Oriente Stellato: China Tang a Hong Kong
di Guido Barendson
Quasi ti gira la testa, mentre il maitre in giacca bianca, papillon vibrante, pantaloni neri e baffetti da sparviero che sembra un gangster cinematografico degli anni Trenta, ti scorta al tavolo dove ti aspetta il cameriere che si occuperà di te per tutto il pranzo. Al terzo piano di un centro commerciale attraversato ogni giorno da decine di migliaia di persone, ti accomodi in una scatola di cristallo, vetri a specchio, avvolgenti poltroncine ricoperte di un velluto che tiene i tuoi lombi al fresco, mentre ti solletica l’udito l’allegro e sommesso parlottìo di signore e signori presi a gustare pietanze che arrivano da ogni parte dell’immensa Repubblica Popolare di Cina.
Benvenuti a China Tang, tanto compatto quanto famoso ristorante stellato di Hong Kong! Una tappa che non si può saltare, se si viene ad esplorare l’offerta eno-gastronomica dell’ex Colonia Britannica, un’offerta spettacolare, che mette assieme il frutto migliore della globalizzazione. Il concentrato di ricchezza prodotto qui, il denaro che vengono a spendere qui i cinesi della Terra Ferma, nuovi ricchi disposti a tutto pur di provare “chell’ che cost’ ecchiù”, le disponibilità illimitate di un turismo mondiale affluente affascinato dalla storia unica di questo pezzo di Cina: ebbene tutto ciò fa sì che questa possa essere considerata una piattaforma unica per il Gusto.
Vale per i cinesi e vale anche per noi: la forza d’attrazione è quella manifestamente irresistibile che più di vent’anni fa ha fatto trasferire sulle rive del Mar della Cina Umberto Bombana, bergamasco di origine ma abituato da sempre a vivere lontano da casa. L’aria paciosa, il tono rilassato e la barba brizzolata non ingannino: l’uomo è instancabile, e si è allargato costantemente, aprendo prima a Shanghai e poi a Pechino. Andy Warhol e Picasso alle pareti, il suo cuore resta – nonostante la lontananza prolungata – fortemente radicato a casa. Pure i suoi collaboratori più stretti vengono dalle parti nostre.
Così il suo 8 e mezzo – omaggio al Maestro Fellini – si è trasformato in un’allegra macchina da guerra, dove l’accento tradisce orgogliosamente la Lingua di Dante, come le storie dei singoli giocatori, che siano liguri come l’adrenalico general manager Danilo Nicoletti (maritato ad una signora cinese), o salentine come quelle della vulcanica Maria Pranzo (il destino del nome!), nata sommeliera e assurta a gran consulente per il marketing per il cibo e per il vino. Un ruolo che è diventato cruciale nella catena della produzione enogastronomica, al punto da poter condizionare le sorti di una tavola, se mal presentata, ad esempio, o se nell’impossibilità di contare su forniture di qualità.
Che si tratti di un fungo rarissimo o di un pomodoro del piennolo, la qualità oggi si identifica con il Gusto.
E se si vuole restare i migliori, contare su una fornitura d’eccellenza è imprescindibile, tanto più nel momento in cui si è conquistato l’Olimpo della Cucineria e non si ha alcuna intenzione di mollare.
Sia Mr Tang (titolare dello spettacolare omonimo Cinese al Dorchester Hotel di Londra) sia Mr Bombana sfoggiano sulle candide giubbe le tre mitiche Stelle Michelin (l’equivalente dei 19 ventesimi della Guida de l’Espresso) e per non cedere di un millimetro, combattono su due fronti principali: mantenere in maniera inequivocabile il carattere nazionale della propria cucina e contemporaneamente proporre una linea di pietanze che accontenti una clientela sofisticata dalla provenienza più varia. In sintesi: una cucina generalista e inclusiva, ma pur sempre una cucina dall’evidente carattere nazionale.
Il risultato si presenta in tavola con menu a dir poco esplosivi, nei quali la matrice local, presa nel tourbillon della cucina moderna, contaminata e autofertilizzante, si amalgama alle altre, nel matrimonio “del buono e pulito” con ingredienti “no limits”: all’equivoco del Km Zero finalmente non crede più nessuno.
Bevono grandi Champagne e grandi cocktail, i ragazzi seduti al bar, mentre studiano le carte: come resistere al menù dedicato a Sua Maestà il Tartufo Nero ? Meglio grattarlo sui tagliolini fatti in casa, o in emulsione nel risotto ai carciofi appena arrivati da Albenga ? E’ italiano persino il caviale, il Calvisius, che va insidiando vieppiù la tradizionale leadership irano-russa.
Negli anni, la mano di Bombana non ha perso il taglio nostrano, che si tratti dei cavatelli al ragu di crostacei e ricci di mare,.della costoletta alla milanese o del filetto di Fassona piemontese. Ma la supremazia e la sicurezza di sé – oltre agli umori di un pubblico attento – non gli impediscono di servire uno strepitoso maialino iberico o un agnello dei Pirenei, prima di chiudere con una torta caprese da manuale o col soufflé al limoncello.
(Da goloso, mi chiedo sempre dove prendano il mascarpone: ho scoperto che lo fanno persino in Vietnam, vicino alla vecchia Saigon).
Pensando al limoncello che faceva mia madre (scozzese di nascita, napoletana di spirito), mi faccio accompagnare da piccoli assaggi: Fiano di Picariello (2014), l’Etna Rosso di Pietradolce (2014), Brunello Casanova di Neri (2008).
Dal Tre Stelle tricolore (l’unico che porti cotanto blasone fuori dal nostro paese) al Tre Stelle con la Bandiera Rossa (Falce e Martello, poche). In cinese, oltre che incomprensibile, la lista delle vivande pare interminata, e in effetti lo è, considerando l’infinita quantità di piatti, piattini e assaggi. Tre signore molto vestite – forse un po’ troppi gioielli, compresa qualche pietruzza a decorare le unghie, lunghe e appuntite – pasteggiano con Riesling, e mi distraggono dalla scelta: appena 27 appetizer e barbecue, 11 zuppe, 11 pennuti, 15 vegetariani …
Mi soccorre il maitre con un formidabile “Prosecco di Reims” (Ruinart) e nel giro di un paio di coppette appare Lei, la Regina, l’Anatra Laccata alla Pechinese: arriva dalla Cina del Sud, dove ha potuto razzolare fino all’ultimo. Spettacolare. Il trinciante la porta intera e la taglia al tavolo, servendola in tre modi: la pelle, croccante ma abbastanza umida da essere inzuppata nello zucchero, il grasso, da gustare “nature”, e la polpa, da avvolgere in una sottilissima crepe con cipolline novelle e germogli. Accecato dalla bontà, rischio l’overdose, anche stavolta salvato da quello che è diventato il mio maitre. Coi dumpling e il dim sum sarebbe corretto bere tè, ma noi barbaramente ignoriamo il suggerimento. Del resto l’alcol è un viatico supremo quando si è costretti ad affrontare una teoria spaziale di ravioli e di involtini al vapore e fritti, grandi e piccini, che racchiudono una cornucopia di verdure, gamberi, pesciolini, crostacei, funghi, verdure e … ogni dono del creato.
Indimenticabili le chele di granchio ripiene di maiale macinato (sic) e le (24) Tapas: una per tutte, la coscetta di rana saltata con sale piccante !
Ripartendo per Bangkok, sulla strada di casa, mi chiedo se questa sia realmente la prima volta che mangiamo cinese. E ancora: è questa la Vera Cucina Cinese ? Certo, è la stessa domanda che ci si può porre in nazioni dalle grandi tavole, come la Francia e l’Italia, dove la cucina degli ultimi venti-trent’anni ha portato una straordinaria innovazione in termini di tecnica e di attenzione alla purezza e alla salubrità delle materie prime, senza eguali rispetto al passato.
Ma forse il dubbio turberà anche le menti di quanti vengono in esplorazione da noi, tra il Tirolo e la Sardegna. Mi solleva pensare che come a Hong Kong la necessità di rendere appetibili ai palati forestieri le loro specialità non le abbia stravolte, lo stesso facciano i nostri cuochi, dal più umile dei trattori agli Chef protagonisti dello Star System.
A tavola, come a letto, non ci sono inganni.