Ristorante 28 Posti a Milano, il sole di Ischia e l’onda lunga del Noma sui Navigli nella cucina di Marco Ambrosino
Foto di Francesca Marino
E’ un quartiere con un’anima questo, come ha un’anima il delizioso locale in cui mi trovo a cenare. E’ piccolo, ha l’aspetto bohémien che carica di impulsi la memoria, è ricco di oggetti, in legno ed in ferro, c’è un vecchio frigorifero color verde acqua in bella mostra e tante foto di bambini africani.
Varcata la soglia del localei entri a far parte inconsapevolmente di un progetto ricco di umanità; sarà perché i detenuti dell’istituto penitenziario di Bollate hanno preso parte ai lavori edili che sono stati eseguiti qui o forse perché l’associazione Liveinslumus Onlus partner del progetto, ha voluto che tavoli e sedie e arredi in legno fossero costruiti nel laboratorio di falegnameria attivato lì, proprio nel carcere di Bollate, o perché le foto dei bimbi di Nairobi che la Onlus sostiene testimoniano il cuore grande dei proprietari.
Sembrano parte di questo tutto lo chef Marco Ambrosino e la giovane sommelier Ines Romano, entrambi di Procida e di Ischia, entrambi cresciuti nel sole e col mare in faccia eppure senza un’ombra di malinconia sul volto.
Sì, perché la forza di questi due giovani sta nella capacità di non tradire le origini ma trasformarle in carburante e, dalla finestra del Mediterraneo affacciarsi su un nuovo e più moderno approccio con la cucina.
Lo sa bene questo giovane cuoco, partito dal Melograno a Ischia con gli insegnamenti di Libera Iovine e approdato al Noma di Copenaghen, che la vera intuizione sta nell’innovazione, la genialità è profumare ancora di brezza marina in una città come Milano, nell’apprezzare il freddo quando ancora senti il sole di Napoli che ti brucia sulla pelle. Guardare lontano e immaginare prima di altri piatti di grande materia, intrisi di nuovo pur mantenendo una matrice che sa di autentico perché legata a doppio filo con la tradizione.
Nasce così un menù degustazione da applauso e memorabili portate come i carciofi con mandorle, bergamotto e tartufo nero, la Chiajozza ovvero crudo di canocchie, gelato di riccio di mare, olio al pino marittimo, cavolo cappuccio, “sabbia” al nero di seppia e il fegato di ombrina con cipollato e salsa ponsu, piatto da urlo e da standing ovation.
La carta dei vini composta dalla giovane sommelier è originale e estrema, predilige i piccoli produttori e i vignaioli artigiani, offre vini naturali e da agricoltura biodinamica. Non è scontata, non è banale, come l’ambiente circostante e la cucina che viene offerta, che denota abilità, tecnica e studio. L’atmosfera è rilassata e gradevole, forse anche grazie all’ottima musica di sottofondo che accompagna la mia degustazione.
La nuova generazione ha memoria dei luoghi nativi, ma possiede tecnica, conoscenza di materia, e soprattutto riesce ad immaginare abbinamenti di materia assolutamente nuovi grazie al cibo e alle spezie che viaggiano nel mondo come mai era successo nella stopria dell’umanità
I piatti hanno una tensione continua, ma alla fine si punta decisi al piacere, al sapore, realizzato con un continuo equilibrio fra dolce e amaro, sapido e dolce, nelle diverse consistenze. Il ritmo della degustazione è incalzante.
L’anima del lavoro è moderna, ossia vegetale e marinara con grande occhio a spezie, alghe, odori che vengono dal Giappone e dall’America latina
Non mancano giochi con il passato, come nel caso del raviolo del plin radicalmente rivisto per la gioia di un vegano.
Anche il reparto dessert risente dell’orientamento moderno al non dolce.
CONCLUSIONI
La cucina di Marco Ambrosino è ricca di spunti e di personalità. Sicuramente l’acquisizione di tecniche moderne non ha annullato la sua creatività. Al momento è una delle esperienze più originali e interessanti che si possono fare a Milano con un ineguagliabile rapporto tra qualità e prezzo. E se la carta dei vini è decisamente orientata sui vini naturali, il menu laicamente guarda a tutte le materie prime, carne inclusa, senza alcun pregiudizio. Un locale destinato a diventare cult perché esprime una verità, un progetto non solo di cucina ma anche della giusta convivialità che non dimentica cosa succede fuori da questo ambienti caldi e accoglienti.