Roma Testaccio, Checchino dal 1887, da 6 generazioni l’avamposto del Quinto quarto
Via di Monte Testaccio, 30 (Ex Mattatoio)
Tel. 06.5743816
Aperto a pranzo e a cena; Chiuso lunedì e martedì
www.checchino-dal-1887.com
di Virginia Di Falco
Abbastanza dispettosa, questa primavera romana 2024, con il cielo minaccioso che prende il sopravvento mentre ancora si sta godendo di un sole magnifico.
Ritorniamo da Checchino proprio durante una giornata grigia, ventosa e un po’ freddina che però ci fa trovare il bel camino in mattoni acceso in sala.
Come sempre, fiori freschi ai tavoli, il cameriere in giacca bianca, il signor Mariani al suo posto di lavoro, come ha fatto la sua famiglia, da ben 6 generazioni.
Accoglienza professionale e familiare: una certezza, al Testaccio, finora mai smentita.
La cucina è quella della tradizione del Quinto quarto. Siamo di fronte al Mattatoio e sei generazioni hanno davvero visto di tutto, a partire dagli anni delle Guerre, durante le quali trovare frattaglie da mangiare era addirittura un lusso.
Così come è un lusso, certo diverso, ma altrettanto raro, trovare oggi in menu piatti prelibati con le parti più povere, spesso di scarto, delle carni. Certo, il gusto non deve essere addomesticato da sapori omologati e papposi come accade sempre più spesso alle nuove generazioni. Ma chi ha memoria e palato curioso qui gode come un riccio.
Dal ‘padellotto alla macellara‘ (misto di interiora saltato in padella con aceto, rosmarino e un profumo d’aglio) – ormai un piatto storico del locale, alle cotiche con fagioli che pretendono scarpetta, anche se le mangiate con le posate d’argento.
Ma l’elenco è infinito: trovate la testina di vitello, le animelle, la pajata (anche arrosto!), un sugo di coda alla vaccinara strepitoso, la trippa. Oltre, naturalmente, a tutti i primi piatti romani, con i bucatini all’amatriciana praticamente perfetti.
Imperdibile, poi, l’insalata di zampi: Nervetti della zampa di vitella bolliti, disossati, serviti tiepidi in insalata con sedano, carote, fagioli borlotti, conditi con salsa verde. Una goduria.
Negli anni, la famiaglia Mariani ha avuto la capacità di trasformare una osteria in un punto di riferimento solido della cucina romana, affiancando ai piatti della tradizione una cantina notevolissima e il piacere del servizio di un grande ristorante. Dove è sempre bello ritornare.
Sembra facile? Andatelo a raccontare alle centinaia di trattorie ‘Mordi & Chiudi’ di Roma. Poi ne riparliamo.
Aperto a pranzo e a cena, dal mercoledì alla domenica. Conto medio sui 60 euro.
Qui di seguito la nostra ultima scheda del 10 dicembre 2016:
di Virginia Di Falco
E’ difficile pensare a Testaccio come una discarica. Oggi che questa parola evoca l’accumulo di rifiuti indistinti, indistinguibili, non differenziati, pronti a minacciare persino siti di valore inestimabile come Villa Adriana. Eppure nel III secolo era proprio questo. La discarica delle anfore di coccio (testae, in latino), che si sono accumulate nei decenni, in file ordinate, fino a diventare un monticello.
La sala di questo ristorante storico, di fronte all’ex Mattatoio e al nuovo mercato del quartiere è ricavata proprio in una parte di cocci. Così come è visibile nella ricca cantina che i proprietari, i fratelli Mariani – alla quinta generazione – mostrano con orgoglio ai clienti in cerca di suggestioni e magari di qualche etichetta rara.
Siete in un quartiere dove locali e localini sono ormai quasi più numerosi dei cocci suddetti e, ahimè, quasi equamente suddivisi tra approdi più o meno sicuri di buona cucina e “pacchi” per turisti spesso neppure ben confezionati.
Quel che è certo è che “Checchino dal 1887” continua a essere ad essere una certezza sui fondamentali della cucina romana, a partire dall’ABC: amatriciana, cacio e pepe, gricia.
D’altronde si racconta che proprio nella originaria vineria con cucina che si fece conoscere negli anni della costruzione del mattatoio sono stati inventati i piatti del cosiddetto quinto quarto che i “vaccinari” recuperavano e che hanno reso celebre la cucina popolare della capitale.
Non vi spaventate quindi se vi ritrovate in una sala dall’ambiente un po’ vecchiotto e godetevi piuttosto le bellissime rose fresche ai tavoli, con i colori e il profumo che nessuna delle anemiche e onnipresenti orchidee di importazione, tipiche di tanti locali di design, potranno mai avere. E non lasciatevi condizionare neppure dalla quantità di occhi a mandorla che vi circonderanno, soprattutto se vi sarete seduti a cena ad un’ora civile. Il ristorante continua ad essere meta turistica di chi vuole testare le specialità della cucina tradizionale, ma ha un servizio competente e professionale che segue come si deve tutte le tipologie di clientela, celebrità e politici inclusi.
Il menu è molto ricco, a partire dunque dalle varianti del quinto quarto, e offre diverse possibilità di degustazione oltre, naturalmente, la scelta alla carta. Per cominciare, buoni tortini di verdure, come quello alla birra, e in particolare la “fornarina” vegetale, uno sformato a base di uovo con verdure miste, delicato ma di gusto.
Tra i primi, le minestre classiche, come pasta e ceci; rigatoni con la pajata, oltre ai carbonara, gricia, cacio e pepe e amatriciana d’ordinanza.
Da segnalare un magnifico piatto di tonnarelli all’uovo cacio e pepe oppure con il sugo di coda. Uno dei migliori mai mangiati, con un sugo praticamente ineccepibile, ricco ma non grasso, con sapore e sapidità in equilibrio perfetto.
E infatti una delle cose che colpisce, e ben predispone, soprattutto di fronte a ricette non certo leggere, è l’uso moderato di sale che si fa in questa cucina. Così, per esempio, anche in una ricetta hard come le cotiche con i fagioli, qui nella versione rossa, con tanto sugo, per gli amanti della scarpetta.
Ben eseguito anche il coniglio in umido, con le olive di Gaeta, mentre chi apprezza, puo’ divertirsi con la lingua in salsa verde, il cervello, le animelle e l’insalata di zampi. O portarsi a casa il piatto del buon ricordo, che qui è l’abbacchio alla cacciatora: coscio e spalla di agnello da latte disossato, tagliato a bocconcini e saltato in padella con acciuga, aglio, aceto, olio extravegine di oliva e peperoncino.
Imperdibile il padellaccio, con tutte le interiora del vitello molto ben trattate grazie all’aceto e al rosmarino.
Si chiude con dessert curati e ben fatti, come il tortino rustico di pere e noci o la classica panna cotta, da guarnire in diversi modi o da godersi assoluta.
Completano il quadro un bel carrello dei formaggi, la solidità e la cortesia che ci si aspetta, con in più il sacrosanto divieto di entrare in canottiera. Evviva.
Via di Monte Testaccio, 30 (Ex Mattatoio
Tel. 06.5743816Aperto a pranzo e a cena
Chiuso domenica sera e lunedi
Conto medio sui 60 euro
www.checchino-dal-1887.com
3 Commenti
I commenti sono chiusi.
Bel posto Virginia, mmmmm…quel coniglio!!! Ma…la vaccinara dov’è? Vabbè…ce la metto io ;-))
https://www.lucianopignataro.it/a/le-vere-origini-storiche-della-vaccinara-irpina/36021/
Lello: la vaccinara ha fatto venire fuori quei tonnarelli da fine del mondo che vedi in foto :)
Certo che 60€ per mangiare la tradizione romana non è poco!