Roma, il 2018 è stato l’anno dei divorzi e degli addii con una domanda senza risposta: perché tradizione e innovazione sono inconciliabili?
di Virginia Di Falco
Roma, A. D. 2018: Luciano Monosilio lascia Pipero, Alba Esteve Ruiz lascia Marzapane, I Fooders lasciano (solo per un anno) Mazzo, metà squadra di Epiro lascia piazza Epiro e sbarca in Francia. Parliamo di addii che non sono chiusure, ma trasferimenti importanti che sembrano avere un percorso comune e, soprattutto, non sono il banale colpo di testa di chef che lasciano il proprio posto di lavoro credendosi stelle pienamente affermate in cerca di una più alta collocazione nel firmamento gastronomico.
Un percorso, questo, che ha riguardato nel 2018 diverse cucine della capitale e che ha portato ad un bivio: il primo in direzione Trattoria, verso una trattoria ovviamente moderna, che vuol dire mettere la tecnica, e l’esperienza maturate nel corso degli anni al servizio di una cucina semplice ed immediata, fatta per i clienti e non per soddisfare il proprio ego o, peggio, quello di qualche critico gastronomico. Poi ci sono quelli della direzione Ricerca, che preferiscono investire in studio e formazione e per farlo decidono di partire, ritenendo che viaggi e comparazione all’estero siano strumenti indispensabili per crescere.
La prima direzione, quella della Trattoria, l’hanno presa quest’anno due chef stellati: Luciano Monosilio, ex chef di Pipero che ha aperto Cucina Italiana ma anche Adriano Baldassarre di Tordomatto che sta per aprire Avvolgibile in zona Appio Claudio. Due trattorie dove il piatto italiano per eccellenza quello di pasta è il vero protagonista del menu, dalla carbonara più celebre di Roma, quella di Monosilio (che nel suo nuovo locale ha voluto anche una macchina per la pasta e un angolo dedicato alla pizza) alla predilezione di Baldassarre per la pasta che si ‘avvolge’ intorno alla forchetta (da qui il nome) e per i piatti poveri, a volte poverissimi della cucina romana.
Un altro locale di Roma, Marzapane, molto famoso per aver tenuto praticamente a battesimo la bella cucina di ricerca della giovane Alba Esteve Ruiz, dopo 5 anni ha decisamente virato verso una cucina più tradizionale, basata sulla spesa giornaliera al mercato e, più in generale, su richiami espliciti alla tradizione. Dal canto suo, la brava chef spagnola, ha risposto a questo cambio di rotta con uno stage presso uno dei ristoranti più vivaci del suo paese: il bistellato Disfrutar di Barcellona.
Un nuovo locale è anche nei programmi futuri di Francesca Barreca e Marco Baccanelli, coppia nella vita e in cucina, conosciuti come The Fooders, che hanno annunciato proprio in questi giorni la chiusura di Mazzo, la loro piccola ma sempre piena “casetta” a Centocelle. Il loro addio, però, imbocca il secondo percorso di cui dicevamo sopra, e cioè una sorta di anno sabatico che trascorreranno a studiare e provare cucine in giro per il mondo, assecondando quella vivacità e curiosità professionale che chi si è seduto negli ultimi anni al loro tavolo sociale aveva avuto modo di intercettare.
Un locale, infine, che ha deciso di tenere insieme i due percorsi è Epiro, un bistrot che si è caratterizzato sin dalla sua apertura, ormai 5 anni fa, per la ricerca sveglia ed attenta di etichette naturali e una cucina segnata dalla bella mano di Marco Mattana e Matteo Baldi, vivacità e inventiva con piatti sempre molto studiati, ma mai meramente didattici o, peggio, indecifrabili. Bene. Dalla prossima primavera, ad uno dei due chef della giovane brigata toccherà il compito di approfondire e migliorare tecnica e ricerca in Francia, grazie al trasferimento di Epiro “Evoluzione” in Costa Azzurra, mentre l’altro resterà a Piazza Epiro con una cucina di mercato molto più semplice.
Questi addii, al di là delle motivazioni individuali che ne hanno condizionato la spinta inziale, ci dicono due cose importanti.
Una cucina – e dunque lo chef che la rappresenta – è tanto più coraggiosa e ha tante più occasioni di crescita e diffusione quanto più non si limita a contemplare (e dunque non si accontenta) del proprio successo. E, soprattutto, riesce ad intercettare un cambio di passo nella domanda alla quale cerca di rispondere adeguando l’offerta e non chiudendosi in una sorta di torre d’avorio. La strada nuova che si può imboccare è duplice. E’ una sfida a due facce: applicare conoscenza ed esperienza a una cucina più riconoscibile ed immediata, che parli un linguaggio comprensibile ai più. Che però non vuol dire svolta populista. Insomma: non è esattamente la cucina della nonna dove mangi tanto e spendi poco.
L’altra faccia è quella della sfida esterna, che guarda alle opportunità di crescita che offre un’esperienza comparata, internazionale, perché proprio come nella maggior parte degli altri settori professionali, oggi più di sempre, viaggiare e confrontarsi vuol dire migliorare.
In entrambi i casi, dunque, vuol dire mettere a frutto l’esperienza accumulata negli anni. In entrambi casi, soprattutto, impreparazione e improvvisazione non servono a nulla.
A noi appassionati di gastronomia non resta dunque che provare gli esiti di questa duplice sfida. Anche perché questi addii sono in realtà dei ragionati arrivederci. Stiamo in campana!