Report e la pizza napoletana, un anno fa
Un anno fa, il 30 settembre 2014, andava in onda il più selvaggio attacco della storia mai subito dai pizzaioli napoletani.
In una puntata contro la pizza su Report curata da Bernardo Iovene si costruì un servizio che abbinava nell’incoscio collettivo la cottura con il forno a legna ai rischi di cancro e si propagandava l’uso di farine integrali facendo oggettivamente gli interessi di chi su questa formula, pur avendo gran parte della produzione di farina 00, ha costruito la sua immagine in un business miliardario.
Una trasmissione nella quale
1- Furono tagliate le interviste a Guglielmo Vuolo e Massimo Di Porzio secondo una sceneggiatura dalla quale l’intero mondo della pizza napoletana doveva uscire, come è uscito ridicolizzato e incompetente. Nella trasmissione si evitò di dire che i forni delle pizzerie sono autorizzati e verificati per legge e si accostarono a questa pratica alcuni forni di panificazione della provincia che non c’entravano nulla con le pizzerie.
2-Fu presentato come assaggiatore competente un soggetto che non alcun titolo di studio legato all’agroalimentare, giornalista/consulente con un blog commerciale aperto da pochi anni nei quali campeggiano anche banner pubblicitari. Il che, per una trasmissione che si presenta dura e pura sul fronte del moralismo, pone alcune domande a cui nessuno ha dato risposta.
Il tutto su una rete pubblica pagata con i soldi dei contribuenti, compresi quelli della città di Napoli e della Campania presi in giro.
Uno dei momenti più tristi che però non ha fermato la continua espansione della pizza napoletana Italia e nel Mondo.
Una trasmissione che getta dubbi sul metodo usato anche in altri settori da questa trasmissione.
Rivedete la magistrale lezione di Enzo Coccia sulla cottura al forno sul Mattino tv
3 Commenti
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Mi scusi lei ha ragione, ma rimane un fatto incontestabile, le pizze che escono dai forni sono sempre quasi troppo bruciacchiate, anche questo è previsto dallo statuto?
Le pizze fotografate nelle occasioni importanti, naturalmente, non sono un campione valido, tutto quello che viene sfornato al riparo delle telecamere forse va’ preso in considerazione…forse!
Cordiali Saluti
Giorgia
C’è gente che si preoccupa più per una pizza mangiata di tanto in tanto.piuttosto dei fumi mefitici delle auto diesel tedesche della nota marca.
Invece c’è una cosa che considero quantomeno indecente ma che nessuno mai fa notare, nonostante la puntata di report e la reazione quasi isterica di questo blog: parlo del fatto che le migliori pizzerie napoletane e campane, quelle citate in qualunque guida – vista l’indubbia bravura nell’esecuzione – propongono una margherita “normale” a 3 – 5€ , mentre per una margherita “gourmet” (pomodorino del piennolo o san marzano, bufala o fior di latte di agerola, olio evo) si spendono dai 7 ai 12€; cioè spesso più del doppio di una margherita normale.
Considerando, dunque, che i costi di gestione e produzione sono gli stessi e che la differenza nel piatto si aggirerebbe intorno ai 0,80 – 1,20€, quello che si paga è unicamente marketing (e poi con cosa sarebbe fatta la margherita “normale”?).
Gli stessi ristoratori poi li troviamo in prima linea (a parole) “per le eccellenze campane”, anzi spesso ne fanno la loro “filosofia di ristorazione”.
Fin quando non ci sarà la volontà precisa da parte delle stesse pizzerie di “scoraggiare” il cliente a prendere la margherita normale, incentivandolo a consumarne una “gourmet” – magari aumentando il prezzo di una e diminuendo quello dell’altra – favorendo anche grandissime ricadute positive sul mercato, ben vengano puntate di report di questo genere (anche se dubito che ciò accadrà mai: come faranno ad avere la fila fino a fuori nei week-end se fanno la margherita a più di 5€?).