Quando riapriranno ristoranti, pizzerie e bar? Ma, forse la vera domanda è: come riapriranno se il turismo torna al 1978?
Quando riapriranno i ristoranti e le pizzerie? I bar e le paninoteche? E, soprattutto: come?
Partiamo da uno studio sul turismo che circola tra addetti ai lavori in cui si prevedono tre possibili scenari: sblocco al 15 aprile, 30 aprile e 15 maggio.
Il grafico sopra non lascia dubbi, ritorneremo ai livelli della domanda del 1978. E questo se non andiamo più in là ancora. Cioè se effettivamente arriviamo al “contagio zero”‘ che è la precondizione per uscire liberamente dalle nostre case.
Ed ecco le conclusioni di questo rapporto che sta girando tra gli addetti ai lavori.
In questa situazione così difficile in cui stiamo contando centinaia di decessi al giorno chiedersi dunque quando riapriranno ritoranti, pizzerie e trattorie può somigliare alla mitica risposta di Maria Antonietta, se non è vera è comunque verosimile, “il popolo è senza pane? dategli le brioche”.
In realtà noi che ci occupiamo di agroalimentare e gastronomia sappiamo bene quello che ogni tanto fa capolino nei giornali economici e specializzati: il settore assorbe centinaia di migliaia di persone, ha un indotto incredibile (pensate ai fornitori, ai piatti, le confezioni, le posate, gli arredi e dunque gli architetti, i commercialisti sino ad arrivare alla comunicazione), rappresenta una fetta importante, la più importante, dell’export e, pur tra luci ombre, contribuisce a tenere in piedi gli stipendi dei dipendenti pubblici e degli stessi loro aguzzini fiscali che li considerano tutti evasori.
Ora ci si chiede: quando e come riapriranno i ristoranti, le pizzerie, i bar, le paninoteche, le pasticcerie e tutti i locali che producono cibo da consumo?
Non è facile rispondere a questa domanda per due motivi.
Uno, il più importante e decisivo, è il fatto che in realtà nessuno può prevedere fino a quando continuerà questa pandemia, ma, più esattamente, nessuno sa sino a quando si potrà uscire senza correre il rischio di ammalarsi perchè i tempi dei vaccini sono lunghi nonostante ci sia una corsa forsennata. Sinora, mi sbaglierò (anzi, vorrei assolutamente sbagliarmi), ma non ho sentito nessuno esperto che abbia parlato di un vaccino entro l’anno. Questo per ovvi motivi su cui qui è inutile insistere.
Il secondo è che questo settore nonostante valga dieci volte l’Ilva di Taranto e l’Aitalia messe insieme, giusto per citare due crisi di cui si parla da anni, è profondamente anarchico, frastagliato e diviso al suo interno. Questo comporta sicuramente una grande elasticità e capacità di adattamento durante la quotidianità, ma in un momento come questo, senza precedenti nella storia moderna, la gastronomia non ha peso politico. Sconta spesso, soprattutto nel settore pizza, una deriva commerciale che ha dato all’associazionismo.
Dunque ai politici questo tema, sino a che non diventa una emergenza sociale (rivolta perchè manca il cibo) questo problema appare come un di più, qualcosa che sta sullo sfondo e di cui non ci si deve preoccupare. Della serie, per divertirci c’è tempo. Oltre al fatto che nella assurda cultura burocratico-punitiva del nostro ordinamento statale è il settore per antonomasia dell’evasione fiscale e del lavoro nero.
Questa chiusura fa da pendant alla stessa lettura che il settore nel suo complesso ha di se stesso: perchè la povertà è più facile da sopportare per chi è povero e non per chi è stato ricco. Il messaggio della paura, legittima e responsabile, continua a prevalere tra gli operatori perché si regge sulla idea che quando tutto sarà finito si riparte subito. Sto leggendo molto i social in questo periodo e in fondo emerge questa chiave di lettura molto ottimista anche se c’è già chi è in difficoltà economica concreta. Aspettiamo riparati che cessi la tempesta.
Mi ha molto meravigliato non vedere in Italia alcuna reazione simile a quella di David Chang (dubito che il sistema così come lo abbiamo visto, sopravviverà), di Ferran Adria (sarà più importante servire un piatto piuttosto che creare un piatto) e di quella chiavica di Gordon Ramsey che ha mandato nell’inferno, quello vero, tutti i suoi dipendenti da un giorno all’altro dopo aver guadagnato decine di milioni di dollari grazie a loro.
Eppure se il settore alberghiero, che sostiene la domanda anche verso la ristorazione, dovesse tornare al 1978 non c’è alcun motivo di pensare che le cose non vadano in modo simile per ristoranti, trattorie e pizzerie. Basti ricordare quanti ristoranti si reggono per il semplice fatto di essere in un albergo.
Certo il settore ha come energia psicologica la carica di fiducia degli ultimi quattro/cinque anni di trionfale ascesa, molti hanno le riserve economiche e pensano: alla fine si tratterà solo di riaccendere la luce e spostare le sedie. La gente avrà voglia di divertirsi…e tornerà a spendere come prima.
Questo pensiero sta tenendo su il morale di tanti e solo in pochi hanno già messo in atto un piano B.
Beh, guardiamo in faccia alla realtà. Si dice che si arriverà al contagiato zero nel mese di maggio, alcune regioni devono ancora raggiungere il picco.
Cosa potrà riaprire? I politici ci hanno già detto che bar, ristoranti e pizzerie saranno gli ultimi.
Bene, ammettiamo che a metà maggio si possa riaprire. Ma come?
Sono immaginabili le sale piene, le fila davanti alle pizzerie e alle paninoteche di questi anni?
Prima di un vaccino o di un farmaco assolutamente no.
E quando si potrà riaprire, diciamo nella bella stagione o, come penso più realiticamente, a settembre, come si riaprirà?
Tavoli distanziati a un metro di distanza almeno. Basti vedere come riaprono i ristoranti in Cina, con la misurazione della temperatura all’ingresso tanto per dirne una.
Questo vuol dire che i locali al centro delle città, quelli che pagano fitti da diecmila euro in su, difficilmente possono rientrare nei conti, perchè diminuiscono i clienti ma servirà ancora più personale per garantire tutte le preoccupazioni con disinfestazioni continue, cambio di vestiti e guanti, etc etc.
Per non parlare dei ristoranti stagionali, quelli che lavorano sei, sette mesi l’anno e nei quali si concentrano tante stelle Michelin. Per loro il 2020 è finito tanto che le guide cartacee italiane stanno pensando di uscire a dicembre, se usciranno.
E ammesso e non concesso che queste riaperture davvero avvengano, chi di voi che mi sta leggendo porterà un proprio caro a mangiare in un luogo pubblico? Chi ha delle patologie sicuramente no. E poi, con la mascherina? Una bella cena romantica o fra amici circondati da personale con le mascherine che ti misura la febbre all’ingresso non sembra il massimo della vita. Non tanto da spendere 250 euro a testa almeno.
Dunque la verità profonda è che come avevo già scritto appena è partita l’emergenza, la ristorazione, almeno nei primi tempi, almeno sino a quando non si sarà trovato un farmaco o un vaccino, tornerà ad essere sostanzialmente un servizio. Popolare o anche di lusso, come certi delivery che alcuni ristoranti lungimiranti hanno già iniziato a fare, ma sempre di servizio.
Ma non sono solo le considerazioni sanitarie quelle di cui dobbiamo tenere conto.
Il Paese, secondo Confindustria, perderà il 10% del proprio Pil nel primo semestre dell’anno. Questo dopo una stagnazioni lunga in cui, pensate, il Pil del 2018 (1800 miliardi) era inferiore a quello del 2000 (1900 miliardi di euro). Un dato che è all’origine della fortuna delle pizzerie.
Questo significa che ci sarà ancora meno propensione a spendere sul superfluo da parte della maggioranza della popolazione.
In sintesi, io credo che bisogna saper fare di necessità virtù: ogni crisi è un dramma per chi resta fermo agli schemi del passato ma una opportunità per chi coglie e capisce bene in che direzione si sta andando. Se tieni le vele al lasco, non puoi risalire di bolina, e viceversa.
Del resto, anche il rapporto delle vendite di Tannico sul vino parla chiaro: c’è un calo percentuale dei grandi vini e un ritorno alle doc più popolari ed economiche.
Attenzione, però. Questo non significa affatto decretare la fine dell’alta gatronomia o della cucina d’autore. Magari dei copia copiazza caricaturali esaltati dal circo autoalimentato o dalle marchette si, ma già stavano in crisi. Anzitutto perchè i ricchi ci saranno sempre e, secondo, perchè la platea di appassionati che si è creata negli ultimi 30 anni vorrà fare continuare a fare belle esperienze potendo permetterselo. Ma questa ripresa dovrà tenere conto delle circostanze economiche e delle nuove abitudini che si creano dopo questa pandemia. Un po’ come abbiamo cambiato modo di prendere l’aereo dopo l’11 settembre o di avere rapporti sessuali dopo l’Aids.
E qui l’Italia ha davvero molte carte da giocare, partendo dalla riflessione che ha fatto Alfonso Iaccarino, evitando scorciatoie estetiche, omologazioni di prodotti anche del lusso. Magari cominciando a riprendersi uno stile nelle presentazioni che stavamo perdendo perchè questa sfida globale conferma ancora una volta che solo chi mantiene la propria identità, in modo aperto e non difensivo, ha possibilità di riemergere.
Ma questi sono temi al di là da venire. E si tornerà a litigare su stili e prodotti.
Ma solo quando il superfluo tornerà a sembrarci vitale, come è stato per molti sino al 20 febbraio.
2 Commenti
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Ma in realtà se arrivassimo ad R0 <1 e riuscissimo a mappare un po' tutti onde evitare che asintomatici riaccendano la miccia pandemica anche con 0 casi a referto,la ripartenza potrebbe esserci senza aspettare il vaccino.anche perché non siamo sicuri che un vaccino possa renderci immuni per sempre,essendo la prima volta che ne faremmo uno per un Coronavirus
Sembra tutto così assurdo…nel 2020. Chiusi in casa….