Quintodecimo, l’azienda di Moio
Il sogno di Laura e Luigi
Il vino è davvero un grande prodotto. Nonostante lo smarchettamento degli ultimi anni, l’impazzimento da parvenue che ha coinvolto l’Italietta berlusconiana così simile nelle pose, tra il velleitarismo comico e il tragico decadimento dei valori, a quella mussoliniana, nonostante il netto prevalere dell’aspetto commerciale, è capace di regalare ancora momenti di cultura, cioé di agricoltura vera. Qui è il suo fascino. Capita così una mattina a Torrecuso insieme ai nuovi produttori nella manifestazione organizzata da Libero Rillo, uno dei giovani più validi impegnati in Campania, di provare la nuova versione di un grande rosso, l’Impeto di Torre del Pagus. Poi di fare una telefonata al volo a Luigi, un invito gettato lì e una corsa in auto tra le piantagioni di tabacco coltivate lungo la strada che porta da Benevento a Taurasi e poi a Mirabella: lì mi aspettano il piccolo Michelino impegnato a giocare tra i filari, Laura e Luigi per la visita della nuova cantina, la casa dove finalmente, dopo cinque anni di sacrifici, andranno ad abitare, a lavorare e a studiare. L’ennesima cantina che vedo nascere in undici anni di girovagare nel Sud, ancora non riesco a capire gli alchimisti modaioli che giudicano un vino comprandolo in enoteca o acquisendo campioni, come se il bicchiere fosse un prodotto chimico da analizzare e non avesse storie e passioni, astuzie e ingenuità, amarezze e soddisfazioni da raccontare. Quando tornerà di moda il gin tonic passeranno a quello pur di essere qualcosa.
Cari amici: per andare alle origini della rinascita del vino campano bisogna andare vicino gli scavi dell’antica Eclanum costruita dai romani sull’Appia, la più importante autostrada dell’antichità che collegava la capitale dell’impero all’Oriente per 550 chilometri lastricati di pietre con tanto di marciapiede. Qui dunque Luigi Moio, figlio di Michele da Mondragone dove ha resuscitato il Falerno, si è trasferito per vivere, studiare e lavorare, quasi a mezza strada fra l’Università di Foggia dove è ordinario e Napoli, non lontano da Foglianise dove è impegnato nella Cantina del Taburno, a due passi da Taurasi, vicino il Vulture dove lavora con Gerardo Giuratrabocchetti. Dicevamo le origini della rinascita del vino campano perchè Luigi per la prima volta ha potuto fare tutto di testa sua senza filtri, dalla scelta delle mattonelle bianche per il settore di lavorazione dei bianchi a quelle color vinaccia per l’aglianico. Un progetto maniacale, puntuale e puntiglioso che ha in Laura e il piccolo Michele la vera anima ispiratrice: la chioma del vigneto ricopre la collina ben esposta con un colpo d’occhio spettacolare. Vigneto? Meglio parlare di giardino, con ogni pianta curata nel minimo dettaglio per ottenere il frutto migliore. Il percorso in cantina è un sorta di cineseria dove nulla è lasciato al caso, dai varchi dove sono custodite le barrique per la malolattica sino al punto finale della degustazione e il negozietto per l’acquisto con tanto di spazio destinato esclusivamente al lavaggio dei bicchieri. Ovviamente c’è la stanza per provare i bianchi e quella per i rossi. Ma non finisce qui: la cantina è un bed and wine con cinque stanze destinate all’accoglienza alla prima colazione. Un progetto compiuto, insomma, maturato sui libri di scuola, cresciuto nella esperienza francese a Bordeaux che per Moio è stata decisiva nella definizione della sua idea di cantina, tarato sul sole della Campania e le qualità dell’aglianico e del suo territorio. Un progetto di cui parliamo trascorrendo gran parte del pomeriggio piovoso provando prima il Terre d’Eclano in botte, poi riscaldandoci col Cenito di Luigi Maffini nella cucina provvisoria dell’abitazione in fitto.
Le origini dunque, perché questo è l’archetipo a cui dovrebbero essere adeguati tutti i vigneti e le aziende di queste dimensioni nel Mezzogiorno secondo Luigi: alta qualità, diretto rapporto tra la frutta e il momento della lavorazione, spettacolarizzazione per placare la sete dei visitatori. Di tutto questo in Campania non c’era traccia sino al suo arrivo: le cantine erano ermeticamente chiuse agli estranei, c’era anzi la gelosia tra i produttori che vivevano il loro prodotto come segreto industriale da non rivelare a nessuno. Poi il fenomeno vitivinicolo è esploso anche al Sud, ma solo pochi hanno capito che oltre a produrre bene era necessario vendere il territorio e dunque attrezzare la cantina e la vigna anche per le visite degli appassionati e dei turisti. Il motivo è semplice, la cultura prevalente nel Mezzogiorno è legata al momento produttivo mentre quello della commercializzazione ha sempre riguardato solo Napoli. La grande metropoli del Sud si è stata però superata in pochi decenni dal processo di globalizzazione e da mercato avanzato in Italia, dove hanno fatto fortuna decine di prodotti dell’agroalimentare e dell’artigianato, si è trovata ad essere imporvvisamente arretrata folkloristica. Oggi il commercio all’ombra del Vesuvio somiglia di più a quello di un suq arabo che ai modelli imposti in Europa, America e Asia. Di questo ritardo maturato dal mercato principale di riferimento hanno sofferto i produttori meridionali che non hanno avuto modelli di comportamento: solo pochi, pochissimi, hanno capito che potevano vendere in ogni parte del mondo professionalizzando il loro rapporto con il mercato.Luigi Moio ha dunque avuto un ruolo centrale non solo per l’aspetto enologico con l’introduzione delle barrique, ma anche nello sviluppo dell’idea di vendita in stile francese.
Ricordo quando a Taurasi, nel 2003, per dire queste cose elementari in un convegno, nel quale si segnalavano ritardi puntualmente confermati dai fatti, Luigi fu insultato in pubblico senza possibilità di replica da un esponente istituzionale della politica locale che così facendo pensava di tenere alta la bandiera dell’orgoglio irpino. Era invece l’esempio della stupidità di alcuni politici. Pensava, questo personaggio inutile, ai voti e agli applausi di una serata estiva invece che allo sviluppo del suo territorio al quale avrebbe dovuto provvedere per la carica che ricopriva. La conferma della metastasi politica dalla quale le comunità del Sud non riescono a liberarsi, la più grande e solida eredità di governo dei Borbone. Di lui e di altri come lui non dico la storia, ma la cronaca già non si occupa più, mentre quello che ha costruito Luigi in Campania e in Irpinia resterà per sempre, almeno sino a quando la gente berrà un bicchiere di Aglianico, di Fiano e di Greco.
Come arrivare
L’uscita autostradale per chi viene da Roma-Napoli è Benevento, imboccare la direzione per Taurasi e Mirabella. Da Bari è preferibile uscire a Grottaminarda.
Tel. e fax 0825.449321. www.quintodecimo.it. [email protected]. Enologo: Luigi Moio. Ettari: 5 di proprietà.Bottiglie prodotte: 50.000. Vitigni: aglianico