Rocca del Principe, Elmi, Perillo ed Optimun Sancti Petri: Vini e Formaggi tra Irpinia e Alto Casertano
di Annito Abate
«Lungo la strada un piacevole sole invernale “allaga” le carreggiate dei nastri d’asfalto che mi portano, ormai per la terza volta, verso l’alto casertano» … beh questo è l’incipit scritto in occasione della Lezione del Master sulle Tecniche di Cantina svolto presso l’Azienda Vitivinicola Alois a Pontelatone.
Complice forse la nebbiosa giornata invernale, questa volta Massimo Alois ci fa strada verso la Sala di Degustazione al livello terra, luminosa, grande tavolo di legno al centro, dalle vetrate si vedono i colori del paesaggio invernale, le vigne ormai colme di tinte bruciate, le forme vegetali stanno virando velocemente verso la fase dormiente che preparerà la nuova annata.
Protagonisti l’enologo Carmine Valentino che ha prelevato “campioni” davvero interessanti dalle “riserve” di alcune Cantine che segue in Irpinia ed il Maestro Formaggiaio Giuseppe Iaconelli che ha riservato “pezzi” preziosi delle sue collezioni provenienti dalle grotte dell’Alto Casertano.
I Vini. Taurasi, quasi tutti d’altura, sono di Tre Aziende Vitivinicole che lavorano su tre Zone differenti accomunate dalle valli e dalle sponde del Fiume Calore che le attraversa, dove cambiano, prevalentemente, giaciture, altitudini e suoli; la bassa Valle con altezze medie intorno ai 350 metri da Pietradefusi fino ad una parte di Taurasi passando per Lapio e l’alta valle, circa 650 metri, che arriva fino ai piedi dei Monti Picentini con Castelfranci, Montemarano.
I Taurasi proposti in degustazione vengono, rispettivamente, da Lapio (terreni sabbiosi, vegetali con forte presenza di ceneri vulcaniche, vini con un’acidità più contenuta, eleganti, più balsamici e con tannini più levigati), Montemarano (terreni calcareo argillosi, vini molto alcolici, dal colore più intenso, spesso impenetrabili alla luce che raggiungono il loro equilibrio in meno tempo rispetto ai “fratelli di montagna”) e Castelfranci (suoli sabbiosi, silicei, sciolti con presenza anche di fossili.
1) Rocca del Principe 2008, un tenore alcolico di 15 gradi portato molto bene, un vino già pronto aiutato da un’annata favorevole e calda, grande equilibrio, si ha la percezione che stia già esprimendo il meglio e la scommessa da fare è sul tempo di mantenimento di questa integrità; la richiesta di una maggiore acidità poteva essere, forse, soddisfatta da una leggera anticipazione della vendemmia il cui risultato poteva far pensare ad un allungamento della sua vita.
2) Elmi 2008, pochissime bottiglie prodotte a Contrada Chianzano, una zona particolarmente vocata che ha fatto esprimere, a parità di vendemmia, un vino molto più completo e giovane di un’Azienda che fa un buon lavoro in vigna, pone particolare attenzione in cantina con grandi investimenti sui legni.
3) Perillo 2006, sorprendente, la vigna più “estrema” di quel sud atipico che è l’Irpinia, un’uva vendemmiata quasi sempre a dicembre da vitigni quasi secolari ed, ovviamente, a piede franco (età compresa tra 70 ed 80 anni); il vitigno è un clone che si è ben adattato, una varietà con una forte identità chiamata “aglianico coda di cavallo” per la sua forma a grappolo spargolo che presenta anche un’acinellatura verde. «Qui le vigne stentano» dice l’enologo «la vegetazione è contenuta, l’uva cresce più piccola ed in presenza di forti escursioni termiche». Si comprende allora l’elevata acidità dei nettari purpurei che risultano certamente più duri, scontrosi ma estremamente longevi e dal profilo antocianico diverso che regala un colore meno intenso, più luminoso che fa risaltare i riflessi dei differenti rossi quando la luce attraversa il calice.
Da queste parti, complice la lunga vita delle vigne, le forme di allevamento non sono a spalliera ma a raggiera con quattro tralci che si dipanano aerei abbracciandosi tra pianta e pianta nel grande rispetto delle dovute e proporzionate distanze tra i ceppi. In effetti la tendenza, quando si può fare, è soppiantare il sistema a Guyot in favore di un ritorno al Cordone Speronato; l’Aglianico consentirebbe anche una potatura corta a poche gemme basali (tipica appunto del Guyot) ma i grappoli vengono fuori troppo ricchi di colore e sostanza e con acidità più contenuta, si preferisce allora un sistema di potatura più lunga che permette di ottenere risultati diversi, forse dal profilo più “moderno”, ma è sempre “azzardato” inoltrarsi su questi perigliosi argomenti enoici.
Degni prodotti meno “malo” ma decisamente più “lattici” hanno fatto da abbinamento con i vini: tre espressioni latteriero casearie di Maestri Formaggiai dell’Alto Casertano.
Il Caseificio Optimun Sancti Petri di San Pietro Infine di Giuseppe Iaconelli (qui alcune notizie) che rielabora e rivisita le antiche tradizioni dell’area.
Davanti a me, sulla tavola, sei prodotti eccezionali, tre vini irpini e tre formaggi casertani.
1) affinato in grotta, stagionato dieci mesi, una crosta ripulita e spazzolata, latte misto ovino e caprino, una pasta candida puntinata da delicate occhiature e solcata, in orizzontale da venature blu e verdi, sono quelle dello sviluppo dell’erborinatura naturale che ha donato al gusto piacevoli note aromatiche e di delicata piccantezza.
2) Elfo, questo il nome del prodotto che si presenta affascinante nella sua rocciosa forma irregolare e variegata di tinte bruciate cangianti dagli ocra ai marroni. Evidente rimando al Bosco, con i suoi colori, profumi e sapori viene affinato in grotta, stagionato per circa dodici mesi, di cui i due terzi in grotta e la restante parte nei legni della barrique dove viene collocato per far ripartire la fermentazione. La crosta è trattata con erbe (felce, foglia di noce, foglia di castagno raccolta alle pendici del monte Sammucro che sovrasta, imponente, il sito dove è collocata l’Azienda), il latte è pecora in purezza, la pasta è di un avorio delicato che quasi maschera le rade occhiature che si alternano, anche questa volta, all’erborinatura naturale armonicamente distribuita secondo direzioni diverse. All’olfatto ed al gusto è complesso ma delicato e più percettibile risulta la piccantezza.
Prima di passare al terzo formaggio, un interessantissimo campione di razza a pasta filata, il Maestro Casaro ci spiega e ci ricorda che i formaggi appena degustati non vengono inoculati con “penicillium roqueforti”, muffe responsabili della caratteristica e più conosciuta erbori natura indotta, ma sono stati solo forati e collocati in affinamento in grotta dove, con il tempo, avviene la trasformazione della pasta.
3) Un grandissimo caciocavallo stagionato in grotta per ben diciotto mesi senza perdere le sue caratteristiche di “freschezza”; la difficoltà, ci dice Giuseppe Iaconelli, sta proprio nel mantenere il tempo di stagionatura garantendo la “fragranza”. Un formaggio dalla persistenza infinita che ben si è accompagnato al Taurasi più “alto” della batteria di campioni che avevo a disposizione per i piacevolissimi test incrociati.
Splendida esperienza, direi “illuminante”, grandi emozioni nei calici e sui taglieri!