Roma, pizzeria Panattoni ai Marmi
di Virginia Di Falco
Faccio subito coming out e ci togliamo il pensiero. Ad oggi, per me la pizza a Roma è sempre quella di Sforno (o Tonda) di Stefano Callegari, della Gatta Mangiona di Giancarlo Casa, o della Fucina di Edoardo Papa. O non è. Punto.
Questo non vuol dire che, su questo fronte, io non sia aperta a tutti gli assaggi possibili e immaginabili, disponibile sempre a rivedere le mie personali classifiche. Anche perchè, sennò, che gusto potrebbe mai esserci nella vita di un appassionato di food?
Soprattutto, poi, quando mi segnalano una buona “napoletana” fatta nella capitale corro subito a provarla. E' successo così per l'ottima pizza dei Lazzaroni (che purtroppo ha chiuso), per la riuscitissima margherita di Splendor Parthenope, per la pizzeria di quartiere il Carroccio, che mi fa sentire nelle strade del centro storico di Napoli, soprattutto col fritto della casa, o per la pizza Maradona a Tiburtina, dai ragazzi dei Magnifici, col cornicione ripieno di ricotta.
E poi.
E poi, però, c'è tutto il mondo della pizza romana, quella bassa e croccante, 'scrocchiarella'. Che per un napoletano, ovvio, non è pizza. Anzi. Non si dovrebbe neppure chiamare così. E bla bla bla bla bla.
Detto ciò e scavalcata di gran lena questa noiosissima quanto inutile diatriba, ho pensato di fare una visita ad una delle pizzerie'storiche' di Roma, una sorta di tempio della pizza romana, tanto intoccabile per la specie quasi in estinzione dei romani doc, quanto imperdibile hit per i turisti stranieri: Panattoni ai Marmi, a Trastevere.
E, per di più, ci sono andata di sabato sera alle 20.00.
Due enormi locali pieni zeppi di tavolini con la base di marmo (da qui il nome, oltre a quello, pare pasoliniano, di Obitorio, con il quale è conosciuta) dove due persone starebbero comode ma che viene invece sempre usato per farne sedere quattro; e un tradizionale forno a legna con sopra la scritta beffarda “pizza napoletana” – a ricordare che cinquant'anni fa bastava questo ad identificarla.
Un angolo della sala principale ancora con il vecchio banco frigo di una volta, con dentro i contorni e gli antipasti del giorno e, sopra ben visibili, le insegne luminose d'antan che ricordano i piatti robusti della cucina espressa di quando sazietà e nutrimento erano una necessità, come i fagioli all'uccelletto o i fagioli con l'osso di prosciutto.
Insomma, oggi diremmo quasi archeologia, ma che qui funziona ancora benissimo. E sono proprio funzionamento e organizzazione di questa vera e propria macchina da guerra della ristorazione – oltretutto osservata in ora (e giorno) di punta – l'aspetto che colpisce e che, soprattutto in una fase di crisi come quella che ci sta attanagliando, dovrebbe anche far riflettere con attenzione.
Centinaia di coperti, dunque, replicati, con i medesimi marmi, anche lungo lo spazio all'aperto, sotto gli ombrelloni in Viale Trastevere. Camerieri che servono letteralmente volando, in tempi record, ma mai scortesi, con una divisione delle comande, tra le sale e fuori, da perfetto manuale Cencelli. Al forno, tre pizzaioli, perfettamente sincronizzati, stendono decine e decine di pizze come piccole lenzuola, tutte in fila, sull'enorme spianata (anche questa di marmo), e poi via a farcire: margherita, capricciosa con e senza salsiccia, fiori di zucca e alici, napoletana, marinara, al prosciutto e funghi, e così via.
Nulla che, se avete l'età, non abbiate visto nelle pizzerie degli anni Settanta. Fuori, intanto, una fila diligente (soprattutto stranieri), in media di cinquanta persone, aspetta per sedersi al fresco settembrino. Ma lo spettacolo della sala interna è, francamente, imperdibile. Dai tempi di catena di montaggio del forno, all'organizzazione della cucina, ai giapponesi con in mano telecamere e IPhone insieme a coltelli e forchette, ai tavoli con famiglie piene zeppe di bambini, alla meravigliosa coppietta di sessant'anni vicina di tavolo, lei con i capelli da parrucchiere del sabato, lui con il borsello, l'antipasto diviso in due, come la margherita attesa con pazienza, a scambiarsi sorrisi. Spettacolo nello spettacolo. Insomma. Qui non c'è posto per chiacchiere e gastrofighettismi di sorta. Si lavora e basta. Centinaia di coperti e migliaia di pizze al giorno. Punto. E, soprattutto, si fanno lavorare persone, famiglie. Con una costanza e una serietà che meritano rispetto.
Cosa dire, infine, nel merito delle cose assaggiate? Abbiamo provato il filetto di baccalà fritto, il supplì, la margherita, e la bianca ai fiori di zucca e alici. C'è da sottolineare che la materia prima potrà anche essere di batteria, ma è buona. Discreto il baccalà, mentre il supplì soffre di una frittura che lo fa risultare un po' secco, anche se la mozzarella all'interno riequilibra bene, con i suoi fili “del telefono”. La pizza, l'abbiamo detto, è proprio l'idealtipo della pizza romana. Sottilissima che più sottile non si può, e croccantissima: non può non scrocchiare in bocca come ci si aspetta. Insomma, per me, di certo, non è pizza. Ovvio. Anzi. Non si dovrebbe neppure chiamare così. E bla bla bla bla bla.
Pizzeria Panattoni – Ai Marmi
Viale Trastevere 53/59
Tel./Fax.: 06.5800919
Aperto solo la sera
Chiusura Settimanale: Mercoledì
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
Ho letto con interesse l’articolo perchè pensavo che si trattasse di una
novità. In realtà si tratta di quel locale che i romani definiscono “il
marmista” o “il cassamortaro” o “l’obitorio” per la presenza dei tavoli
di marmo dovunque. Diciamo che vale la pena andarci dopo l’una di
notte, e solo in quel caso, perchè è l’unica pizzeria aperta, per
sfamarsi, e solo per questo motivo. Quanto ai fritti, le foto parlano da
sole ….e se li provate capite ….ma a volte è meglio non
capire…….
A Roma ci sono diverse discrete,a volte buone pizzerie napoletane,situate soprattutto in quartieri popolari tipo,Centocelle,Prenestino ed altri.Si tratta in genere di locali caciaroni arredati in maniera falsamente folcloristica,con le televisioni perrennemente accese sui programmi mediaset:si capisce che locali del genere sono poco appetibili per chi cerca ciò che ora và di moda essendo poco glamour. Nella sostanza ,però,in due senza fritti,non sempre aall’altezza,per due margherite ben condite e due birre alla spina,non si superano i quindici euro,prezzi quasi napoletani.