Raboso del Piave: l’evoluzione del “vin da viajo” della Serenissima
di Adele Elisabetta Granieri
Una zona di produzione racchiusa entro i confini geografici di tre province: Treviso, Venezia e, per una piccola parte, Pordenone. Una distesa pianeggiante, vocata alla viticoltura da secoli, scende dai piedi delle Dolomiti alla foce del fiume Piave, per allargarsi a est verso l’estremo confine orientale della provincia di Venezia, naturalmente definito dal fiume Tagliamento, e poi giù lungo l’entroterra veneziano, inoltrandosi nella laguna di Venezia e fino a lambire le coste che affacciano sul Mar Adriatico.
Un tempo chiamato “Rabbioso” o “vino del Piave”, il Raboso del Piave è un vitigno autoctono Veneto a bacca rossa dalla storia millenaria, probabilmente citato con il nome di Picina da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (23-79 d.C.), con riferimento proprio al territorio del Piave.
Nella Serenissima Repubblica di Venezia del XVII secolo, come racconta Jacopo Agostinetti, il “vin moro” era consumato in grandi quantità. Proprio per questa sua particolare acidità, il Raboso fu l’unico vino utilizzato per i viaggi verso l’Oriente dalla Repubblica di Venezia (697-1797), la “Serenissima” che per 500 anni ha dominato i commerci del Mediterraneo. Da questo l’appellativo “vin da viajo” (vino da viaggio).
Il suo nome evoca la rabbia, la collera ed è probabilmente dovuto al sapore spigoloso del frutto.
Il sistema di allevamento tradizionale è quello della bellussera, forma di allevamento funzionale alle esigenze della vigna in pianura, creata dai fratelli Bellussi verso la fine del XIX secolo, che prevede quattro piante di vite radialmente disposte intorno a un gelso o intorno a un palo morto.
Dimostra il suo carattere già in vigneto avendo un ciclo vegetativo molto lungo – è la prima varietà a germogliare e l’ultima essere raccolta – e la vinificazione ottimale richiede un’attenta macerazione delle bucce, per ottenere un vino di grande corpo, aspro, particolarmente tannico da giovane. Il difficile Raboso assume una nuova veste a cominciare dagli anni 90, quando un gruppo di vignaioli ha deciso di scommettere sulla varietà, regalandole una seconda giovinezza e un sapore completamente nuovo. L’evoluzione delle tecniche di vinificazione prevede il ricorso all’ appassimento di percentuale delle uve che va dal 15% al 30%, che consente di smussare gli angoli del ruggente vitigno. La consacrazione ufficiale avviene nel 2010 con la creazione della Docg Malanotte del Piave.
Il Consorzio Vini di Venezia ha presentato tre etichette in degustazione, per rappresentare la tipologia:
Castello di Roncade – Raboso dell’Arnasa Raboso Doc Piave 2017: Un calice di un bel rosso rubino vivace, dai profumi di amarena, erbe officinali e fava di cacao, dal sorso pieno, strutturato, di viva freschezza e dai tannini ben presenti, ma abbastanza levigati.
Cantina Sandre – Campodipietra Raboso Doc Piave 2014: Leggere sfumature granato rivelano qualche anno in più di età. I profumi richiamano la confettura di prugne e le more mature e si arricchiscono di note di polvere di caffè e stecca di cannella. Il sorso è avvolgente e rotondo, rinvigorito dai tannini e dalla freschezza.
Cantina di Rechsteiner – Dominicale Rosso Malanotte Del Piave Docg 2013 : Il colore lascia presagire un’evoluzione più importante. Si apre al naso con profumi di marasca, fiori appassiti e frutti di bosco disidratati, con richiami di cuoio, tabacco da pipa, radice di liquirizia e cacao di sottofondo. Il sorso e intenso, in equilibrio tra la morbidezza dell’appassimento e le note dure del vitigno.