie di fare sala deve avere una forte motivazione e sapere che non ci sono scorciatoie: i risultati si ottengono solo con lavoro e passione.”, quota Alessandro Pipero, proprietario di Pipero Roma.
Oggi comincia a respirarsi aria di cambiamento: scuole specializzate come Alma, la neonata Intrecci e l’associazione Noi di Sala riscontrano sempre maggior interesse, grazie ad un’offerta formativa prestigiosa e completa. L’alta formazione è indispensabile anche per instillare nei ragazzi la giusta motivazione a fare carriera in sala.
Lo studio delle lingue, della storia dei vini, delle tecniche di comunicazione, del portamento e di tutti quei fattori indispensabili per chi vuole fare sala ad un certo livello, fanno sì che i giovani scoprano in questo lavoro possibilità che prima non vedevano.
È Andrea Grignaffini a rimarcare l’importanza del fattore umano nella sala: “In un mondo governato dalla tecnologia e dai modelli matematici, la sala è ancora il regno della capacità creativa naturale, quella per germinazione spontanea, fatta di empatia, relazione e capacità di risolvere un problema attraverso l’istinto”.
Fattore umano, elemento chiave della sala del Celler de Can Roca e fulcro dell’intervento di Josep Roca: “In sala è in atto una rivoluzione umanista, una rivoluzione sensibile. Una cena al Celler rappresenta un’esperienza neuro-gastronomica e la differenza è data dal fattore umano di chi lavora in sala. Chi serve deve entrare in empatia con il cliente ed ha pochi secondi per riuscirci. Attraverso lo sguardo, le parole e i gesti deve essere rassicurante e trasmettere a chi ha di fronte la sensibilità che c’è alla base di quel piatto, di quel vino, di quell’abbinamento. Deve osservare le espressioni del viso dell’ospite ed intuire le sensazioni che ci sono dietro, cercando di anticiparne i desideri, ma lasciandogli il tempo necessario per godersi le proprie emozioni in intimità. Chi serve deve tenere a freno l’ego e la vanità, coltivando talento, impegno, semplicità e capacità di fare squadra, perché lo stimolo di un cameriere è sapere che il cliente è stato bene grazie alla sua presenza.”
Ma come si forma una squadra? “Molti dicono che l’ospitalità non si può insegnare, ma io non sono d’accordo – afferma Will Guidara, maître dell’ Eleven Maison Park di New York. Insegno loro a essere ospitali, ma anche a cercare continuamente l’eccellenza. Li spingo a dare il meglio, ma non sono mai scortese, non sono quel tipo di insegnante che urla tutto il tempo. Perché alla fine you get what you give, ricevi quello che dai”.
Qui i migliori sommelier secondo il nostro sondaggio.