Il Tino a Fiumicino e il mare aperto di Lele Usai
IL TINO
Via Monte Cadria, 127
Tel. 06 562 2778
Aperto solo la sera
Chiuso il martedì
www.ristoranteiltino.com
di Virginia Di Falco
Lele Usai lo abbiamo conosciuto ormai dieci anni fa quando il suo Tino non era solo suo (lavorava con Claudio Bronzi, la nostra prima recensione qui e poi, ancora, qui) e si trovava ad Ostia. Poi, nel 2016, poco dopo il traguardo della stella Michelin, l’apertura del Nautilus a Fiumicino, un grande progetto di ristorazione e formazione che lo ha visto unico protagonista, dai 150 coperti del ristorante Quarantunododici a bordo fiume, alla scuola di cucina, dal banco della prima colazione ai tavoli più esclusivi del Tino (dell’approdo a Fiumicino ne avevamo parlato la prima volta qui).
Oggi, dunque, Lele Usai potrebbe considerarsi soddisfatto per i bei risultati raggiunti, ma basta affacciarsi sulle sue pagine professionali di Facebook per capire che nessun traguardo si è mai tradotto in una pausa. Anzi. Lo scorso anno se n’è andato a svolgere uno stage a Marsiglia dal collega tristellato Gérald Passedat, che, come lui, condivide la vita sul mare e per il mare. E che considera il Mediterraneo «il suo orto».
Quanto il mare aperto sia il suo mondo, la sua «fatica» di ogni giorno, lo si capisce dall’attaccamento ai tempi e alle regole dell’asta di Fiumicino, che frequenta di persona e che detta, di fatto, la linea del suo menu.
Una piccola sala elegante, con tavoli vestiti semplicemente di bianco, che prendono vita non appena ci si accomoda. Servizio professionale e gentile, e un maitre che governa una carta ampia e profonda con competenza e simpatia.
Di fronte, la grande cucina a vista, con una brigata molto affiatata.
Uno dei due menu degustazione (7 portate a 95 euro, l’altro, 9 portate a 120 euro), non a caso, si chiama Pima boa (ma si può anche scegliere di mangiare alla carta) e porta a tavola davvero quel che si è pescato a poche miglia dalla vostra sedia.
L’aperitivo di benvenuto è una moderna e lineare declinazione del gambero rosa, dalla bevanda fermentata ai fiori di malva e bisque di gamberi al sushi: diverse piccole anticipazioni di quel filo rosso, di studio rigoroso e passione, che lega lo chef al Giappone.
Quel che trova all’asta di Fiumicino Usai lo compone – verrebbe da dire lo disegna, in questo caso – in un «giardino iodato», forse il suo antipasto più indovinato di sempre: triglie, sgombro, crostacei, molluschi fanno armoniosamente capolino da una piccola ghirlanda di erbe selvatiche. Toni amari piuttosto severi, attenuati solo dal grasso marino.
Deciso, verrebbe da dire coraggioso, l’ormai classico ‘Testa e Cuore’, dove la testa è quella del gambero, che viene servita a parte, piccolo trofeo per i golosi di crudité marine, ma anche quella della coppa di testa del maiale dove si distende il gambero, in una sorta di sandwich non sai se più croccante o peccaminoso.
Si aumenta di intensità, con il gusto della seppia ‘aged’ tra il suo nero, un fondo di maiale e prugna fermentata, accompagnata da una stuzzicante treccina di tarallo.
E i gamberi, croccanti e profumati, li ritroviamo nel ripieno dei bottoncini allo zafferano dedicati ad Antonio Carluccio, lo chef recentemente scomparso che è stato uno dei maestri di Usai. A rendere elegante e intenso il piatto, un brodo dashi di gamberi rosa.
Il risotto allo scorfano, poi, profumato con erbette selvatiche e peperone crusco, dovrebbe non finire mai, proprio come il mare che si porta dentro.
Il trancio di pescato del giorno servito in salsa verde viene affumicato con il finocchietto selvatico direttamente al tavolo.
Prima del dessert, un gelato alle erbe bruciate, su un crumble di rapa rossa. Presentazione moderna e gusto vintage a contrasto per il dessert, un ‘fragole & limone’ molto fresco e leggero.
L’impressione generale è di una cucina pienamente matura, aggiornata, ancora curiosa. Il rigore nella selezione orgogliosamente locale della materia prima si allenta solo nella condivisione di tecniche altre, come nel continuo ricorso ai brodi e alle estrazioni di scuola orientale, in un mare senza chiusure. Solidità, dunque, ma anche eleganza, e una grande capacità di rinnovarsi.