Ricetta Cult. Il Mallone in Irpinia


Il mallone

A Mallone e pizza di “graurignolo” (mais), in Irpinia, si sono sfamate generazioni di contadini e anche di “signori”, specialmente durante le due guerre e nel periodo che le ha congiunte.Prende il nome dalla forma, appunto, come un grosso mallo di noce, che assumono le rape strizzate dopo la cottura. Un piatto molto economico, ma saporitissimo, dagli ingredienti facili da reperire, ma una ricetta faticosa da realizzare. Ma tant’è, una volta la manodopera valeva quasi zero e quindi  era vantaggioso propendere per tali tipi di preparazione che avessero un’incidenza minima in termini di costo della materia prima.

Pizza di graurignolo

Da non confondere con il Mallone Sciatizzo ben descritto nel libro omonimo pubblicato nel 2004 da Vincenzo De Santis, edizioni  L’Ippogrifo, Il Mallone, o rape e patate, o “foglie e patane” ,è un’antica ricetta tipica Irpina e della prima parte della Valle dell’Irno,  andando verso Salerno. La  differenza  tra le due ricette sta , innanzitutto, nelle verdure adoperate per la preparazione , ma anche nel procedimento successivo. Per lo ” sciatizzo”(dal latino asciare, che significa trovare) si tratta di verdure esclusivamente selvatiche e quindi “asciate” (trovate) nei campi, nei boschi e nelle vigne, lessate e sfritte insieme a “pane tuosto”, aglio e condimento di maiale, con l’aggiunta di patate lesse. Nel nostro caso, invece, il mallone prevede come verdure, esclusivamente le foglie delle rape coltivate, da “Rapa Brassica”, cioè la pianta dalla quale si ricavano  i famosi “friarielli napoletani”corrispondenti  alle cime della pianta. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nell’usanza dell’avellinese, è considerato un primo piatto e si consuma accompagnato dalla pizza di mais o ” pizza ionna”, com’è chiamata in Alta Irpinia. E’ un piatto stagionale. che va a cavallo dell’autunno e dell’inverno, fino a Marzo. Le rape si seminano ad Agosto e senza irrigare, tanto, come dicono i  nostri contadini, ” ‘n ‘acquarella semp’ scappa “, si iniziano a raccogliere in concomitanza con la vendemmia e cioè ad Ottobre.  Infatti il primo piatto che non manca mai sulla tavola dei contadini dell’irpinia in vendemmia , è questo, magari abbinato ad un peperoncino piccante “curato”(messo sott’aceto).

Ingredienti per 4 persone:

– kg 1 di foglie di rapa brassica (rapa catozza)

– gr. 500 di patate

– 2 spicchi d’aglio

– gr.100 di lardo salato o cigoli non pressati

– 1/2 bicchiere di olio di campagna

– gr.200 di farina di mais macinata a “palmento”

– lt 1 di brodo vegetale per la pizza di mais

Preparazione :

Raccogliere le foglie di rapa nel campo avendo cura di prendere la parte più tenera delle foglie, oppure acquistarle da un verdumaio che garantisca l’assenza di pesticidi. Lavarle e lessarle in abbondante acqua, a cottura ultimata, rinfrescarle in acqua fredda per una decina di minuti in modo che perdano il restante sapore amarognolo tipico delle rape.

Rape lesse

Dopo dieci minuti, strizzatele ben bene e formate delle palle da 7/8 cm di diametro, a mo’ di mallo di noce ( da qui mallone). Intanto nell’acqua di cottura delle rape, evitando così di sprecare acqua ed energia per riscaldarla di nuovo, lessate le patate. Quando sono cotte, prima che si raffreddino, togliete la buccia e amalgamatele, impastando con le mani, con le rape precedentemente tagliuzzate in una teglia .

La lavorazione dell'impasto

Il composto

Dopo aver lavorato ben bene l’impasto, adagiatelo in una padella precedentemente preparata con l’olio, l’aglio ed il lardo “arracciato”(battuto). Soffriggete per una decina di minuti a fiamma bassa ed è pronto il mallone. Per la pizza di mais, impastare la farina con il brodo vegetale bollente e riporla in padella con un po’ di olio e friggerla lentamente da ambedue i lati. Una volta si  cuoceva davanti al camino in un recipiente di coccio chiamato “chinco” che i contadini si costruivano da sé con l’argilla delle loro campagne e poi lo cuocevano nel forno che usavano per fare il pane.

Il chinco

L’abbinamento tradizionale al mallone era il famoso fragolino, che allora si  otteneva da  “uva  fragola” (Isabella) vinificate  tranquillamente, senza che ci sia mai stato problema alcuno di metanolo in eccesso.
Fresco,un’acidità tagliente, profumatissimo,appena un po’ mosso, se si potesse bere ancora, i sommeliers  direbbero dalla  “Pai lunga”, da vitigno aromatico.Ma non si può, e allora dobbiamo. emigrare : un Gragnano 2009 Grotta del Sole.

Lello Tornatore

www.tenutamontelaura.it

12 Commenti

  1. fantastico ne ho assaggiata una versione mini di Raffaele Vitale ieri:) lo voglio il 4:)))

  2. otiimo piatto…..riguardo al fragolino credo che si possa reperirlo di contrabbando da qualche contadino che di sicuro se lo fa per se……….oltretutto è un piatto che si trova anche in altre zone della campania ad esempio nel cilento però come contorno.

  3. Caro Lello , come al solito , Ti cimenti sempre , con grande capacità descrittiva , nel portare alla ribalta di questo “seguitissimo” sito enogastronomico , ricette molto economiche , genuine,caratteristiche di quella terra che Ti ha dato i natali , insomma sei un vero “uomo autoctono”.Ma , devo constatare , che tutto ciò non ” fà il paio” con le leggiadri ed esperte mani della “grande” Sig.ra Flavia ,intenta nella lavorazione dell’impasto, per cui ne deduco che , come al solito , “brilli di luce riflessa “.
    Inoltre gradirei sapere , ma solo per “mera curiosità ” , quali sono le origini di quel bellissimo recipiente di coccio , il “chinco ” , che mi ricorda tanto “reperti pompeiani”. sopravissuti all’eruzione vesuviana , ma non al cedimento della recente “domus”!!…………A quando risale il tuo ultimo “escursus pompeiano”?eh eh.Con affetto e stima.

    1. Lungi da me il voler offuscare la bravura del “mio” chef, sono solo il suo”cantore”…quel recipiente di coccio, come tu lo chiami, è la cosa più cara che mi è rimasta della buonanima di mio nonno Raffaele, di cui io sarei, immodestamente, la “sepponta”( e non ho saputo svolgere tale ruolo, visto che comunque se ne è andato) .Senza esagerazione sarà sicuramente datato anni ’50, fatto da lui con le sue mani con l’argilla della sua terra, e cotto nel suo forno per il pane…

  4. Lello, a parte il fatto che sono completamente d’accodo con Marco a proposito della superiorità dei prodotti enogastronomici cilentani, ti devo, comunque, fare sempre i complimenti per come sai sagacemente ed esaustivamente descrivere questi “piatti poveri” della tua terra. Ci metti
    tutto l’animus pugnandi e la tua infinita competenza. A proposito, perché io no il 4? Abbracci.

    1. Cristina, prima che te lo dicano tuo marito e magari tutti i torellesi, la minestra scarole e fagioli è tutt’altra cosa rispetto al mallone…l’unica cosa in comune è la pizza di mais che accompagna ambedue. Ritieniti comunque orgogliosa di aver sposato un irpino… ;-)))))

    2. Enrico,tralascio la prima parte del tuo commento, evidentemente dal solito taglio propagandistico,per ringraziarti dei complimenti e per notificarti che per Slow Red del 4/12/2010 non ci sono preclusioni per alcuno, tantomeno per te : basta prenotare via e-mail, ma soprattutto è tassativamente vietato portarsi dietro intrugli sospetti dal Cilento… ;-)))) Molti abbracci

  5. caro Luciano mi sono emmozionata ,di questo piatto me ne aveva parlato mio marito G iovanni Sgambati,che ha origini irpine nato a Torella dei Lombardi sua nonna lo chiamava ” menesta e pizza gialla ” era cotto rigorosamente nel camino la pizza di mais era accompagnata dalla minestra di scarole e fagioli e diceva ” chell’che mitte truove’…..scusa il mio dialetto ma mi sun de Milan cari saluti alla prossima cucinata autoctona a proposito che ne pensi di accompagnare questo piatto con un Clinto?

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