Ristorante Villa Maiella della famiglia Tinari, cucina e cantina da sballo
di Raffaele Mosca
La cucina golosa e concreta di Angelo, il servizio caloroso di Pascal e Peppino, l’ambiente intimo, rasserenante di una casa di montagna che offre scorci mozzafiato su tutta la vallata fino alle sponde adriatiche.
È la combinazione vincente dello stellato non stellato d’Abruzzo: il posto dove manderei a studiare tutti gli chef esordienti (e non) che pensano che, per fare alta cucina, basta ordinare una confezione di Gamberi di Mazara, un piccione e una pluma di maialino iberico dal catalogo di una distribuzione di lusso. Un’insegna che ha scritto in pochi anni un pezzo di storia della ristorazione abruzzese, portata alle luci della ribalta da due ragazzi che hanno fatto la gavetta nei templi mondiali dell’haute cuisine e che, al momento del ritorno in patria, hanno deciso di puntare sul prodotto e non sulla tecnica, mettendo su un allevamento di suino nero e cercando i fornitori nell’arco di una trentina di chilometri dalla base.
Villa Maiella è il gioiello della famiglia Tinari nel paese degli artigiani del ferro e del Trionfo della Morte dannunziano: una vecchia trattoria di famiglia poco fuori dal centro abitato trasformata in uno dei pochi ristoranti insigniti del macaron della Rossa che fanno forza sulla tradizione senza rivisitazioni strampalate. Entrato nella rosa dei preferiti delle guide nostrane, forte anche della nona posizione in 50 Top Italy 2020, ha cambiato look dalla mia ultima visita ante-pandemia ed è diventato un po’ più patinato, senza, però, perdere quell’atmosfera calda e rassicurante, da locanda pedemontana, che lo rende perfetto per dire finalmente addio a quest’estate lunghissima e cominciare l’autunno con il piede giusto.
La notizia spiazzante all’arrivo è che Arcangelo Tinari, allievo di Michel Bras e di Mamma Angela, deus ex machina della vecchia fiaschetteria e maestra della pasta fresca, ha abolito la carta al momento della riapertura post-lockdown. Adesso i best seller del vecchio menu sono raggruppati nel “Menu del Territorio” (85 meglio); tutto il resto figura, invece, ne “la nostra proposta”: una sequenza di coccole e scossoni che sazia pancia e cervello.
Il menu “La Nostra proposta” di Villa Maiella
Cominciamo la nostra proposta con un entree pescetariano, unico excursus leggero e garbatamente modaiolo in un percorso di sostanza e d’abbondanza. Stuzzicano il palato i giochi acidi della spugna e della rapa rossa, ma il boccone forte è la cialda alla zafferano di Navelli con ricotta: un’esplosione di sapori abruzzesi al 200%.
Il primo terzetto sembra quasi riassumere il paesaggio che si ammira dalla terrazza: allevamenti alle falde della Majella, mare in lontananza, orto tra i vigneti della fascia collinare. Si parte dalla golosità molto classica e confortante di una trippa fritta di straordinaria leggerezza con crema di fagioli e una polvere di peperone dolce di Altino che smorza i grassi e allunga la persistenza aromatica; si prosegue con la deflagrazione dolce-acida del pomodoro a pera con pesto di basilico e vinaigrette di pomodoro – che ha qualche assonanza con l’aspretto e il pomodoro sul cocomero di Niko Romito – e si chiude con gambero e carota, forse la portata meno entusiasmante della sequenza, ma sempre basata su di una materia naturalmente orgasmica e poco manipolata.
Andiamo avanti con un piatto simbolo di Arcangelo che é nel menu dall’anno della stella : come un carpaccio, vitello marinato al caffè e cumino montano. Utilizzo delle spezie magistrale, carne di rara morbidezza. Varrebbe la pena di fare il bis, ma arrivano i salumi di produzione propria a rincarare la dose, seguiti a ruota da un godereccio, sostanzioso steccherino in tempura.
Tanto territorio e zero omologazione anche nei due primi. Farro e porcini dispensa sapori autunnali decisi, in perfetta sintonia con la giornata un po’ uggiosa. Dei ravioli allo zafferano di Navelli non basterebbe una porzione da mezzo chilo: la sfoglia è sottilissima, leggera, le lenticchie di Caprafico tostate aggiungono un tocco croccante che dà la terza dimensione.
Perfetta la cottura delle carni: rosate, ma non crude (come da consuetudine degli chef di cui sopra). Oltre all’anatra confit di scuola squisitamente francese prevista nel menu, proviamo anche un agnello al timo spiazzante, con un guizzo balsamico e il dolce-amaro della crema di mais che smorzano il sapore forte, verace dell’animale.
Pre-dessert a base vegetale e poi un ultimo boccone che da solo giustificherebbe una seconda stella: patate e porcini. Il palato è ingannato in prima battuta dal sapore terragno dei funghi che fa pensare ad un piatto salato; la percezione dello zucchero arriva dopo, con l’abbraccio della crema e il croccante del cannolo che ti riportano sulla strada giusta e creano un equilibrio funambolico, stupefacente. Tra i migliori dolci provati dal sottoscritto negli ultimi tempi.
Sempre impeccabile e particolarmente affettuoso il servizio curato da papà Peppino e da Pascal, che ha lavorato all’Auberge de l’Il e al Pescatore Santini prima di tornare a casa. Già premiata da 50 Top Italy, la carta dei vini offre un assortimento considerevole di etichette vecchie e giovani, spesso difficili da trovare in giro, a prezzi più che onesti. Questa volta, però, opto per l’abbinamento al calice (105 a cranio) e rimango soddisfatto. Menzione d’onore per la scorrevole, succosissima Tintilia Beat di Vinica abbinata al pomodoro a pera e per il Trebbiano Fonte Canale di Tiberio, etichetta di punta di una produttrice eccezionale che regge tranquillamente il confronto con Grand Cru di Borgogna e affini. Sfizioso anche il Pergolone di Dora Sarchese, vino liquoroso prodotto da un autoctono semi-estinto dell’agro ortonese.
CONCLUSIONI
L’unica conclusione che posso da trarre da questo pranzo è che Villa Maiella è una tappa obbligatoria per chi cerca la sostanza e non la forma, l’esaltazione del prodotto piuttosto che l’esercizio di stile. La cucina è in costante evoluzione, sempre più raffinata, ma rimane concreta, verace, lontana dai cliché e abruzzese al 1000%; la gestione della sala è impeccabile e anche la location – fresca di restyling – mi sembra finalmente in linea con tutto il resto. Detto questo, la sensazione è che il potenziale non sia ancora del tutto espresso: i Tinari sono giovani e hanno le carte in regola per conquistare, nel lungo raggio, un posto nell’olimpo delle grandi famiglie della ristorazione italiana al fianco di Santini, Cerea, Iaccarino e compagnia bella..
Via Sette Dolori, 30, 66016 Guardiagrele CH