Quell’irresistibile voglia di Etna, una nuova svolta con Donnafugata, Firriato, Tenute Mannino, Pietradolce e Tenuta Bastonaca
di Alma Torretta
E’ circa solo l’1% della produzione vinicola della Sicilia, ma se pensi all’isola ti viene in mente sempre di più innanzitutto l’Etna ed i suoi vitigni esclusivi, carricante e nerello mascalese, e la fama di eleganza e longevità dei suoi vini. Pur resistendo il successo del Nero d’Avola e del più recente Grillo, sono oramai da diversi anni i vini dell’Etna l’oggetto del desiderio sia per i produttori che per i consumatori.
E i protagonisti di questo Rinascimento della viticoltura dell’Etna, dopo il momento d’oro ottocentesco, stanno cambiando e, come è successo a Pantelleria decenni fa, l’arrivo di una azienda fortemente orientata alla comunicazione come Donnafugata, con i suoi regolari press tour per la stampa nazionale ed estera, e con la sua capacità di fare sistema con altre realtà d’eccellenza sul territorio, sta segnando un salto di qualità nel percorso di rinascita, però non dimentichiamolo, già portato avanti anche da altri: Murgo, Barone di Villagrande, Benanti, Passopisciaro (Andrea Franchetti), Tenuta della Terre Nere (Marc de Grazia), solo per citarne alcuni che hanno determinato la storia moderna della viticoltura etnea. Ho trascorso sull’Etna soltanto qualche giorno e visitato qualche azienda, molte altre ne avrei voluto visitare. E con qualche azienda ho parlato delle loro produzioni sull’Etna in tutt’altra parte della Sicilia, perché praticamente tutte le più importanti cantine siciliane oggi producono vini sul vulcano.
Donnafugata, il tocco magico in una terra magica, sull’Etna come a Pantelleria.
Giacomo Rallo, il fondatore di Donnafugata, già voleva investire sull’Etna negli anni ‘70 perché si recava spesso nel catanese avendo anche interessi nella commercializzazione degli agrumi, ne aveva intuito le potenzialità. “Ma il vulcano ha coperto di lava il terreno che voleva acquistare – raccontano i figli Antonio e José Rallo – ed è cominciata così invece l’avventura di Pantelleria. Siamo tornati per comprare nella Sicilia orientale, sia sull”Etna che ad Acate nel Ragusano, soltanto nel 2016”. Hanno cercato l’occasione giusta, è arrivata con l’ex sindaco di Randazzo Ernesto Del Campo che con altri soci aveva già una cantina e una ventina di ettari in produzione tra Randazzo e Castiglione di Sicilia, sul versante nord a circa 750 metri slm., nella zona considerata più vocata ed è iniziata l’acquisizione con pazienza di altri vigneti, ettaro dopo ettaro, come fanno tutti, per incrementare la produzione e renderla economicamente più sostenibile.
Il luogo è magico, abitato da molte vecchie vigne ad alberello prefillossera coltivate in anfiteatri naturali terrazzati circondati da sciare di lava e boschetti un po’ misteriosi. Donnafugata ti porta a vedere le vecchie vigne “restaurate” ed il vigneto “perpetuo”, magari anche altri li hanno, ma pochi sanno valorizzarli come loro. Percorrendo alcuni vecchi camminamenti in pietra tra le vigne, le rasole, che servivano per non sporcarsi troppo le scarpe di sabbia vulcanica, comprendi appieno l’unicità del contesto che poi ritrovi nei vini, tutti di ottima fattura come ti aspetti da Donnafugata, e in cui i Rallo hanno aggiunto magia a magia: le etichette d’autore firmate da Stefano Vitale che presentano, declinata in diverse versioni, la “dea Vulcano”, perché “l’Etna è donna” sottolinea Josè Rallo, affacciata sul Mediterraneo con lunghe, sensuali, volute di fumo nel vento.
Il Parco Radicepura a Giarre dei proprietari della cantina Piatrodolce e il vigneto “Futuro anteriore”
Ma Donnafugata è bravissima anche a tessere collegamenti e così alle falde dell’Etna ha portato anche il primo vigneto vulcanico che ha imparato a valorizzare, quello di Pantelleria, grazie ad un accordo con il vicino parco botanico di Radicepura a Giarre dove sono stati impiantati alcuni alberelli panteschi nelle caratteristiche conche, patrimonio dell’umanità. L’occasione è la Biennale del giardino Mediterraneo che quest’anno ha per tema i “Giardini del Futuro” e quello pantesco a Radicepura è stato battezzato, infatti, “Futuro anteriore”, il futuro che parte dalle pratiche agricole creative e sostenibili del passato.
Radicepura è di proprietà della famiglia di vivaisti messinesi Faro, oggi rappresentata dai fratelli Michele e Mario, famiglia che sull’Etna produce anche ottimi vini sul versante nord, pure a Castiglione di Sicilia, con il marchio Pietradolce, e anche loro hanno un’immagine di donna in etichetta, ma più moderna e stilizzata rispetto a quella onirica di Donnafugata. Alla famiglia Faro, fa capo inoltre il Donna Carmela Resort&Lodge, lussuosa villa siciliana di fine Ottocento ai piedi del vulcano, che fa parte degli Small Luxory Hotels of the World immersa in grande un giardino di piante mediterranee e tropicali, esempio emblematico di come si stia moltiplicando l’ospitalità di alto livello legata al mondo del vino intorno all’Etna. Una storia di eccellenze che si stanno sommando ed intrecciando.
Firriato, uno straordinario vino prefillossera e l’obiettivo degli spumanti di montagna in Sicilia
Un altro caso esemplare di connubio cantina e accoglienza di altissimo livello è Cavanera di Firriato. “Mio suocero (Salvatore Di Gaetano, trapanese, ndr) è voluto andare sull’Etna perché ancora prima che un vulcano è innanzitutto la più alta montagna di Sicilia. Non è stata certo una scelta di marketing ma un ‘esplorazione di potenzialità” ricorda Federico Lombardo di Monte Iato che oggi fa parte del Consiglio del Consorzio di Tutela della Doc dei vini dell’Etna e elenca le eccezionali peculiarità del territorio con rapporti universitari e dati scientifici alla mano.
Ma fa parlare anche il vino, e che vini!: il Signum Aetnae Etna rosso riserva 2014 è ottenuto da un vigneto prefillosssera stimato, con analisi dendrocronologica del legno (un sistema di datazione) svolta dall’università di Palermo che certifica la vigna di contrada Verzella vecchia di circa 150 anni, uno di quei vini che bisognerebbe bere almeno una volta nella vita per capire cosa siano l’eleganza e l’armonia. E poi gli spumanti, i Gaudensius, metodo classico da nerello mascalese con il naso varietale degli spumanti di montagna ma, in più, la struttura e lunga e finissima sapidità che regala il suolo vulcanico. Oggi Firriato, con i suoi oltre 70 ettari vitati nel versante nord, è tra i più grandi produttori dell’Etna, il primo per le bollicine. E poi c’è l’accoglienza sviluppata con i più alti standard professionali: noi abbiamo testato Baglio Sorìa nel Trapanese dove è ottima anche la cucina, e ci sono appartamenti in affitto pure a Calamoni a Favignana, ma il più grande resort di Firriato, Cavanera, è proprio sull’Etna con ben 21 stanze. Tutta la produzione è bio (anche se non c’è scritto in etichetta), dal 2019 Firriato è stata certificata Carbon neutral e quest’anno il Gambero rosso l’ha premiata per la sua vitivinicoltura sostenibile, nel Trapanese la cantina dispone di altri 400 ettari di vigneto. Insomma, è una corazzata di ultimissima generazione, attentissima alla salvaguardia ambientale quanto alla valorizzazione dei diversi terroir, ormai pure al servizio della gloria dell’Etna.
Tenute Mannino di Plachi: il vino e l’accoglienza di una famiglia allargata ai collaboratori
Sulle sinergie produzione di vino e ospitalità ha puntato pure un piccolo produttore storico dell’Etna quale la famiglia Mannino. Una storia emblematica di come una famiglia di catanesi è tornata alla produzione di vino, con la nuova generazione che “scalpita” ma ha grande rispetto per il genitore che procede a piccoli passi e con un approccio imprenditoriale che non si limita al vino ma, con lo stesso impegno, all’olio e ad altre produzioni agricole e, appunto, all’accoglienza. Una storia prestigiosa, che risale all’inizio dell’Ottocento con il vino del barone Franz Mannino richiesto anche in Nord America, ma poi messo da parte a causa del boom degli agrumi siciliani considerati ad inizio Novecento i migliori del mondo.
Poi è crollata la convenienza degli agrumi e si è tornati al vino, innanzitutto per passione, una proprietà di vigne che è stata ricostruita da Giuseppe Mannino con pazienza certosina, ettaro dopo ettaro, così come hanno fatto tutti sull’Etna, ma sviluppando contemporaneamente l’offerta agrituristica nelle proprietà ereditate dalla madre. Del tempo degli agrumi resta solo testimone il delizioso giardino didattico alla Tenuta del Gelso, battezzato infatti un “Orange Resort & Wine Experience” con agrumi di tutti i tipi, anche da essenza per profumi.
Il prossimo anno inizierà la produzione bio dai vigneti di Viagrande, in contrada Sciarelle, che si sono aggiunti a quelli di nerello mascalese in contrada Pietramarina a Castiglione, con ruderi che diventeranno in futuro ulteriori stanze per ospiti. Il desiderio di Giuseppe è sempre di produrre l’Etna Rosso Doc di grande longevità e complessità, mentre il figlio ventottenne Giorgio vorrebbe invece produrre un’Etna Rosso Doc per i giovani, dalla piacevolezza immediata ma di buona alcolicità, senza snaturare lo spiccato carattere dei vini del vulcano . Nel frattempo hanno iniziato a produrre un rosé, il cui nome – Arì – è una dedica alla loro collaboratrice, Arianna Vitale, che ha insistito affinché la cantina lo producesse, un bel gesto che rispecchia il rispetto per il lavoro dei dipendenti che, infatti, si dedicano alle Tenute come se fossero loro.
Tenuta Bastonaca, da Ragusa ritorno sull’Etna con grande amore e rispetto
Un esempio invece di ritorno sull’Etna innanzitutto per passione e per onorare la memoria, perché le origini della famiglia, da parte di Giovanni, sono anche catanesi è quella di Tenuta Bastonaca, cantina in provincia di Ragusa. La famiglia è di famosi produttori di Cerasuolo di Vittoria, quella dello storico marchio Avide, ma Giovanni Calcaterra ha creato nel 2007 la sua nuova cantina a Vittoria con la moglie Silvana Raniolo e poi nel 2013 ha acquistato anche sull’Etna. “Andavamo nei fine settimana per vedere i vigneti in vendita– racconta Silvana – abbiamo impiegato due anni per trovare il nostro, giusto in tempo, sul versante nord le vigne in dieci anni hanno triplicato i prezzi e ormai praticamente non c’è più nulla di interessante da acquistare – racconta Silvana – il nostro è un vigneto vecchio di più di 80 anni a Solicchiata, abbiamo lavorato per ripristinare i terrazzamenti e colmare le fallanze, i costi sono alti, produciamo poco ma ne siamo fieri, va bene così”.
Una volta conquistato l’oggetto del desiderio bisogna anche saperne avere cura e rispetto perché non mancano le tentazioni: sopratutto alle quote più basse, anche se non si potrebbe, qualche muretto a secco è già scomparso, là dove era possibile eliminare qualche terrazzamento per dare vita a filari più lunghi, più facili e più economici da lavorare; e le piccolissime proprietà con l’alternanza tipica delle colture – vite, ulivo e alberi da frutto – stanno cedendo sempre più il passo ad appezzamenti più grandi e a terreni più specializzati, dove nuove colture tropicali stanno conquistando spazi. Insomma, adesso come non mai bisogna sapere gestire il successo, la stessa Doc Etna ha bisogno di fare un tagliando sopratutto per permettere un ulteriore valorizzazione del vitigno carricante e degli spumanti dell’Etna. L’impressione è proprio quella di essere ad una nuova svolta con nuovi protagonisti e nuove generazioni già al centro della scena.