Ristoranti, gli aumenti dei prezzi sono giustificati?
di Marco Contursi
La decisione di condividere con chi mi legge queste considerazioni personali, nasce dopo una chiacchierata pomeridiana con un collega che mi chiama per confrontarsi sulla sua delusione dopo un pranzo domenicale, con costi alti e pietanze insufficienti.
In realtà erano giorni che pensavo a quanto siano aumentati i prezzi, e le due foto, una fatta da me in un bar e l’altra inviatami dal titolare di un locale che mi informava di un aumento delle materie prime, sono solo due delle tante testimonianze, recenti, in tal senso.
Qualche esempio? In Sicilia, dove sono stato per lavoro la settimana scorsa, il cornetto costava 1.5 euro, con punte di 1.8, un primo di terra mediamente 15 euro, un secondo di terra tra i 18 e i 22. E parlo di una trattorie, non di locali blasonati. Una pizza o un panino tra i 7 e i 18, con una media di 12-13.
In Campania i prezzi si mantengono ancora leggermente più bassi ma ci sono segnali di un balzo in avanti, come testimoniano le due foto da me fatte. Basta andare in un bar per scoprire che anche da noi il caffè costa 1.20 e il cornetto almeno lo stesso, con aumenti in alcuni casi ingiustificati come ad esempio quello da me registrato in una pasticceria che frequentavo dove il cornetto è aumentato dal 1 ottobre di ben 40 cent, arrivando a 1.70.
Non sto qui a dire se sono aumenti giustificati o meno. Quello che è certo che gli stipendi medi non sono aumentati. Mentre sono aumentate le spese delle famiglie: affitto casa, sanità e scuola tra le voci che più incidono nel menage familiare.
Che il costo delle materie prime abbia subito aumenti, che il costo del lavoro incida troppo, è cosa nota, come pure che molti di quelli che fanno commercio guardano ai guadagni dei loro padri, senza capire che i soldi che si facevano, ad esempio, nella ristorazione negli anni ’80 e 90’, erano figli di un periodo di benessere economico diverso (una famiglia monoreddito andava avanti con discreta serenità), ma soprattutto della evasione fiscale e della mancanza di versamento di contributi ai dipendenti.
Poi ci sono alcuni aspetti poco chiari, perché se ad esempio allevatori e contadini denunciano un calo del prezzo a loro corrisposto di latte e verdure, perché i prezzi al consumatore finale aumentano?
Quello che si deve capire è che sempre più persone rinunciano a cenare fuori a causa del caro prezzi. Io ad esempio, in una settimana fuori per lavoro, solo una sera ho cenato fuori per non spendere gran parte di quello che guadagnavo in cibo. Sicuramente se la prima cena mi fosse costata 30 euro invece che 50, avrei fatto almeno un’altra uscita.
Che ci siano ancora tantissime persone con i soldi è vero, così pure che esistono tanti locali sempre pieni, ma questo calo degli affari mi è stato prospettato da più di un ristoratore e la motivazione è questa: se si aumentano i prezzi, diminuiscono le persone che possono permetterseli.
Ripeto, non è un voler buttare la croce solo sui ristoratori ma una constatazione di fatto: se mangiare fuori costa di più, meno persone mangeranno fuori.
Leggevo di un professore di ruolo campano che con la cattedra a Bologna non può permettersi con lo stipendio neanche l’affitto di un monolocale. Tutto questo è semplicemente assurdo e chi governa dovrebbe trovare il modo di ridurre il costo degli affitti e parimenti, adeguare gli stipendi al caro vita, dando al contempo agli imprenditori la possibilità di creare lavoro, diminuendo le tasse e i vari oneri fiscali. E invece, da sempre, chi governa mette solo nuove tasse e gabelle, offrendo in cambio servizi pessimi (leggi “sanità”) che costringono il cittadino a nuove spese.
Il risultato che il potere di acquisto di uno stipendio medio di oggi è di gran lunga inferiore a quello di 20-30 anni fa.
Quindi se si continuano ad aumentare i prezzi di panini, pizze e primi piatti, ben presto gran parte dei locali si svuoteranno o subiranno un drastico calo della clientela.
Già oggi a pranzo si vedono ristoranti vuoti e bar, self service, e finanche reparti di gastronomia dei supermercati pieni di impiegati ed operai alla ricerca di un pasto che non incida eccessivamente sulle loro finanze.
Soluzione? Nell’attesa di provvedimenti del Governo, a cui le varie associazioni di categorie dovrebbero in modo sollecito chiedere risposte concrete, gli imprenditori nel campo del food dovrebbero aumentare i prezzi solo se strettamente necessario, sempre tenendo presente gli stipendi medi e il loro potere di acquisto. E non le loro aspettative di guadagno, magari guardando chi li ha preceduti nello stesso mestiere.
Un esempio su tutti. Un amico, dirigente aziendale con 20 anni di anzianità, mi diceva che prende circa 2mila euro al mese, e tolto il mutuo, le bollette, qualche spesa medica e di scuola del figlio, restano i soldi per un paio di pizze fuori o una cena al mese. Ma se i prezzi di queste cose aumenteranno, e non aumenterà lo stipendio, secondo Voi a cosa rinuncerà?
A curarsi, a mandare il figlio a scuola o alla pizza con gli amici?
p.s. ovviamente il discorso vale per tutte le categorie, a maggior ragione per quelle necessarie come i medici, se le visite continuano ad aumentare di costo, fra poco moltissimi rinunceranno a curarsi. Basta vedere i denti di molti per rendersi conto che non vanno dal dentista da troppo tempo ma se una semplice seduta di igiene orale oggi costa tranquillamente 80-100 euro a fronte dei 40-50 euro di 2-3 anni fa. Che significa 400 euro per una famiglia di 4 persone invece che 200. Non aggiungo altro. Il mio plauso a quei medici che hanno mantenuto inalterati i costi delle loro parcelle, dimostrando buon cuore.
tutto tragicamente vero, poi vai in un ristorante / trattoria fuori mano e scopri che lì magicamente la materia prima costa la metà ed i prezzi sono “umani “