Rivoluzione vegetale: l’Insalata 21,31,41 di Enrico Crippa


L’insalata 21,31,41 di Enrico Crippa

di Albert Sapere

Nella cucina di Enrico Crippa a Piazza Duomo ad Alba comanda l’orto. Di solito i titolisti esagerano, ma in questo caso non c’è verità più grande, perché la cucina di Enrico Crippa è “comandata” dall’orto. Un investimento importante, nell’oramai mitico giardino albese lavorano sei persone, quettro agricoltori e due laureati, oltre a due persone che al ristorante si occupano esclusivamente delle verdure.

Se dovessi provare ad usare un solo termine che rappresenta questa cucina oggi, userei “ascetica”, una parola che in origine significava esercizio, allenamento di un atleta per il superamento di una prova (dal greco antico askesis) “ascesi”. Perché ogni giorno può essere diverso da un altro, dipende dall’orto da quello che è pronto da quello che non è pronto, in pratica ogni giorno c’è uno scenario diverso e l’esercizio, la tecnica e l’abnegazione, sono fondamentali per dare forma e gusto alla proposta.

Un fiorellino, un ciuffo d’erba si trova oramai quasi ovunque nella ristorazione italiana a tutti i livelli, spesso una moda, nella maggior parte dei casi inutile a mio avviso, perché è giusto usarli quando apportano sensazioni al piatto, non solo per estetica, questo avviene in pochi casi. Nel regno di Enrico Crippa invece tutto questo ragionamento è diverso, il tutto si ribalta, come vedere la stessa foto da un’altra prospettiva o con una luce diversa. I fiori, le erbe, gli ortaggi non sono orpelli decorativi ma protagonisti del piatto.

Sull’insalata 21, 31, 41 è stato scritto quasi tutto oramai. Il nome non è più aderente perché si parte oramai da 50 ingredienti almeno, durante il mio ultimo pranzo a Piazza Duomo uno dei ragazzi del servizio mi raccontava che lo scorso anno hanno raggiunto 126 ingredienti diversi. Quando Enrico Crippa mise in carta questo piatto i social ebbero una reazione piuttosto violenta, soprattutto nei commenti dei non addetti ai lavori.

Pagare un’insalata 45/50 euro sembrava uno scandalo, per qualcuno anche una presa in giro. L’insalata sarebbe, da definizione, qualcosa di indistinto e verde su cui buttare del sale come condimento. Si tratta, di solito, di un piatto punitivo, per maniaci della dieta e vegetariani incontentabili, nel quale vengono sbattute insieme, con mala grazia, lattuga e pomodori e rare carote, nel migliore dei casi.

I temi, in questo caso, sono due. Molti non coglievano che il concetto di lusso in cucina stava cambiando profondamente. Se nel passato i cibi del lusso erano caviale, magari una costata dalla Nuova Zelanda o un astice bretone, ora le cose erano diverse. Il secondo tema, forse ancora più importante del primo è che passava il concetto che per fare una grande cucina, non si poteva prescindere da una grande agricoltura, controllando e condizionando il processo di produzione in prima persona.

L’insalata di Enrico Crippa potremmo definirla la versione 3.0 del Gargouillou di Michel Bras o del Mesculun du potager du Gros Chesnay e pralin de pistache de Sicilie di Alain Passard, sicuramente molto originale, frutto della personalità dello chef. Ogni boccone è diverso e cambia anche in corsa, masticando sprigiona profumi e sapori cangianti, una lucida follia, che parte con un gusto austero per trovare un’inaspettata golosità finale. Sempre bello mangiarla.