Salaparuta, un Corvo si aggira per l'Italia


5 gennaio 2002

Sassicaia, Tignanello, Solaia. I tre più grandi dei grandi rossi toscani sono il simbolo della rivoluzione italiana in enoteca: proprio come la Ferrari e gli stilisti di moda, hanno cancellato i fiaschi impagliati dalla mente dei consumatori d’Oltreoceano rafforzando l’immagine dell’Italian Style. Tutti firmati da Giacomo Tachis, piemontese trapiantato in Toscana, emigrato in Sardegna e adesso approdato, ma guarda la combinazione, in Sicilia per completare l’opera. Ha fatto più lui di Garibaldi per l’unità italiana. Qui, a Casteldaccia, lavora per i grandi bicchieri del futuro, quelli della Duca di Salaparuta-vini Corvo (via Nazionale, tel. 0919 45201. Sito www.vinicorvo.it) recentemente privatizzata dalla Regione e venduta alla Ilva Saronno, che già controlla il marchio Florio. Tutti conoscono la Corvo, dieci milioni di bottiglie in giro per il mondo ogni anno, ma solo gli intenditori conoscono i due grandi vini che hanno fatto cambiare passo alla realtà siciliana: il Duca Enrico da uve Nero D’Avola e il Bianca di Valguarnera, primo esempio di bianco meridionale da invecchiamento da uve Inzolia. Cosa è cambiato con queste etichette prodotte dall’azienda fondata nel 1824 da Giuseppe Alliata, Principe di Villafranca e Duca di Salaparuta? Primo, che la Sicilia non è più solo terra di Marsala e Passito di Pantelleria come ci avevano fatto credere gli inglesi. Secondo, che in Sicilia, e dunque nel Mezzogiorno, nascono grandi rossi e bianchi di lunga tenuta. Terzo, che questo è possibile anche con i vitigni autoctoni anziché con Cabernet, Shiraz e Chardonnay. È questo il debito che la Campania e la Puglia devono saldare con il Duca Enrico e la Bianca di Valguarnera, a cui siamo legati da affetto e gusto. Immaginare cosa combinerà l’allievo italiano di Emile Peynaud è difficile: Tachis al Vinovip di Cortina si è detto convinto che il futuro parla siculo. Noi gli crediamo e nel frattempo beviamo le migliori annate che ha trovato a Casteldaccia.