San Bonifacio, Pizzeria I Tigli. L’altra faccia della pizza
San Bonifacio, VR, I Tigli Pizzeria
Via Camporosolo 11
Tel. 045.6102606
Aperto la sera, chiuso il mercoledì
www.pizzeriaitigli.it
di Tommaso Esposito
Uhelà, ma San Bonifacio è nei dipressi!
Allora stasera andiamo a pizza. Qualche tempo fa ho promesso a un amico lumbard di passare dai Tigli per vedere com’è. Simone Padoan è un mito da queste parti.
“A pizza, sei pazzo! Ma se tu murmuléj anche a Napoli e io non son da meno! – commenta la consorte- La guardi nel piatto e mosechéj… Ah, mi raccomando il tavolo vicino al forno. ‘A pizza non deve arrivare oltre 30 secondi ché voglio sentire il puuhf del cornicione non appena l’ infilzo. Ma fammi il piacere, qua ci prendono a mazzate!”
Promesso il silenzio, si concorda la sosta.
Si fa la fila. Prenotazione obbligatoria per fortuna. Pubblico di tutte le età. L’ambiente minimal lounge elegante tira. Luci soffuse, pochissimo lumen. Mi preoccupo per le foto. E’ un atelier. Sbircio verso il forno. E’ a legna. E il bancone? Di marmo. Nessun nugolo di farina si leva alto per incipriare il pizzaiolo. La pasta è forgiata in un ruoto di metallo, delicatamente riversata sul marmo e accarezzata con ammirata devozione. Movimenti lenti, per nulla convulsi, calibrati e misurati anche quando si calano pomodoro e mozzarella.
La consorte si anima e mi tira la giacca.
Ci sediamo. Ecco il benvenuto: crostini e un tramezzino micro con crudo di pesce al cucchiaio.
Si ordina. Birra, una bionda lager e una rossa.
Margherita? Tradizione, certo.
E innovazione? Stasera un fuori carta: Pizza con tartare di tonno, fiocchi di formaggio e crescione di ruscello. Vai mò.
Scanso il piacere del puuhf. La pizza giunge a spicchi e il cornicione è croccante.
Pizza croccante: non morbida, non elastica, non facilmente piegabile.
Dunque, l’altra faccia della pizza. Quella che travalica i confini del disciplinare e accontenta il gusto nel mondo. Dal Garigliano al Mississipì!
Buona la quenelle di tonno crudo con crescione adagiata sul disco di pasta cotta nel forno.
Beviamoci le birre.
Il conto 50 euro tondi.
“Non mosechéi?” murmuléja la consorte.
Promissio boni viri!
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36 Commenti
I commenti sono chiusi.
tendenze masochiste… nello scegliere la pizza lumbard ma anche nel rischiare con tali promissiones… :-)))
C’è una sola cosa in cui sono ottuso palatale: non mangiare pizza fuori Napoli
Da 50 anni non ne ho trovata una capace di giocare nello stesso campionato. Intendo anche nelle altre quattro province campane.
Certo, ci sono tante bontà in giro, ma sono cose assolutamente diverse per consistenza e sapore.
Concordo. Forse una sola volta ho mangiato una pizza come se fossi a Napoli. A Madrid. Al Pulcinella. Era mlto famoso per questo. Io sono diventata ottusa sui piatti di mare, invece. Tranne che nel nostro Sud, in ogni parte del Mondo (diciamo per esempio Galizia che è tanto famosa per questo) non è possbile mangiare a base di pesce eccezionali con la stessa facilità. Manca la freschezza (ovviamente non quella della materia prima). n ogni angolo del Cenro e Sud America, che hanno belle aragoste (non sono quelle mediterranee) non le sanno preparare. Anche il pesce alla griglia è un’impresa. Scendo a patti con il calamaro, macchè! Neanche in Grecia. E’ anche buono, si…ma non ha la stessa naturale eccezionale semplicità.
La solita storiella che A Napule è tutto piu buono…..La pizza è buona solo a napoli,il pesce lo sanno fare solo a napoli,il caffe e piu buono perche usiamo la acqua e napule…..e meno male che voi siete dei critici gastronomici…..andate un po oltre…signori critici GASTRONOMICI!
Aldoricci…grazie..uno che la pensa come me!!! E’ basta co sta Napule!…Oltre a Padoan in Veneto ci sono tante altre pizzerie che lavorano come lui e la pizza anche se non fatta a Napoli è meravigliosa!! Amore per la genuinità e per la creazione del prodotto finale…
Sono assolutamente in accordo con Luciano: un certo tipo di pizza esiste solo a Napoli e sicuramente non dappertutto, cioè anche a Napoli si riescono a mangiare pizze orribili, magari con minore facilità ma ci si riesce.
Non sono in accordo con lui quando afferma di non mangiarne fuori Napoli. In giro ci sono buone pizze e buone pizzerie, certo diverse dal top napoletano. In quanto diverse io non mi azzarderei a fare paragoni.
.
Ciao
bisogna tu venga a provare la pizza di Giovanni a san Donato in Poggio (FI)
senza nulla voler togliere all’eccellenza di Franco Pepe ed altri campani
Luciano consentimi la confidenza, io a varese ho scelto di proporre la pizza(l’unica che a mio modo di vedere abbia il diritto di chiamarsi in quel modo), e sebbene mi costi fatica(farsi arrivare i giusti prodotti, seguire rigorosamente i tempi di lievitazione(attivata rigorosamente con il criscito) ecc…) pur senza clamori piano piano la “pizza”, così intesa, si va affermando. Certo non e’ facile e non tutti lo capiscono subito, abituati come sono ai biscotti ma inesorabilmente, una volta assaggiata la “pizza” difficilmente si torna indietro. Io sono napoletano vengo da una famiglia che da generazioni panifica e fa pizze e sebbene, personalmente, abbia saltato il giro, ho riavviato la tradizione con il figlio e ti assicuro che non vi e’ soddisfazione maggiore di vedere l’espressione estasiata di vecchi emigranti napoletani, che vivono da decenni in questa zona, e sentirli esclamar, maro’!!!
Posso sapere il nome della pizzeria?
…..dalle foto si direbbe piuttosto una torta col pomodoro anziché la Pizza……
ringrazio tommaso ,anche per il coraggio. le foto sono terribili e allora mi permetto di linkare qui sotto la recensione degli amici di passione gourmet esplicativa non solo per le foto.
questa non è mia ma mi piace usarla nella sua tagliente essenzialità: PRIMA PROVARE POI PARLARE( cit. caf)
la prossima volta che andate al vintaly, cari luciano e monica, oltre che rinchiudervi ( dotati di maglioni di cachemire) in stellati di grande livello, trovate il tempo di andarci.
ps: monica : non c’era bisogno di andare cosi’ lontano .bastavano sessanta km di costa toscana per farti stare talvolta anche meglio di casa tua.
http://www.passionegourmet.it/index.php/2010/06/11/i-tigli-simone-padoan-san-bonifacio-vr-rob78/
@Maffi, Preciso che parlo di una cosa sola: entro in un qualsiasi locale, gourmet e non. Parlo della media, ovviamente. Certo che ce ne sono di locali ovunque!
Se per questo in Germania a noi ci fanno vedere la polvere.
Dimenticavo, invece, la cucina Thai. Scusate: ma questo è davvero l’unica che in freschezza batte anche noi. Credo sia l’unica che possa competere, come cucina nel suo complesso, con quella italiana e francese. Molto banalizzata è quella cinese, che però è grandissima.
beh, essere citati da vivi è una bella soddisfazione, in questo mondo griggio.
Caro Maffi
direi PRIMA CONOSCERE, POI PARLARE
Se Rob 78 definisce pizza quella dei Tigli, una sorta di focaccia con della roba sopra, anche di qualità non discuto, ora capisco da dove nasce la sottovalutazione di Taverna del Capitano:-)
Pignataro, da buon comunista, sta sempre in lacoste e cashmire:-)))
bene. si prosegue anche qui nella lunghissima polemica che per secoli fumigo’ il forum del gambero rosso sulla pizza di pizzarium a roma ,quella di bonci , che ha una certa affinita’ con quella dei tigli. la sottovalutazione della taverna del capitano con questo post c’entra come i cavoli a merenda :-)
fiacciamo cosi’ : prima conoscere , poi PROVARE poi parlare. perche’ secondo me ,a naso poi magari mi sbaglio, quella dei tigli lei non l’ha provata :-)))
Ringrazio Maffi per l’assist.
Così avevo scritto nel mio pezzo: “La definizione da cercare sarà “ alta gastronomia per tutti “ e non pizzeria. La pizza è un pretesto. Il nome pizzeria all’esterno serve a richiamare i fortunati viandanti, come il canto di una sirena.”
Il fraintendimento è questo. I Tigli non è una pizzeria (e forse non vuole nemmeno esserla) e quella non è pizza (e forse non vuole nemmeno esserla)
Il confronto con la Taverna del Capitano e la mia presunta mancanza di conoscenza (sempre possibile per carità) sa tanto da difesa del fortino :)
Provatelo i Tigli, e non solo per la “base” ma anche per la meraviglia che ci sta sopra
Caro Maffi
a un napoletano non serve provare, basta guardare la foto: una vera pizza non ha questa consistenza panosa
Faccia così: la prossima volta che viene in Campania, invece di frequentare gli stellati costosi dove la porta il compagno Pignataro, si faccia una decina di pizzerie:-)
Mi sa proprio che lei non ne ha maimangiata una vera.
L’articolo di Esposito non mette in discussione la qualità del posto, ma sottolinea che la pizza si adegua ad un gusto internazionale che non è quello napoletano.
Poi ognuno mangia quel che vuole.
Le ha risposto rob. Di pizze ne ho mangiate e di ottime. Pero’ e’ vero che negli ultimi giri sono stato depistato , nono stante le mie pressanti richieste:-). L’ultima che ho mangiato , un anno fa, da Michele . Meglio stendere un velo pietoso:-(
Facendo notare che quando andiamo a mangiare una pizza è d’uso comune non dire “andiamo a mangiare una pizza napoletana” ma “una pizza” e puntualizzando che, democraticamente, ognuno può mangiarla secondo suo gusto, caro Giancarlo consiglio di non andare MAI a mangiare la pizza a Trapani perchè quello additato come loro pizzai(u)olo migliore realizza una crosta con il pomodoro vulcanizzato sulla mozzarella e te la serve pure tagliata in quadretti 2cmx2.
Premesso che non ho provato la pizza de I Tigli quindi non posso giudicare (sono fautore anch’io del detto “prima provare poi parlare”) mi sento di dire che i clienti che vanno in quel tipo di locale NON vanno per la bontà dell’impasto e per la tipologia napoletana e non della pizza (o focaccia) ma essenzialmente per i PRODOTTI eccellenti che la farciscono. Il prezzo (alto) è sintomatico di questo.
Per assaggiare nel nord una pizza comme il faut spostarsi ad occidente, verso un ridente (macchecciavràdaride :-) ) paesello chiamato Legnano dove uno (scorbutico ? forse) signore chiamato De Rosa, originario di Tramonti (SA) ecchettelodicoaffare, fa una pizza fenomenale a prezzi poco più alti del normale.
x Tommaso: non puoi liquidare il beveraggio con “birra bionda lager e rossa”. Al Vate CAF se leggesse queste righe gli si accaponerebbe la pelle… :-))
Toccato. Mettiamola così: ero distratto quella sera e non ho traccia nè sul palm nè altrove.
:-)
Tric e Trac (o Montegrigna) dal nome della via è la pizzeria di Legnano che vale sicuramente un viaggio, uniche pecche a mio modesto avviso sono:
– locale sempre affollato
– il pizzaiolo è factotum e ciò incide sulla lunga attesa
– utilizzo di alici non di Cetara ma del Cantabrico
– manca in lista il Gragnano
ma il pregio più grande è sicuramente la pizza: è veramente qualcosa di ottimo e diverso dal solito con un impasto leggero e digeribile a lenta lievitazione e diverse fatture (finocchietto, farro, tradizionale etc etc)
CARPE DIEM
e mettiamoci pure questa
ahooooo cauzzi adesso sto a credito :-)))
http://www.passionegourmet.it/index.php/2009/10/08/pizzeria-montegrigna-legnano-va-by-alberto-cauzzi/
Quasi quasi organizzerei un Pizzafest a Napoli.
Ma siccome porta sfiga, meglio di no:-)
Sono folkloristicamente scaramantico
Pure io dico: non è vero, ma ci credo. Capisce a me!
Allora inventiamoci una “Pizzaria” che sia una vera e propria “Consensus” che licenzi le nostre verità sulla pizza.
E’ vero: il mio report è provocatorio perchè è vero quello che ho visto e ciò che ho provato.
@ Rob 78. Non sono d’accordo: Simone Padoan ha scritto il suo trattato sulla pizza
http://www.hoepli.it/libro/l-arte-della-pizza-di-simone-padoan/9788879069656.asp
e non la considera un pretesto. Nel merito di questo trattato avrei qualche riflessione che rinvio.
Resta un bel locale I Tigli. E sarei curioso di vedere Simone non soltanto davanti al forno, ma anche tra i fornelli.
E poi diciamocela veramente: se è “pizza”, è pizza.
Se è pane con un buon companatico, è pane con un buon companatico.
Punto.
Sull’argomento le mie riflessioni di quale mese fa, soprattutto in riferimento alla situazione romana
“Dici pizza, e pensi a Napoli. Giusto, giustissimo, sotto il Vesuvio la pizza è mito, rito, culto. Ma ogni religione ha i suoi eretici, e da qualche anno è in corso una rivoluzione silenziosa: selezione rigorosa delle farine, lunghissime lievitazioni, estrema digeribilità, accostamenti arditi. Ma soprattutto l’uso, per i condimenti, di materie prime di livello assoluto, quelle normalmente destinate alle ricette gourmet. I puristi storcono il naso: “Non è pizza, ma focaccia. La vera pizza è solo margherita e marinara. E poi, senza l’acqua di Napoli…”. Eccetera. Hanno le loro ragioni, certo. Ma, come sempre, prima provare e poi giudicare.
Esempi di questa nouvelle vague si segnalano in tutta Italia, ma è a Roma che il fenomeno esplode. Il via alla “invasione delle ultrapizze” lo dà Giancarlo Casa, fondatore della “Gatta mangiona”, il primo a intuire la possibilità di una terza via: pizza né napoletana né romana; ingredienti inediti (“baccalà e ceci” o “speck d’anatra, asiago e asparagi”); birre artigianali e carta dei vini.
Passa qualche anno, e dalla passione di due ex steward Alitalia prende vita “Sforno”: stessa filosofia, ma un’ulteriore spinta verso la creatività. Ed ecco nascere pizze sorprendenti come la “ajo e ojo” o alla riduzione di Campari. Inventiva più moderata per le pizze, ma grandi prodotti e antipasti che da soli valgono la visita nel trasteverino “Bir&Fud”, diventato un must anche per i cultori della birra.
Infine l’ultimo nato, “La Fucina”. Il più integralista nell’approccio, al punto da bandire fritti e bruschette. Pizza e solo pizza. Che qui raggiunge nuove vette. L’impasto, profumato e leggero come una nuvola, diventa piatto, base commestibile per prodotti d’eccellenza. Ecco la pizza con cappesante e funghi porcini, o quella con agnello, albicocche flambate e formaggio di pecora. O ancora con tonnetto di Ponza e cipolle caramellate. Ogni sera una sorpresa”.
Due punti su cui concentrarsi: la manualità e la lievitazione. Poi la tradizione, in questo caso non è una parola vuota: significa che da quasi duecento anni a Napoli si sa come combinare gli ingredienti, la temperatura del forno a legna, il materiale per i forni, l’influenza dell’umidità dell’aria.
Una tradizione non maturata in un borgo di montagna, ma che si misura quotidianamente per decine di migliaia di volte, ogni giorno tutti gli anni da sempre. Con una clientela che non perdona e tanta concorrenza da superare
Queste cose, un po’ come le bollicine sui francesi, non si recuperano in una generazione perché si tratta di un prodotto artigianale.
Basta uscire dalla città e si nota la differenza.
Questo è il protocollo napoletano
Che poi sulla pizza si lavori in tutto il mondo è un dato di fatto, quella napoletana ha la sua specificità non facilmente replicabile
In sintesi direi questo: non è la mano che si adegua alla pizza, ma la pizza che accompagna la mano. Così, semplicemente. Quando l’unico modo per mangiarla è piegarla a libretto perché la sfoglia è così sottile ed elastica da non reggere il peso della mozzarella.
Quando la fetta è rigida e non si piega come la lingua di Mick Jagger allora non è made in Naples
Lancio una proposta :
Perche non fare una vera e propria guida NAPOLETANA delle migliori pizzerie ? La guida dovrebbe essere fatta da critici esperti in fatto di pizza. Quest’esperienza dovrebbe essere ovviamente documentata e approvata da una commissione di giudici formata dal gotha Napoletano in materia (è inutile stare a ripetere chi compone la giuria , li conosciamo tutti) In questo modo non si fa torto a nessuno, si fa chiarezza sul fatto che non si può insegnare nulla a chi detiene la paternità del prodotto, ma al tempo stesso non si toglie nulla alla bontà di preparazioni culinarie alternative che , pur avendo una loro collocazione, non possono certo essere allineate e confrontate con un l’opera d’arte che sa essere la Pizza. ( mi sembra offensivo chiamare la pizza prodotto) Questa richiesta la faccio principalmente a Lei Dr. Pignataro , che tra tutte ,è la voce giornalistico – enogastronomica più autorevole della nostra regione.
Saluti
Alessandro Del Pozzo
Sempre + spesso noto che c’è una sorta di simbiosi tra gli articoli di questo blog ei scattidigusto.
Non sarà anche questa , un’omologazione?Mi rattrista…
Sig. Schellenberg, mi dice dove sta con la sua pizzeria a Varese?
In questi giorni verrò a trovarla.
Abbracci.
Abbastanza d’accordo con Antonio Scuteri. La scelta delle birre artigianali, lo street food molto ben fatto che c’è nei locali sopra citati ( Gatta Mangiona, Sforno, Tonda) la cura delle farine e degli ingredienti ( la Fucina) ed il servizio efficiente sono un valore aggiunto notevole di queste pizzerie. Il modello pizza napoletana è talmente vincente che continua a diffondersi sia in provincia di Roma, vedi Ciao Ma a Velletri o in città vedi Lazzaroni .
Ovviamente la qualità della pizza in sè e il contesto ricco di storia e tradizione rendono Napoli impagabile, e mi piace paragonarla ad una gran birra belga di tradizione rispetto ad una birra USA di ultima generazione .
E’ però un bene che si valutino i plus dei posti romani e la capacità di innovare in questo settore . Chissà che questa storia non serva ad avere anche a Napoli scelte di birre accettabili e street food all’altezza , visto che anche in questo siamo eccezionali ma spesso per varietà qualità e scelta, non sempre per attenzione al dettaglio e costanza di qualità.
Avete guardato le foto delle pizze su http://www.pizzeriaitigli.it? Mi ricordano tutte le focacce della Parmalat, non so se le avete presenti.
Diciamo “de gustibus”, l’altra faccia della pizza, le mille facce della pizza, ma di pizza ce n’è una sola: la pizza di Napoli.
La differenza sta tutta tra chi le ha guardate in foto e chi le ha assaggiate. I Tigli non aveva bisogno della guida per avere successo, ce l’aveva già. Di pizza come quella napoletana ce n’è una sola, e ci sono tante altre pizze nel mondo. Fare la barricata non serve a niente.
quoto. Simone è un grande artigiano della gastronomia di qualità
Appena vado in Veneto ci ripasso
Mi chiedo, e chiedo a voi,
-Perché questo locale é sempre pieno? Perché qui c’è sempre da aspettare? Perché in questa pizzeria se non prenoti non mangi?-
Non vuole essere un commento per collocare Simone Up o Down.
Ma una semplice riflessione.
E alla fine chi decreta il successo (quello vero, quello che fa pagare gli stipendi a fine mese) di un’attività? I gourmand o la gente “normale”???
Comunque io Ai Tigli ci vado spesso. Anche per gli ottimi vini. Introvabili in altre pizzerie.