Roma, la Ciambella bar à vin: posticino di salvataggio a pochi passi dal Pantheon
Ciambella Bar à Vin
Via dell’Arco della Ciambella, 20
Tel. +39 06 683 2930
Aperto: dal martedì alla domenica, ore 12.00-23.00
Chiuso: lunedì
www.laciambella.it
Conto sui 50 euro
di Virginia Di Falco
Cominciamo col dire che siamo a due passi dal Pantheon, e dunque in una zona ad alta concentrazione di bellezza artistica ma anche di ciarpame turistico, purtroppo.
Le tavole con una buona cucina – soprattutto osterie e trattorie – si contano sulle dita di una mano, forse due se si cammina un po’, e se non si cede alle trappole vestite di quadrettoni bianchi e rossi con tanto di finti prosciutti appesi al soffitto.
La Ciambella bar à vin, in via dell’Arco della Ciambella, è una buona via di fuga, con un locale dai colori chiari, ampio e luminoso, arredato con garbo ed eleganza. Soffitti altissimi, volte imponenti, qualche particolare antico o semplicemente vintage sistemato con molto gusto in ciascuna delle sale. Un grande bancone all’ingresso e la cucina a vista di fronte comunicano immediatamente, anche dal punto di vista logistico, quale è l’impostazione che le due socie, compagne nella vita e nel lavoro, hanno voluto dare al loro locale: una linea di congiunzione tra vino e cucina senza soluzione di continuità.
D’altro canto è proprio a questo scopo che hanno messo insieme le loro esperienze professionali: Mirka Guberti, si occupa di sala e cantina, dopo aver lavorato come sommelier da Pascucci e da Glass mentre Francesca Ciucci, è la chef di una piccola ma motivatissima brigata. E di fatto l’idea di questo bar à vin è quella di un luogo dove si entra per lasciarsi alle spalle il caos del centro turistico, scegliere anche solo una selezione di formaggi e un calice di vino, oppure pizzicare da una carta molto ben organizzata.
Mise en place moderna ed essenziale, con tovagliette in lino bianco sul legno nudo dei tavoli; piccolo ma ricco cestino del pane con grissini fatti in proprio.
La carta si divide in maniera dinamica e vivace tra una proposta tradizionale (anche con percorso degustazione a 40 euro) che va dal lesso alla picchiapo’ all’amatriciana, dalla trippa alle animelle con carciofi, dalla carbonara alla cacio e pepe accanto ad una proposta più originale della chef (anche qui possibilità di degustazione, a 50 euro).
Un’antica ricetta della farinata di ceci, proposta in due o tre varianti, apre la sequenza degli starter e la versione classica al rosmarino è davvero gustosa. Si può continuare con una tartare oppure scegliendo tra gli antipasti dove abbiamo pescato una buona lingua in salsa verde e giardiniera con le verdure croccanti di fresco e non di aceto eccessivo, come spesso succede.
Tra i primi piatti merita una menzione speciale la carbonara, per cremosità dell’uovo particolarmente indovinata, e abbondante guanciale croccante anche se, a gusto di chi scrive, tagliato troppo sottilmente. Sfiziosa e soddisfacente la classica zuppa romanesca di broccolo e arzilla qui servita con gli spaghetti di riso con, per dare man forte al tutto, una grattugiata di katsuobushi.
Molto ben presentata, quasi in abito elegante, la parmigiana di melanzane; mentre le albicocche secche con la crema di topinambur arricchiscono una quaglia vivacizzata dalla polvere di liquirizia.
Per chiudere, conviene lasciare spazio per uno dei dolci in carta, anche perché il giovane pasticciere ha davvero una bella mano. Da non perdere la sua versione di rocher alla pera servito con un ottimo zabaione.
Infine, una nota di merito per lo spirito di squadra che si avverte in sala grazie anche alla sintonia con la cucina a vista che quasi le ruota intorno, in una sorta di piccolo (ma gioioso, eh!) Panopticon.