Radici


Via Riviera di Chiaia, 268
Tel. 081.2481100
www.ristoranteradici.it
Aperto la sera, chiuso la domenica.
Ferie in agosto

I napoletani sono un po’ come i cinesi, poco aperti alle novità gastronomiche quando si tratta di fare sul serio. Cioé quando si decide di mangiare davvero o c’è qualche ricorrenza da festeggiare. Non a caso qui il fast food non ha sfondato. Questo atteggiamento è molto diverso rispetto a quello delle altre città con una tradizione che gli arriva dalle campagne di cui erano parte integrante sino a due generazione fa, oppure pronte a ogni moda perchè prive di storia gastronomica alle spalle come Milano: qui gli chef amano parlare di prodotti, non di territori, il caviale o la colatura di alici hanno poco da raccontare e in fondo non importa neanche da dove vengono, contano i risultati nel piatto. Ma torniamo a Napoli, che per questo suo atteggiamento, non è riuscita nel suo complesso a fare quello che invece i suoi artisti hanno realizzato: combinare la tradizione e il dialetto con la domanda moderna. I nuovi musicisti della gastronomia, e sono tanti, abitano quasi tutti fuori la città, nella Terra delle Sirene, nel Cilento e in Irpinia: qui i sapori della tradizione e la ricerca si incrociano per rispondere alla richiesta del pubblico più aggiornato, legato ai sapori ma curioso di provarli in maniera più leggera e aggiornata, magari concedendosi qualche gioco ogni tanto. In città, invece, i tempietti della gastronomia sono rimasti fedeli alle esecuzioni per il pubblico cittadino che chiedel oro soprattutto questo, un po’, per tornare al paragone di prima, comes uccede agli amanti della musica classica e della stessa melodia partenopea. Al momento clou della festa, insomma, arrivano il ragù e lagenovese come si canta <o vita mia> per esprimere un momento di gioia collettivo coinvolgente e corale. Per questo motivo Napoli è la città italiana dove si mangia meglio quando sei sotto i dieci euro, ma che fatica a ridisegnare la propria identità quando si cercano emozioni nuove in cucina: le eccezioni sono poche, pochissime. E poi ci sono i turisti tornati in massa ormai da oltre dieci anni: andreste in Cina senza la curiosità di mangiare un involtino primavera? No? Così a Napoli sono d’obbligo la pizza, la sfogliatella, lo spaghetto ai frutti di mare. Insomma, diciamocela tutta, i motivi alla base della carenza di una ristorazione moderna e aggiornata sono moltissimi, il principale èl’autoreferenzialità della città nella quale sono coinvolti tutti i ceti sociali e da cui non si riesce ad uscire. In effetti, i locali di avanguardia negli ultimi anni sono stati due, Il Pozzo gestito dai fratelli Lucio e Antonio Tubelli alle spalle di Chiaja negli anni ’90 e Opera voluto da Enzo Caruso, ex governatore di Slow Food vicino piazza San Domenico Maggiore. Un po’ pochi, nella piccola Cetara ci sono state più novità nello stesso periodo.

Ora finalmente qualcosa si muove, come dimostra Radici a Chiaja, a due passi da Marinella. Il discorso è sempre il solito per chi gira in Campania, ma nuovo a Napoli: arredamento sobrio, carta dei vini pienadi curiosità e aggiornata, hotellerie pensata, servizio adeguato, cucina di territorio ma rivisitata con discrezione e senza barocchismi. Agostino Cacace in sala e lo chef Carlo Spina non sono gli ultimi arrivati: alle spalle hanno l’esperienza dell’Hotel Vesuvio e sono ben coscienti di quanto sia cambiata la situazione negli ultimi tempi in regione. Basta pensare al fatto che hanno un sito degno di questo nome a differenza del 99,9% dei ristoranti di città! Ma non dobbiamo essere accondiscendenti per il semplice fatto che si tratta dei primi missionari del popolo slow sbarcati in Terra Santa: la verità è che i piatti hanno una loro precisa personalità. A cominciare dai crudi,ormai presenti ovunque, ma qui ben pensati come le tartare di tonno con avocado, il carpaccio di pezzogna leggermente marinato, il conetto croccante ripieno di mousse al baccalà. Poi è tutto un gioco sui sapori di territorio: l’insalatina di polpo con patate, fagiolini, farro e nido di sedano verde, la zuppetta di seppioline su crema di patate e porri con tempura di carciofi, i bocconcini di fior di zucca croccanti ripieni di ricotta su spuma di peperoni dolci, i paccheri con polpa di scorfano, vongole veraci e pesto di zucchine, gli gnocchi di patate con baccalà, julienne di limoni e timo, le linguine di Gragnano con moscardini, cozze e peperoncini verdi, il risotto Carnaroli con tartufi di mare, fiori di zucca e calamari. Bene i secondi come la millefoglie di spigola con pane saporito, asparagi e insalata di pomodorini, il turbante di pesce bandiera ripieno di melenzane su guazzetto di mare al basilico e i raviolini morbidi ripieni di ricottas u salsa di pomodorini freschi e melenzane. C’è anche carne per i nostalgici degli anni ’60, quelli del <filetto al pepe verde sul lungomare di Montecarlo>, ma io consiglio assolutamente di evitarla: a Napoli hanno fatto sempre solo testo le frattaglie dell’animale, manca assolutamente la coscienza dell’esistenza della frollatura come a Parma dell’olio d’oliva. La competenza acquisita con il cliente del grande albergo torna nella scelta del whiskey e dei distillati, sempre presente in città. Servizio competente, cordiale, svelto. Insomma, c’è finalmente musica nuova anche in città. Era ora.